Covid. Siamo arrivati impreparati e dobbiamo chiederci perché

Articolo del 01 Dicembre 2020

Chi non fa autocritica e analizza quanto avvenuto con rigore non potrà imparare dagli errori fatti e continuerà a sbagliare. Dire che tutti hanno avuto le stesse difficoltà non è vero ma non serve a nulla ricercare le responsabilità. Pubblicati i risultati della prima survey internazionale su come è stata gestita la pandemia a livello mondiale.

Chi non fa autocritica e analizza quanto avvenuto con rigore non potrà imparare dagli errori fatti e continuerà a sbagliare. Dire che tutti hanno avuto le stesse difficoltà non è vero ma non serve a nulla ricercare le responsabilità. Pubblicati i risultati della prima survey internazionale su come è stata gestita la pandemia a livello mondiale.

Secondo gli autori nessuno può più sottovalutare o nascondere i problemi avuti da tutti i paesi nell’affrontare la pandemia e allo stesso modo nessuno dovrebbe più dubitare o fraintendere che si è tratta di una malattia “malvagia”, molto difficile da contenere, controllare e gestire.
Queste conclusioni derivano dalla rilevazione di numerose criticità sulle quali i servizi sanitari di tutto il mondo dovrebbero interrogarsi.

Come è stata gestita la prima fase della pandemia a livello internazionale?
A questa domanda da una prima risposta la survey internazionale promossa dall’Italian Network for Safety in Healthcare in collaborazione con International Society for Quality in Health Care, Macquarie University e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Lo studio è stato pubblicato su International Journal for Quality in Health Care, rivista scientifica della Oxford Academy. La survey riporta l’opinione di campione di oltre 1000 esperti di qualità e sicurezza appartenenti a 96 paesi, su come è stata gestita la pandemia nelle sei regioni WHO (America, Africa, Europa, Medio-Oriente, Sud-est asiatico, Pacifico occidentale).

La survey è stata lanciata tra maggio e luglio, alla fine di settembre di quest’anno le regioni che presentavano la percentuale cumulata di morti più alta erano il continente americano (55%) seguito da quello europeo (23%).

In base alle risposte degli esperti, le regioni che hanno avuto la reazione più rapida e forse migliore sul controllo dell’epidemia sono state quella medio-orientale, il sud-est asiatico e il pacifico occidentale. Forse l’esperienza avuta con le epidemie di MERS e SARS nelle prime due regioni ha reso queste nazioni più resilienti e più organizzate a promuovere le misure di prevenzione.

Ben l’80% dei paesi disponeva di un piano pandemico ma solo per il 50% dei rispondenti era stato aggiornato. Riguardo alla comunicazione pubblica è stata ritenuta in media positiva, più chiara e meno ambigua, dai rispondenti del sud-est asiatico, pacifico orientale e medio-oriente.

Colpisce dai risultati della survey il basso livello di preparazione degli operatori sanitari, solo il 30% dei rispondenti ha dichiarato che era stata svolta nei loro paesi una formazione mediante simulazione sulla gestione di una pandemia negli ultimi tre anni e solo il 50% riferisce di non aver avuto problemi di disponibilità di dispositivi di protezione personale. Un’altra grave carenza emersa è stata lo scarso supporto psicologico fornito agli operatori sanitari in relazione all’emergenza e la disponibilità di raccomandazioni sulla sindrome di burn-out.

Più diffusa è invece risultata la disponibilità di linee guida chiare sull’uso dei DPI (90% dei rispondenti), oppure la riduzione delle visite in ospedale bloccate per l’88% dei rispondenti in tutte le regioni WHO. Per il 72% dei rispondenti si poteva disporre di un tampone in uno specifico sito senza andare in ospedale. Le regioni più efficienti nella gestione dei tamponi sono state il sud-est asiatico e pacifico occidentale con ritardi nella comunicazione degli esiti riferiti solo dal 30% dei rispondenti (contro il 40-50% delle altre regioni).

La gestione dei pazienti sul territorio è risultata presente soprattutto nel sud-est asiatico e nel pacifico occidentale dove è stata riportata dal 74-75% dei rispondenti contro il 57% delle altre regioni. Lo stesso dicasi per la presa in carico dei pazienti dimessi riferita solo dal 60% dei rispondenti.
Una vera sconfitta delle cure primarie a livello mondiale che dovrà essere oggetto di una profonda riflessione e cambiamento.

Meno del 70% dei rispondenti ha dichiarato che i pazienti affetti da COVID-19 sono stati ricoverati in ospedali o altre strutture dedicate e il 60% che le RSA sono state isolate. E’ evidente che molte di queste risposte avrebbero dovuto superare il 90%, dal momento che la mancata applicazione di alcune misure essenziali – anche in piccola percentuale – espone la popolazione a grave rischio di diffusione del contagio. Ad esempio, anche se solo il 18% dei rispondenti ha affermato che la protezione degli operatori non è stata adeguata, le conseguenze sono state assai gravi, dal momento che la protezione degli operatori sanitari doveva essere garantita nel 100% delle organizzazioni.

In sintesi da questa indagine emergono:
– scarsa attenzione verso la salute psicologica e lo stress occupazionale a cui sono stati esposti gli operatori sanitari;
– impreparazione alla gestione della pandemia per la scarsa formazione soprattutto mediante simulazione e l’improvvisazione delle task force (una squadra che non si è mai allenata insieme non può pensare di avere buoni risultati);
– scarsa disponibilità di piani pandemici aggiornati, presenti solo per il 50% dei rispondenti.

Le epidemie si combattono prevenendole e anticipando il rischio, organizzarsi nel corso dell’emergenza comporta inevitabilmente delle grandi difficoltà.

Il lavoro si conclude sottolineando il concetto che nessuno può più sottovalutare o nascondere i problemi avuti da tutti i paesi nell’affrontare la pandemia e allo stesso modo, nessuno dovrebbe più dubitare o fraintendere che si è tratta di una malattia “malvagia”, difficile da contenere, controllare e gestire.

 

Fonte: QuotidianoSanità.it

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