Covid. Da Remdesevir più danni che benefici?
Articolo del 21 Novembre 2020
L’8 ottobre scorso l’Unione Europea firmava un accordo con la ditta Gilead, produttrice del Remdesivir, per l’acquisto di 500.000 trattamenti al prezzo di 1,2 miliardi di euro, pari alla cifra non indifferente di 2.400 euro per trattamento. E’ molto difficile capire questo acquisto visto che i dati disponibili pongono molti dubbi sulla reale efficacia del Remdesivir. Infatti è possibile che il Remdesivir abbia prodotto più danni che benefici.
Il Remdesivir è un farmaco antivirale su cui esistono molti interessi economici e altrettanti dubbi. Si tratta di un prodotto utilizzato dapprima per il trattamento di Ebola e poi di SARS con risultati non conclusivi. In mancanza d’altro è stato utilizzato anche come terapia antivirale per Covid-19 ed è stato approvato all’inizio di maggio da parte della FDA come trattamento d’emergenza per i pazienti con grave malattia da SARS CoV-2 e in seguito, nel mese d’agosto,anche per i pazienti con polmonite non grave senza tener conto di altre ricerche.
Vediamo anzitutto i dati a favore. Dipendono essenzialmente da uno studio del National Institute of Health (NIH) che il 29 aprile – due giorni prima della iniziale decisione della FDA – aveva analizzato i primi risultati di uno studio ancora in corso, deducendo che il Remdesivir riduceva di 4 giorni la permanenza in ospedale, un effetto molto dubbio come parametro per valutare un farmaco antivirale. Un altro studio, sponsorizzato dalla ditta produttrice del farmaco, in pazienti sottoposti a ventilazione meccanica, stabiliva che 5 o 10 giorni di trattamento sembravano migliorare la malattia, ma la mancanza di gruppi di controllo non permetteva di tirare conclusioni.
Per quanto riguarda i dati negativi, va ricordato che uno studio condotto in Cina e pubblicato lo stesso giorno dello studio NIH, riportava che non esistevano benefici statisticamente significativi. Di maggior significato è lo studio Solidarity condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) che ha trattato con Remdesivir 2.750 pazienti in confronto con altri farmaci ed ha stabilito una mancanza di riduzione della mortalità e della durata di permanenza in ospedale.
Fra l’altro in questa ricerca la mancanza di beneficio si accompagnava a danni epatici e renali che sono in corso di approfondimento. Non solo ma lo stesso studio sponsorizzato da NIH, in una recente pubblicazione sul New England Journal of Medicine, riportava che l’effetto favorevole presente dopo 5 giorni di trattamento spariva dopo 29 giorni perché non esisteva differenza nella mortalità rispetto al placebo.
Parecchi autorevoli ricercatori americani hanno contestato la decisione della FDA per non aver tenuto conto di tutte le evidenze disponibili, in particolare lo studio WHO, e soprattutto per non aver consultato il Comitato consultivo per i farmaci antimicrobici, una procedura facoltativa, ma normalmente utilizzata dalla FDA, anche nel caso della verifica dei protocolli dei vaccini anti Covid-19. Per quanto riguarda l’Europa, l’EMA ha approvato il Remdesivir con la dizione “conditional”, un termine che richiede la realizzazione di ulteriori ricerche per poter ottenere una “regolare” approvazione. Fra l’altro l’EMA ha recentemente iniziato ad analizzare i danni acuti renali indotti dal Remdesivir.
Nel frattempo il giorno 8 ottobre l’Unione Europea firmava un accordo con la ditta Gilead, produttrice del Remdesivir, per l’acquisto di 500.000 trattamenti al prezzo di 1,2 miliardi di euro, pari alla cifra non indifferente di 2.400 euro per trattamento. E’ molto difficile capire questo acquisto visto che i dati disponibili pongono molti dubbi sulla reale efficacia del Remdesivir. Infatti è possibile che il Remdesivir abbia prodotto più danni che benefici.
Fonte: QuotidianoSanità.it