Una sorta di fisioterapia “nasale”, sniff-test con odori tipicamente italiani, associata alla somministrazione di un alimento a fini medici speciali a base di PEALut in grado di agire sul controllo delle alterazioni del sistema nervoso centrale. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica European Review for Medical and Pharmacological Sciences è stato avviato all’ospedale di Fano nel novembre scorso.
È arrivato all’ospedale San Giovanni di Roma il protocollo di sperimentazione per aiutare chi, dopo essersi ammalato di Covid, ha perso gusto e olfatto. Una sorta di fisioterapia “nasale”, sniff-test con odori tipicamente italiani, associata alla somministrazione di un alimento a fini medici speciali a base di PEALut in grado di agire sul controllo delle alterazioni del sistema nervoso centrale.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica European Review for Medical and Pharmacological Sciences è stato avviato all’ospedale di Fano nel novembre scorso ed è coordinato dal team della professoressa Arianna Di Stadio, docente di Neuroscienze all’Università di Perugia e ricercatore onorario per il Dipartimento Neuroscienze Quenn Square Neurology UCL di Londra. Questa recente ricerca promette la ripresa delle funzioni dell’olfatto e gusto e aiuta chi (1 su 10) dopo aver contratto il Covid, dopo molti mesi, ancora soffre delle cosiddette anosmia e ageusia.
Al protocollo di sperimentazione, lo stesso per tutti i centri coinvolti, messo a punto nelle Marche con l’arruolamento di un centinaio di pazienti che presentavano anosmia tre-quattro mesi dopo la negativizzazione del tampone Covid, stanno aderendo numerosi altri centri italiani, tra cui il l’ospedale San Giovanni di Roma, l’Humanitas di Milano, il Policlinico Universitario Federico II di Napoli, l’ospedale universitario di Genova, l’ospedale universitario di Trieste, il Careggi di Firenze, e gli ospedali universitari di Sassari e Catania.
“Lo studio parte dall’ipotesi, confermata dal nostro lavoro e da diversi studi scientifici, che la causa della perdita dell’olfatto interessi il sistema nervoso centrale – spiega la coordinatrice Di Stadio -. Il virus determina neuroinfiammazione a livello encefalico oltre che dei nervi cranici con ripercussioni totali o parziali sull’olfatto e con il rischio che, una volta atrofizzata la struttura, l’anosmia diventi irrecuperabile. Per questo è importante intervenire”.
“Nello studio – prosegue l’esperta – i pazienti sono stati divisi in due gruppi, entrambi sottoposti a sniff-test per stimolare il bulbo olfattivo, ma solo uno trattato con PEALut (palmitoiletanolamide co-ultramicronizzata con Luteolina), un ultramicrocomposito antineurofiammatorio e insieme antiossidante, in grado di riparare il danno neuronale. I pazienti in trattamento con il prodotto a base di PEALut hanno recuperato il 100% in più”.
Ma come funziona lo sniff-test? “I pazienti devono sniffare coppie di odori abbinati in modo particolare come ad esempio agrumi e pesca, caffè e cioccolato o fontina e parmigiano per pochi secondi 3-4 volte al giorno in diversi momenti della giornata. Abbiamo scelto odori tipici della nostra terra perché la memoria ha un impatto importante in fase di riabilitazione – prosegue Di Stadio –. L’obiettivo è riabilitare l’olfatto e al tempo stesso stimolare la capacità di distinguere odori diversi (discriminazione), poiché farlo in un secondo momento potrebbe essere più difficile”.
“I dati preliminari già analizzati sono promettenti – prosegue l’esperta – I pazienti con anosmia di grado lieve moderato, combinando la riabilitazione olfattiva con il prodotto a base di PEALut hanno recuperato l’olfatto fino quasi alla normalità, in soli 30 gg; i pazienti con anosmia grave e con il disturbo persistente da circa 11 mesi in 30 giorni hanno iniziato a migliorare la propria capacità olfattiva, necessitando di un trattamento di 3-6 mesi per un recupero integrale della funzione”.
“Il trattamento precoce del problema olfattivo – conclude Di Stadio – è utile per facilitare il recupero e per evitare una degenerazione della funzionalità con il trascorrere dei mesi”.
Fonte: Quotidiano Sanità