Editing di embrioni umani: in Italia si può?
Articolo del 17 Novembre 2020
Alterare il DNA umano per creare bambini geneticamente modificati è vietato nella maggioranza dei paesi in base alla Convenzione di Oviedo. La normativa italiana, però, lascia almeno in teoria uno spiraglio a questa possibilità, paradossalmente anche a causa di un articolo della legge sulla procreazione assistita, che in origine voleva essere particolarmente restrittiva.
Nelle mappe globali pubblicate dal “CRISPR Journal” il nostro paese rappresenta un’anomalia. L’articolo 13 della legge sulla fecondazione assistita e la ratifica incompleta del protocollo di Oviedo sortiscono il paradossale effetto teorico di lasciare la porta socchiusa ai bambini geneticamente modificati.
Guardatela bene questa mappa: è contenuta nella più dettagliata e aggiornata analisi mai pubblicata sulle politiche varate nel mondo a proposito di editing degli embrioni umani. Si riferisce, in particolare, all’editing effettuato a scopo riproduttivo, non a scopo di ricerca.
Per distinguere i due casi si sta affermando la tendenza a chiamare “editing germinale” quello in cui gli embrioni non vengono trasferiti in utero ma studiati in vitro al fine di accrescere le conoscenze, mentre se viene avviata una gravidanza allora si parla di “editing ereditabile”. Con l’editing ereditabile, infatti, qualora l’individuo modificato raggiungesse l’età riproduttiva e mettesse al mondo dei figli, la modificazione genetica verrebbe ereditata dalla discendenza.
Lulu e Nana, le due gemelline editate in Cina nel 2018, e forse un terzo bambino concepito all’interno dello stesso programma di cui si sono perse le tracce, sono gli unici esseri umani che rientrano in questa categoria. Ma guardando la mappa delle politiche relative all’editing ereditabile, pubblicata sul “CRISPR Journal” da esperti statunitensi e canadesi con l’aiuto di colleghi attivi in molti paesi del globo, il colpo d’occhio è sorprendente.
La Cina è colorata come gran parte del mondo, con un rosso che indica un divieto totale. Il verde manca del tutto, perché nessuno autorizza esplicitamente la procedura, tra i 106 paesi passati in rassegna. I paesi che proibiscono ma contemplano eccezioni al divieto, lasciando almeno apparentemente una porta aperta, sono soltanto cinque e vengono indicati con il colore giallo: sono Panama, Colombia, Emirati Arabi, Belgio e Italia. Com’è possibile?
La Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina proibisce chiaramente l’editing ereditabile perché all’articolo 13 afferma che “un intervento che ha come obiettivo di modificare il genoma umano non può essere intrapreso che per delle ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche e solamente se non ha come scopo di introdurre una modifica nel genoma dei discendenti”. È stata ratificata da 29 paesi, ma l’Italia non ha portato a termine la procedura. Ha cioè firmato il trattato internazionale e poi lo ha recepito con una legge del 2001, ma non ha depositato gli strumenti di ratifica.
Questo ritardo ha spinto il Comitato nazionale di bioetica ad approvare nel 2012 una mozione in cui chiedeva di “procedere al completamento dell’istruttoria per arrivare alla possibilità di rendere pienamente e sotto ogni aspetto operativa la Convenzione”. Se nessuno dei governi che si sono succeduti lo ha fatt, forse è perché il trattato affronta anche un altro tema divisivo che una parte della politica italiana ha cercato a lungo di evitare: le direttive anticipate di trattamento (testamento biologico). In particolare prevede che debbano essere tenuti in considerazione i desideri precedentemente espressi dai pazienti che non sono più in grado di esprimersi.
Ci sono anche altri paesi che non hanno ratificato la Convenzione di Oviedo ma hanno sancito un chiaro divieto tramite leggi o regolamenti vincolanti, e dunque confluiscono nella grande area rossa che abbraccia 70 stati sparsi in tutto il pianeta.
Si contano sulla punta delle dita, invece, i paesi che non hanno ratificato e sono rimasti sul vago (i 3 stati in azzurro) mentre sono un po’ più numerosi quelli che non si sono espressi in materia (i 18 in grigio scuro, concentrati in Africa). Eccoci dunque alla categoria gialla, con i paesi che non solo non sono pienamente in regola con la Convenzione di Oviedo, ma hanno anche approvato leggi che lasciano uno spiraglio. Perché l’Italia è finita in questo sparuto gruppo che sembra non voler escludere l’editing ereditabile?
L’articolo 13 della contestatissima legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita afferma che: “È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano”, ma subito dopo prevede delle eccezioni al divieto stabilendo che: “La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative”.
Intendiamoci, in questo momento nessun comitato etico darebbe il via libera in Italia a procedure del genere, il cui rapporto rischio/beneficio è ancora troppo sbilanciato dalla parte del rischio secondo la comunità scientifica internazionale. Del resto nessun gruppo in Italia ha mai manifestato l’intenzione di seguire le orme di He Jiankui, lo scienziato cinese che è stato condannato a 3 anni di carcere per l’esperimento che ha messo al mondo Lulu e Nana (anche se a incastrarlo non sono state le linee guida nazionali ma delle irregolarità burocratiche). Resta comunque il fatto che l’anomalia giuridica italiana, se non altro, è un invito a riflettere su quanto siano pasticciate le nostre politiche in materia di scienza e bioetica.
L’articolo 13 è stato duramente criticato dopo l’approvazione della legge 40, ma da tutt’altra prospettiva, anche perché la tecnica che ha reso possibile l’editing, CRISPR, è nata otto anni dopo, nel 2012.
L’ipotesi di modificare geneticamente degli embrioni umani a scopo terapeutico appariva molto remota nel 2004, e ventilarla, probabilmente, serviva a offrire un’alternativa ipotetica alla diagnosi genetica preimpianto degli embrioni, che invece veniva limitata. Inoltre, in quel periodo, il filone di ricerca più dibattuto era la ricerca sulle cellule staminali embrionali. L’attenzione, quindi, si era concentrata sul fatto che l’articolo 13 ostacolava questo filone, impendendo ai ricercatori di usare gli embrioni sovrannumerari destinati a rimanere inutilizzati nelle cliniche di fecondazione assistita.
In definitiva appare surreale che la pratica di frontiera oggi più controversa e dibattuta, l’editing ereditabile, in linea teorica potrebbe trovare un varco in una legge di ispirazione cattolica che, prima di essere smontata in tribunale pezzo dopo pezzo grazie alla perseveranza dell’Associazione Luca Coscioni, vietava la fecondazione eterologa, imponeva il limite dei tre ovociti fecondati e proibiva la diagnosi genetica preimpianto alle coppie fertili portatrici di difetti genetici. A questo smantellamento progressivo è sopravvissuto proprio l’articolo 13 che è tuttora in vigore, anche se la Corte Costituzionale nel 2016 con sentenza ha invitato il Parlamento a legiferare sulla questione embrioni e ricerca. Tu chiamala se vuoi eterogenesi dei fini.
Fonte: Le Scienze