Dopo il cuore, riuscito anche il trapianto di rene da maiale
Articolo del 27 Gennaio 2022
L’organo è stato prelevato da un maiale geneticamente modificato e ha dimostrato di poter funzionare in un organismo umano senza rigetto e complicanze. Il risultato è stato ottenuto su una persona in stato di morte cerebrale, ma si spera che entro una decina di anni possa entrare nella pratica clinica.
È un periodo entusiasmante per i medici che si occupano di trapianti d’organo. Solo due settimane fa, un gruppo di medici di Baltimora ha riferito di aver completato con successo il primo trasferimento di un cuore di maiale in un paziente umano vivo. Ora dietro l’angolo ci potrebbe essere il rene.
Alla fine di settembre 2021 un gruppo di ricercatori ha trapiantato due reni di maiale geneticamente modificati nel corpo di una persona in stato di morte cerebrale (la perdita irreversibile di tutte le funzioni del cervello), grazie a una procedura ideata per simulare fedelmente il trapianto clinico. Una volta impiantati, i nuovi reni hanno sostenuto il flusso di sangue e anche prodotto urina fino a quando lo studio si è concluso 77 ore dopo. I risultati sono stati pubblicati sull’”American Journal of Transplantation”.
“Ha davvero dimostrato che esiste l’infrastruttura per poterlo fare”, ha dichiarato il capo chirurgo del nuovo studio Jayme Locke, esperto di trapianti presso l’Università dell’Alabama a Birmingham (UAB). Il processo standardizzato dello studio “sarà importante quanto dimostrare che i reni di maiale possono sopravvivere negli esseri umani”.
Il trapianto d’organo di per sé è gravato da rischi. Il sistema immunitario umano è straordinariamente efficiente nel distinguere tra “sé” e “non sé”, e quando rileva un’entità estranea – che sia un virus, uno strano batterio o l’organo interno di qualcun altro – sferra un attacco. Ciò è vantaggioso per combattere le malattie. Ma nel contesto del trapianto, una forte risposta immunitaria può alla fine indurre il corpo a rigettare il nuovo organo. Per evitare questo, i medici prescrivono al ricevente farmaci immunosoppressori che, sfortunatamente, rendono anche il paziente esposto all’attacco di virus e batteri. “Il rischio maggiore è calcolare male questo equilibrio tra rigetto e infezione”, spiega Dorry Segev, specialista in trapianti di rene alla Johns Hopkins University, non coinvolto nella ricerca.
Per i pazienti che ricevono un organo non umano, una procedura chiamata xenotrapianto, tale rischio è moltiplicato. Gli xenotrapianti (e, in rari casi, i trapianti di organi umani mal associati) possono innescare un fenomeno chiamato rigetto iperacuto, in cui l’organismo inizia ad attaccare aggressivamente il nuovo organo entro poche ore o addirittura minuti dall’intervento. “È un tipo diverso di rigetto, ed è un ostacolo enorme”, sottolinea Paige Porrett, direttore della ricerca sugli allotrapianti compositi vascolarizzati e della ricerca clinica e traslazionale presso il Comprehensive Transplant Institute dell’UAB, autore principale dello studio.
Il gruppo di Porrett ha superato questo ostacolo utilizzando reni provenienti da un maiale che ha subito dieci modifiche genetiche chiave per rendere i suoi organi più adattabili agli esseri umani. Per esempio, il maiale donatore era dotato di geni che aiutano a prevenire i coaguli di sangue e regolano la resistenza dei vasi sanguigni. Un altro gene, coinvolto nella risposta agli ormoni della crescita, è stato eliminato per assicurare che i reni trapiantati rimanessero di dimensioni umane all’interno del ricevente. “Certamente non vorrei avere un rene a misura di maiale”, sottolinea Locke.
Quello portato a termine dal gruppo non è stato il primo trapianto di rene da maiale a essere umano: il primato spetta all’operazione avvenuta il 25 settembre scorso presso la NYU Langone Health e il destinatario era anche in quel caso una persona senza attività cerebrale. “È stato piuttosto esaltante”, afferma Robert Montgomery, direttore del NYU Langone Transplant Institute, che ha eseguito l’operazione con il suo gruppo. La ricerca sua e dei suoi colleghi è stata progettata principalmente per testare la possibilità di sopravvivenza del singolo rene. Anche se l’organo ha funzionato bene, rimuovendo i materiali di scarto dal sangue e smaltendoli sotto forma di urina, è stato collegato a un vaso sanguigno nella parte superiore della gamba del destinatario e non impiantato nell’addome, dove i reni normalmente sono posizionati.
Al contrario, il gruppo dell’UAB ha utilizzato una procedura di trapianto clinica completa, dalla valutazione della compatibilità degli organi alla rimozione dei reni del destinatario e alla loro sostituzione con xenotrapianti. I ricercatori si sono anche preoccupati di assicurare che il maiale donatore fosse cresciuto in una struttura priva di patogeni, e hanno sottoposto a revisione l’intero processo da parte di un comitato etico. “A volte questo sembrava uno scoglio più arduo delle procedure scientifiche effettive”, aggiunge Porrett.
Il trapianto in sé è andato bene: i reni non hanno mostrato segni di rigetto iperacuto e hanno anche iniziato a funzionare. Entro 24 ore, il rene destro ha prodotto circa 700 millilitri di urina, all’incirca la quantità prodotta da un adulto medio in un giorno. Il rene sinistro ha prodotto solo pochi millilitri il primo giorno, ma si è attivato di più dal secondo. Ciò non era inaspettato, comunque, spiega Locke, perché nei trapianti da essere umano a essere umano si può verificare un ritardo nell’attivazione della funzione anche di una settimana.
In genere è difficile che un corpo vada avanti per più di una settimana dopo la morte cerebrale è difficile. Montgomery nota che i reni hanno sviluppato piccoli coaguli di sangue chiamati trombi di fibrina, ma questo può essere il risultato delle condizioni del paziente. “Dopo la morte cerebrale possono insorgere complicazioni”, spiega. “Può essere piuttosto burrascoso”. Jim Parsons, il ricevente nello studio UAB, era deceduto da cinque giorni quando l’operazione ha avuto luogo; la sperimentazione è stata interrotta dopo altri tre giorni, quando si sono presentati insufficienza epatica e altri problemi. Il gruppo spera di chiamare il suo protocollo “modello Parsons” in onore dell’uomo e della sua famiglia.
C’è ancora molto lavoro da fare prima che lo xenotrapianto diventi di routine. Locke e Segev sono d’accordo sul fatto che ci vorranno almeno altri cinque o dieci anni di ricerca prima che i reni di maiale possano potenzialmente diventare la norma. Ma dicono che questi progressi sono incredibilmente incoraggianti. Potremmo avvicinarci rapidamente al giorno in cui le tantissime persone sulla lista dei trapianti d’organo non dovranno più aspettare – a volte per anni o invano – un donatore umano.
“Per la prima volta in assoluto, ho la sensazione che vedrò gli xenotrapianti nella mia carriera”, conclude Segev. “E non lo dico con leggerezza.”
Fonte: Le Scienze