A due anni dall’inizio della pandemia, lo sforzo di migliaia di ricercatrici e ricercatori in tutto il mondo ha permesso di arrivare alle ultime fasi di sperimentazione sia di nuove sostanze, sia di combinazioni di vecchi farmaci in grado di contrastare la malattia.

 

Lawrence Tabak impiega circa 15 minuti per snocciolare tutti i potenziali trattamenti per COVID-19 che sono testati nel programma di sperimentazione clinica che supervisiona: una lista lunga e scioglilingua che include farmaci per disarmare il virus, per lenire l’infiammazione e per fermare i coaguli di sangue. Negli ultimi due anni, il programma ACTIV, gestito dal National Institutes of Health (NIH) statunitense, ha incluso più di 30 studi – 13 dei quali in corso – su agenti terapeutici scelti da una lista di 800 candidati. Molti di questi studi dovrebbero rendere pubblici i risultati nella prima metà dell’anno.

E questo è solo nel suo programma; altre centinaia sono in corso in tutto il mondo. Che questi risultati siano positivi o negativi, dice Tabak, il 2022 è sul punto di fornire la chiarezza necessaria su come trattare al meglio COVID-19. “I prossimi tre o quattro mesi saranno, speriamo, molto emozionanti”, dice Tabak, direttore ad interim del NIH a Bethesda, nel Maryland. “Anche quando un trial non mostra efficacia, è comunque un’informazione incredibilmente importante. Ti dice che cosa non usare.”

Quasi due anni dopo l’inizio della pandemia, queste informazioni sono ancora necessarie: con più di un milione di nuove infezioni e migliaia di morti in tutto il mondo ogni giorno, COVID-19 continua a mettere a dura prova i sistemi di assistenza sanitaria ed esige un terribile tributo umano. I ricercatori hanno sviluppato una manciata di opzioni – compresi due farmaci antivirali orali, Paxlovid e molnupiravir, autorizzati in alcuni paesi [Italia inclusa, NdR] negli ultimi due mesi – che aiutano in alcune situazioni. Ma le lacune rimangono, e i ricercatori pensano che quest’anno porterà nuovi farmaci e nuovi usi per i vecchi farmaci, compresi trattamenti migliori per la forma lieve di COVID-19.

E anche se i vaccini rimangono il modo più importante per contenere la pandemia, c’è ancora un disperato bisogno di terapie migliori per curare le persone che non possono, o scelgono di non accedere ai vaccini, o i cui sistemi immunitari non sono in grado di rispondere pienamente alla vaccinazione, o che sperimentano infezioni di particolare gravità. “Lo strumento principale per combattere la pandemia è la prevenzione, e lo strumento principale nella prevenzione è la vaccinazione”, dice Taher Entezari-Maleki, che studia farmacia clinica all’Università medica di Tabriz, in Iran. “Ma i nuovi farmaci possono essere usati, quando i vaccini non funzionano, per esempio contro le nuove varianti.”

I ricercatori hanno progettato e testato centinaia di composti contro COVID-19. Più di 100 farmaci sono ora in fase avanzata di sperimentazione, e un piccolo numero ha ricevuto l’autorizzazione per l’uso in emergenza (AiE)

Nel corso del tempo, i ricercatori hanno incrementato le infrastrutture di sperimentazione clinica, e le ripetute ondate del coronavirus SARS-CoV-2 hanno assicurato un pool pronto di potenziali partecipanti allo studio. Il risultato è stato una pipeline dei farmaci accelerata, dice Tabak. “Questi due anni sono sembrati lunghi a tutti”, dice Paul Verdin, capo della consulenza e dell’analisi presso la società di analisi farmaceutica Evaluate, con sede a Londra. “Ma nel grande programma dello sviluppo dei farmaci, non è molto tempo.”

Lo stillicidio diventa un’inondazione

All’inizio della pandemia, molti studi si sono concentrati sulla ricerca di modi per curare le persone gravemente malate di COVID-19, per salvare vite e alleviare la pressione sugli ospedali. A metà 2020, gli scienziati hanno scoperto che uno steroide, il desametasone, abbatte le risposte immunitarie sovrastimolate che possono contribuire alle ultime fasi della malattia grave, e riduce i decessi fra le persone di questo gruppo. Questi steroidi rimangono i trattamenti più efficaci per ridurre le morti per COVID-19.

Altri farmaci prendono di mira il virus più direttamente, ma devono essere somministrati da medici professionisti, e questo ne limita l’uso. Il farmaco antivirale remdesivir (Veklury), prodotto da Gilead Sciences a Foster City, in California, è somministrato come iniezione, e quindi fino a poco tempo fa era riservato solo alle persone ospedalizzate con COVID-19. (Il 21 gennaio, la US Food and Drug Administration ha autorizzato il remdesivir per il trattamento ambulatoriale delle persone ad alto rischio di complicazioni da COVID-19.)

Diverse aziende hanno sviluppato anticorpi monoclonali, cioè versioni prodotte in serie degli anticorpi neutralizzanti che il sistema immunitario sintetizza per legarsi a SARS-CoV-2 e lo disattivano. Queste terapie hanno offerto un’altra strada per il trattamento precoce, e più di 200 anticorpi monoclonali sono ora in fase di sviluppo o autorizzati. Ma sono costosi rispetto ad altri trattamenti, sono poco disponibili e spesso devono essere iniettati. Una recente eccezione è una combinazione di lunga durata di due anticorpi monoclonali, chiamata Evusheld. Questo farmaco, prodotto da AstraZeneca a Cambridge, nel Regno Unito, può essere iniettato nel muscolo, ed è stato autorizzato dalla FDA lo scorso dicembre per la prevenzione di COVID-19 in persone ad alto rischio di esposizione a SARS-CoV-2.

Un farmaco da poco autorizzato dalla FDA per la prevenzione di COVID-19 in persone ad alto rischio di esposizione

Con il tempo, l’attenzione ha cominciato a spostarsi verso farmaci utilizzabili al di fuori dell’ambiente ospedaliero per trattare la malattia lieve, nella speranza di prevenire la progressione verso una forma più grave. A fine 2021, due trattamenti antivirali – Lagevrio (molnupiravir), sviluppato da Merck, con sede a Kenilworth, nel New Jersey, e Ridgeback Biotherapeutics di Miami; e Paxlovid (una combinazione di due farmaci, nirmatrelvir e ritonavir), sviluppato da Pfizer, con base a New York City – sono stati resi disponibili sotto forma di pillole che possono essere assunte a casa.

Nessuno dei due farmaci è una panacea, nota José Carlos Menéndez Ramos, che studia farmacia all’Università Complutense di Madrid. Uno studio di laboratorio ha suggerito che il molnupiravir potrebbe causare mutazioni nel DNA umano, portando gli enti regolatori a sconsigliarne l’uso durante la gravidanza. Alcuni paesi, tra cui Francia e India, hanno scelto di non autorizzarlo. E l’uso di Paxlovid potrebbe essere limitato perché potrebbe interagire con una vasta gamma di farmaci d’uso comune.

Fortunatamente, i due potrebbero presto avere compagnia. Molti antivirali in sperimentazione prendono di mira una delle due proteine virali chiave, con l’obiettivo di bloccare la replicazione del virus. Come molnupiravir, alcuni di questi prendono di mira una proteina chiamata RNA polimerasi RNA-dipendente. Circa 40 candidati sono in fase di sviluppo, dice Chengyuan Liang, che studia farmacia alla Shaanxi University of Science and Technology a Xi’an, di Cina. Altre circa 180 molecole agiscono come Paxlovid e bloccano la proteasi principale di SARS-CoV-2, che è responsabile del taglio delle proteine virali nelle loro forme finali e funzionali. Di questi inibitori della proteasi, quello che ha fatto più progressi è S-217622, prodotto dalla Shionogi di Osaka, in Giappone, che è in fase avanzata di sperimentazione clinica.

Ma lungo la pipeline si stanno facendo strada altri farmaci antivirali con una nuova serie di obiettivi. Alcuni di essi sono stati selezionati per bloccare le proteine umane che SARS-CoV-2 usa per infiltrarsi nelle cellule, invece che proteine virali. Per esempio, un farmaco contro il cancro chiamato plitidepsina ha come bersaglio una proteina umana chiamata eEF1A, che è coinvolta nella produzione di proteine ed è importante per la replicazione di diversi patogeni virali. La plitidepsina ha dimostrato di ridurre la replicazione di SARS-CoV-2 nei topi, ed è ora in fase III di sperimentazione clinica.

Prendere di mira le proteine umane come eEF1A potrebbe rendere più difficile per il virus mutare per eludere il farmaco rispetto a quando il bersaglio sono le proteine virali, dice Ramos. “D’altra parte, prendere di mira una proteina ospite può portare alla tossicità”, aggiunge. Nel caso della plitidepsina, Ramos spera che la dose necessaria per limitare la replicazione della SARS-CoV-2 sia abbastanza bassa, e la durata del trattamento abbastanza breve, perché il farmaco sia un antivirale sicuro.

I ricercatori sperano di colpire una serie di altre proteine virali e umane importanti per la replicazione di SARS-CoV-2. Per esempio, il farmaco Camostat, prodotto dalla Ono Pharmaceutical di Osaka, inibisce una proteasi umana, chiamata TMPRSS2, che SARS-CoV-2 e diversi altri coronavirus usano per entrare nelle cellule umane. Camostat è già usato in Giappone per trattare condizioni non virali come la pancreatite.

Nuove combinazioni

Alcuni antivirali contro COVID-19 noti potrebbero trovare nuovi usi sia in una formulazione che li renda facili da somministrare sia in diversi gruppi di pazienti. Antivirali come il remdesivir sembrano funzionare meglio se somministrati all’inizio dell’infezione, prima dell’insorgere della malattia grave; i ricercatori stanno lavorando a formulazioni orali per vedere se è davvero così.

Peraltro, i ricercatori vogliono anche sapere se i nuovi antivirali orali potrebbero migliorare i risultati per le persone con COVID-19 grave. Gli studi clinici su molnupiravir in persone che sono state ricoverate hanno suggerito che questi farmaci non funzionerebbero contro la malattia moderata o grave, quando il sistema immunitario sta contribuendo al danno. Ma l’epidemiologo e specialista in malattie infettive Peter Horby dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, dice che gli studi sulle persone ospedalizzate potrebbero essere stati troppo ristretti affinché i ricercatori possano trarre una conclusione definitiva. È un problema comune durante la pandemia, dice: molti ricercatori hanno lanciato prove piccole e veloci, arruolando assai pochi partecipanti per dare risposte chiare. Alcuni trattamenti sono stati abbandonati prematuramente. “Gli studi non erano abbastanza grandi, e venivano abbandonati troppo presto secondo noi”, dice.

Horby è uno dei responsabili dello studio britannico RECOVERY, un grande studio multiterapia in persone ospedalizzate con COVID-19. RECOVERY testerà molnupiravir ed eventualmente Paxlovid, dice. Trattare le persone più malate potrebbe essere il modo migliore per sfruttare al meglio questi farmaci scarsi. La maggior parte delle persone infette non svilupperà una malattia grave e non c’è un modo definitivo per dire chi lo farà; dare il farmaco alle persone con una malattia lieve potrebbe non dare lo stesso beneficio che trattare coloro che sono gravemente malati. Quando le scorte dei farmaci sono basse, dice, “bisogna mirare l’uso di una risorsa limitata e costosa”.

Lo studio RECOVERY permetterà anche di iniziare a capire se questi antivirali funzionano in modo sinergico quando vengono dati insieme. Alcuni partecipanti alla sperimentazione riceveranno uno dei farmaci; altri potrebbero ricevere una combinazione dei due, o uno degli antivirali insieme a un anticorpo monoclonale. I ricercatori sperano che la combinazione di antivirali possa aumentarne l’efficacia e ridurre le possibilità che il virus sviluppi resistenza ai farmaci. “Non abbiamo molte opzioni antivirali”, dice Horby. “Se ne perdessimo qualcuna, sarebbe un fallimento.”

I ricercatori stanno esplorando anche altre opzioni per i ricoverati con COVID-19. I trattamenti in questa fase avanzata spesso si concentrano sul sistema immunitario che, portato alla frenesia dall’infezione virale, può iniziare a danneggiare i tessuti del corpo. I farmaci antinfiammatori sono in cima alla lista. RECOVERY sta ora esaminando dosi più elevate di steroidi come il desametasone, e diversi trial stanno valutando se i farmaci per il diabete chiamati inibitori SGLT2 – che si pensa potrebbero avere proprietà anti-infiammatorie – possono aiutare le persone con COVID-19 da moderata a grave.

Riutilizzo e uso nuovo

A livello globale, alcuni dei trial più importanti sono quelli che studiano farmaci ampiamente disponibili sviluppati per curare altre malattie. Per Philippe Guérin, direttore dell’Infectious Diseases Data Observatory all’Università di Oxford, è stato frustrante vedere che molti grandi studi clinici sono focalizzati su terapie che, in molti paesi, saranno troppo costose da acquistare o troppo difficili da somministrare. “C’è una chiara disconnessione tra le esigenze dei paesi a basso e medio reddito e il livello della ricerca”, dice. “La maggior parte dei grandi finanziamenti si è concentrata sui bisogni dei paesi ad alto reddito.”

Questo si è riflesso nell’attenzione inizialmente data alle persone con COVID-19 grave, che arrivavano negli ospedali e venivano trattate in unità di terapia intensiva (ICU). “Nei paesi a basso reddito, non c’è la disponibilità di terapie intensive”, dice Guérin. “Si dovrebbe cercare di evitare che i pazienti non gravi diventino gravi, e questa non era chiaramente la priorità dei finanziatori.”

Gran parte delle prime ricerche sul trattamento della forma lieve di COVID-19 si sono concentrate sugli anticorpi monoclonali, puntualizza la specialista di salute pubblica Borna Nyaoke, responsabile delle operazioni cliniche per l’Africa orientale alla Drugs for Neglected Diseases Initiative, un’organizzazione no profit con sede a Nairobi. Ma questi farmaci sono un problema per i paesi a basso e medio reddito, dice, a causa del loro costo, e perché devono essere conservati a basse temperature e somministrati da personale medico addestrato. E i nuovi antivirali orali promettono di essere meno costosi, ma sono ancora poco disponibili.

Per soluzioni più pratiche, Nyaoke guarda al trial ANTICOV, che sta arruolando partecipanti in 19 siti di 13 paesi dell’Africa sub-sahariana. Il trial sta esaminando una serie di trattamenti riproposti, tra cui l’ivermectina, un farmaco antiparassitario; uno steroide inalato chiamato budesonide; e la fluoxetina, un antidepressivo. (Altri trial, tra cui uno gestito da ACTIV, stanno testando un antidepressivo simile, chiamato fluvoxamina, che è sembrato promettente in alcuni primi studi clinici.)

Alcuni di questi trattamenti sono già stati testati – e talvolta hanno fallito – in studi clinici più piccoli. L’ivermectina, in particolare, è diventata un trattamento COVID-19 popolare ma controverso in molti paesi, nonostante gli studi clinici indichino che il farmaco non funziona come antivirale nelle prime fasi dell’infezione. Sia ACTIV che ANTICOV stanno testando nuovamente il trattamento. ACTIV sta conducendo una sperimentazione su persone con COVID-19 da lieve a moderata, e i risultati sono attesi nei prossimi mesi. “Qualunque cosa troviamo, sarà di interesse per molte persone”, dice Tabak. La sperimentazione ANTICOV testerà l’ivermectina per le sue potenziali proprietà antinfiammatorie in persone gravemente malate di COVID-19, e la combinerà con un farmaco antimalarico. I dati preclinici sono stati promettenti, dice Nyaoke. “La combinazione di farmaci con diversi meccanismi d’azione aumenta le possibilità di successo di un trattamento”, dice.

Gli sviluppatori di farmaci devono ancora affrontare sfide quando si tratta di trovare terapie per COVID-19. Per esempio, c’è una carenza di primati non umani da usare per la ricerca, e i costi degli animali sono saliti alle stelle, dice Liang.

E anche se i pianificatori di test clinici non sono a corto di partecipanti, effettuare una sperimentazione durante una pandemia è complicato: varianti virali emergenti possono cambiare lo spettro dei sintomi, la gravità della malattia e la popolazione che è più colpita. In alcuni casi, le varianti hanno reso le terapie per COVID-19 – in particolare alcuni degli anticorpi monoclonali – obsolete. Al contrario, farmaci ad azione più ampia come il remdesivir, che è stato sviluppato nel 2015 e testato contro la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) in modelli animali, e contro Ebola negli esseri umani, potrebbero essere strumenti utili nelle future pandemie. In mezzo a questo caos, è difficile sapere quale delle molte terapie in corso di sperimentazione avrà successo, dice Verdin. “L’intera faccenda è una grande bolla in movimento; i pali dell’obiettivo sono costantemente in movimento”, dice. “È molto difficile scegliere un vincitore.”

 

Fonte: Le Scienze

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