Cure dei tumori: si stanno commettendo degli errori?
Articolo del 23 Febbraio 2022
Alla base degli errori vi è un comportamento assolutamente suicida che non tiene conto della seguente affermazione che è molto più reale di quanto chi legge possa immaginare: il nostro organismo è costituito da un insieme di imperfezioni infinite che lo rendono in realtà perfetto.
Mi piace iniziare con una considerazione che potrebbe andare all’inizio di questo libro e che scaturisce da un insieme di riflessioni che stanno salendo dentro di me come un fuoco sacro.
Alla base degli errori vi è un comportamento assolutamente suicida che non tiene conto della seguente affermazione che è molto più reale di quanto chi legge possa immaginare: il nostro organismo è costituito da un insieme di imperfezioni infinite che lo rendono in realtà perfetto.
Sembra una frase filosofica, ma è esattamente l’argomento centrale di cui bisognerebbe tenere conto parlando di salute. Le nostre imperfezioni ci proteggono più di ogni altra cosa dagli insulti ambientali.
È come se il paradigma darwiniano sulla selezione della specie legata al caso, fosse in ogni momento della nostra vita operante dentro di noi. Infatti, alcuni lavori di embriogenesi hanno dimostrato che nelle fasi precoci della differenziazione dell’embrione le cellule sono in lotta fra loro per la pura sopravvivenza.
Durante questa fase il genoma è totalmente diverso da quello di un essere adulto; infatti, molti dei geni che nel nostro genoma adulto sono silenziati, durante la vita embrionale sono in realtà pienamente attivi; poi nel passaggio da embrione a feto e successivamente nella vita adulta questi geni non scompaiono ma, vengono in realtà silenziati.
Parliamo di Epigenetica
Quello che vi ho appena detto rappresenta la base molto semplificata di quella che viene chiamata epigenetica. È molto di moda ed è obbiettivamente affascinante di per sé, perché crea le basi scientifiche per le modificazioni genomiche indotte dall’ambiente.
I meccanismi di silenziamento e desilenziamento dei geni comprendono i processi di metilazione e demetilazione che sono normalmente operanti nel nostro organismo. Un esempio di quello che ho appena descritto sono retrotrasposoni e retroelementi. Sono componenti integrali del nostro genoma che nella vita adulta stanno lì buoni a non fare nulla, ma che in realtà sono molto attivi durante la vita embrionale.
Si è dimostrato che i retroelementi vengono riespressi nei tumori. Ciò che è del tutto affascinante è che tali componenti del nostro genoma si chiamano così perché sono del tutto simili ai retrovirus, cioè a quella famiglia di virus (di cui fa parte ahimè l’HIV-1, causa dell’AIDS) che pur essendo virus a RNA, hanno un enzima che si chiama trascrittasi inversa che fa si che l’RNA virale si “retro” trascriva nel nostro genoma, cioè diventi DNA.
Capite che questo di per sé già frantuma il paradigma di Watson e Crick che prevedeva la sequenza DNA-RNA-proteine, ma in più ci fa capire che anche il nostro genoma, dallo studio del quale si sarebbero dovute curare tutte le malattie, è in realtà un work in progress, qualcosa in continua trasformazione legata all’ambiente.
Cominciano a comparire autorevoli lavori che dimostrano che l’interazione con l’ambiente è enormemente più importante del nostro genoma nel determinare le malattie (Feinberg, 2018; Favé et al., 2018).
Tempo fa è stato pubblicato uno studio in gemelli monocoriali (dalla stessa cellula) nel quale si dimostra che il genoma di gemelli derivanti dalla stessa cellula è identico alla nascita e totalmente diverso dopo cinquant’anni (Fraga et al., 2005).
Ma tutto questo per dirvi che il drammatico sforzo che globalmente si sta facendo per identificare tutte le trasformazioni a livello genomico e fenotipico presenti nei pazienti con tumore con l’obiettivo di trovare una cura adeguata sono un fallimento annunciato. Le mutazioni che molti ancora considerano possibili target molecolari o biomarcatori diagnostici sono in realtà manifestazioni transienti dei tumori; facenti parte di quel processo tipico dei tumori che è l’andamento microevo-luzionistico, che nel tumore è molto più veloce che nel resto del nostro organismo.
È singolare che tutti gli eroi creati dagli autori di gialli entrati nella storia, da Poirot a miss Marple, a Maigret, ai Marlowe, ai più recenti Adamsberg o Harry Hole, abbiano tutti la peculiarità di trovare quel momento di distacco dalle indagini che permette di avere una visione di insieme, che tiene conto anche dei particolari, ma che si astrae per un attimo dal tutto, perché ciò che primariamente si deve scoprire per poi arrivare all’assassino è: perché è stato commesso il crimine, poi il come e poi alla fine il chi.
In particolare, Fred Vargas presenta il commissario Adamsberg come l’uomo che sa vedere nella nebbia e lo fa “catturando” dei particolari che a tutti gli altri erano sfuggiti. E io ho scoperto che questo è drammaticamente vero nella ricerca in medicina, tanto che ho pubblicato un articolo che in inglese è intitolato A nonmainstream approach against cancer (Un approccio non convenzionale al cancro) (Fais, 2016).
Ma entrando più nel merito dell’argomento, dobbiamo distinguere ovviamente quelli che si possono considerare errori strategici (causati da una visione troppo ristretta di un sistema complesso) e quindi, forse, fatti in buona fede, da quelli che in realtà non sono errori ma strategie legate al business.
È paradossale, ma la gran parte di quello di cui sto per parlare riguarda in realtà una strategia sbagliata dell’industria farmaceutica che fa parte integrante del grande mondo del business.
Partiamo da un concetto molto più generale al quale ho accennato nel precedente libro (L’approccio antiacido per la prevenzione e la cura delle malattie – Sapio): cioè la mia assoluta convinzione che la Ricerca in medicina non faccia parte delle scienze classiche: biologia, chimica, fisica e matematica.
Non ne fa parte per un motivo a me talmente chiaro che potrei essere accusato di superficialità. Lo è perché la Ricerca in medicina si rivolge alla salute di ogni singolo essere umano. Lo è perché la Medicina riguarda ogni singolo essere umano. E da sempre è così. Per cui, certo i progressi della conoscenza sono di grande importanza per la comprensione di alcuni fenomeni. Ma rimane il fatto che il rapporto tra medico e paziente è principalmente un rapporto umano, che possibilmente non deve avere filtri.
Un rapporto attraverso il quale il ruolo del medico dovrebbe essere primariamente quello di contribuire alla formazione di un livello di consapevolezza sulla salute in ogni singolo paziente, oltre ovviamente a fornire i necessari interventi d’urgenza quando vi sia pericolo di vita. Questo è particolarmente vero per i tumori per i quali è stato costruito una sorta di incubo a livello globale, che incrementa la paura sulla quale è ovviamente faci-lissimo agire.
L’errore principale è stato appunto quello di pensare che, al contrario di tutte le altre malattie, per arrivare a una guarigione i tumori dovessero essere aggrediti in modo da essere eliminati.
Ma come ho avuto modo di dire e scrivere più volte il concetto di guarigione non fa parte del concetto di medicina; concetto al quale personalmente tengo moltissimo, e che ne definisce la natura fino in fondo.
La medicina può curare ma non necessariamente guarire. Essendo i tumori malattie, come tutte le malattie possono essere curati ma non guariti. Eppure, l’influenza che l’informazione e la società esercitano sui singoli individui fa in modo che chi ha avuto una diagnosi recente di tumore ti chiede con gli occhi terrorizzati «Toglietemelo questo mostro che sta crescendo dentro di me, strappatemelo via, con ogni mezzo».
Ed è difficile confrontarsi con questo approccio, molto difficile. Ma un altro grande errore generato da questo gigantesco equivoco è stato ed è quello di pensare che i progressi della conoscenza in medicina fossero legati a progetti di ricerca per obiettivi.
Nel precedente libro ho parlato diffusamente del ruolo della serendipità (cioè di una fortuna insperata, legata quindi anche alla casualità) nelle scoperte epocali in medicina, e non voglio tornarci e ripetermi, se non per sottolineare che nessuna di queste scoperte aveva dietro di sé un supporto progettuale.
Il più clamoroso degli esempi riguarda proprio i tumori. Famoso è stato un progetto supportato dal National Cancer Institute (NCI) che finanziò negli anni Cinquanta del Novecento, con un investimento monstre per i tempi, la ricerca su derivati delle piante che dimostrassero un effetto antitumorale, pensando forse a un effetto “più naturale”.
Bene, da tutto ciò le uniche molecole che entrarono nella terapia dei tumori furono il taxolo e derivati e la gemcitabina, che hanno poi dimostrato un livello di efficacia e tossicità comparabile a tutti gli altri antitumorali in uso!