Conciliare le esigenze nutrizionali dell’umanità con una produzione alimentare sostenibile è una vera e propria sfida, anche perché non esiste una ricetta unica per nazioni ad alto e basso reddito e occorre un adattamento alle realtà locali.
Un gruppo di villaggi di pescatori punteggia la costa vicino a Kilifi, a nord di Mombasa, in Kenya. Le acque ospitano pesci pappagallo, polpi e altre specie commestibili. Ma nonostante vivano sulle rive, solo raramente i bambini dei villaggi mangiano il frutto della pesca. Il loro pasto base è ugali, farina di mais mescolata con acqua, e la maggior parte del loro nutrimento proviene dalle piante. Qui quasi la metà dei bambini soffre di rachitismo, il doppio del tasso nazionale.
Nel 2020, Lora Iannotti, ricercatrice di salute pubblica alla Washington University a St. Louis, e i suoi colleghi kenyoti hanno chiesto alla gente dei villaggi perché i bambini non mangiassero pesce, anche se tutti i genitori pescano per vivere; gli studi dimostrano che il pesce e altri alimenti di origine animale possono migliorare la crescita. I genitori hanno risposto che secondo loro aveva più senso vendere il loro pescato che mangiarlo.
Così, Iannotti e il suo gruppo stanno effettuando un esperimento controllato. Hanno dato ai pescatori trappole modificate dotate di piccole aperture che permettono ai pesci giovani di scappare. Questo dovrebbe migliorare la deposizione delle uova e la salute dell’oceano e della barriera corallina, che nel tempo è stata sovrasfruttata, e alla fine aumentare i redditi, dice Iannotti. Poi, metà delle famiglie, sarà visitata a domicilio dagli operatori sanitari della comunità per fare dimostrazioni esemplificative di cucina e incoraggiare i genitori a nutrire i figli con più pesce, soprattutto specie locali abbondanti e a crescita rapida come il ‘tafi’, il Siganus canaliculatus e il polpo. Gli scienziati controlleranno poi se i bambini di queste famiglie saranno nutriti meglio e cresceranno più alti di quelli dell’altra metà delle famiglie.
Lo scopo dell’esperimento, dice Iannotti, è capire “quali frutti di mare possiamo scegliere che siano sani per l’ecosistema e sani nella dieta”. La dieta proposta – aggiunge – dovrebbe anche essere culturalmente accettabile e accessibile.
Iannotti sta lottando con problemi che sono fra i principali obiettivi dei ricercatori, delle Nazioni Unite, dei finanziatori internazionali e di molte nazioni alla ricerca di diete che siano buone sia per le persone che per il pianeta. Più di due miliardi di persone sono in sovrappeso o addirittura obese, soprattutto nel mondo occidentale.
Allo stesso tempo, 811 milioni di persone non ricevono abbastanza calorie o nutrimento, soprattutto nelle nazioni a basso e medio reddito. Nel 2017 le diete malsane hanno contribuito a più morti a livello globale di qualsiasi altro fattore, incluso il fumo. Poiché la popolazione mondiale continua a crescere e sempre più persone iniziano a mangiare come gli occidentali, la produzione di carne, latticini e uova dovrà aumentare del 44 per cento circa entro il 2050, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).
Questo pone un problema ambientale, che si affianca alle preoccupazioni per la salute. Il nostro attuale sistema alimentare industrializzato produce già circa un quarto delle emissioni di gas serra del mondo. Rappresenta anche il 70 per cento dell’uso di acqua dolce e il 40 per cento della copertura del suolo, e si affida a fertilizzanti che disturbano il ciclo dell’azoto e del fosforo e sono responsabili di gran parte dell’inquinamento dei fiumi e delle coste.
Nel 2019, un consorzio di 37 nutrizionisti, ecologisti e altri esperti di 16 paesi – la EAT-Lancet Commission on Food, Planet, Health – ha pubblicato un rapporto che chiedeva un vasto cambiamento alimentare che tenesse conto sia della nutrizione che dell’ambiente. Una persona che segue la dieta di riferimento EAT-Lancet sarebbe “flexitariana”, mangiando piante nella maggior parte dei giorni e occasionalmente una piccola quantità di carne o pesce.
Il rapporto ha provocato un’ondata di attenzione verso le diete sostenibili, e alcune critiche sul fatto che sia pratico per tutti. Alcuni scienziati stanno ora cercando di testare diete ambientalmente sostenibili in contesti locali, senza compromettere la nutrizione o danneggiare i mezzi di sussistenza.
“Dobbiamo progredire verso diete che abbiano un’impronta ecologica drasticamente più bassa, o sarà una questione di pochi decenni prima di iniziare a vedere collassi globali della biodiversità, dell’uso della terra e di tutto il resto”, dice Sam Myers, direttore della Planetary Health Alliance, un consorzio globale con sede a Boston, che studia gli impatti sulla salute dei cambiamenti ambientali.
Emissioni dal menu
La produzione di cibo genera così tanto inquinamento da gas serra che al ritmo attuale, anche se le nazioni riducessero a zero tutte le emissioni non alimentari, non sarebbero comunque in grado di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C, l’obiettivo climatico dell’accordo di Parigi. Una gran parte delle emissioni del sistema alimentare – il 30-50 per cento, secondo alcune stime – proviene dalla catena di approvvigionamento del bestiame, perché gli animali sono inefficienti nel convertire il mangime in cibo.
Nel 2014, David Tilman, ecologo dell’Università del Minnesota a Saint Paul, e Michael Clark, scienziato dei sistemi alimentari all’Università di Oxford, nel Regno Unito, hanno stimato che i cambiamenti nell’urbanizzazione e nella crescita della popolazione globale tra il 2010 e il 2050 avrebbero causato un aumento dell’80 per cento delle emissioni legate al cibo.
Ma se tutti, in media, si attenessero a una dieta più vegetale, e le emissioni di tutti gli altri settori fossero fermate, il mondo avrebbe il 50 per cento di possibilità di raggiungere l’obiettivo di 1,5 °C. E se le diete migliorassero insieme a cambiamenti più ampi nel sistema alimentare, come la riduzione dei rifiuti, la possibilità di raggiungere l’obiettivo salirebbe al 67 per cento.
Questi risultati non piacciono all’industria della carne. Per esempio, quando nel 2015, il Department of Agriculture degli Stati Uniti stava rivedendo le sue linee guida dietetiche, cosa che accade ogni cinque anni, ha brevemente preso in considerazione l’inserimento dell’ambiente dopo che i ricercatori hanno fatto pressione sul comitato consultivo. Ma l’idea è stata respinta, presumibilmente in seguito alle pressioni dell’industria, dice Timothy Griffin, scienziato dei sistemi alimentari alla Tufts University di Boston, che è stato coinvolto nello sforzo di lobbying. Ciò nonostante, la gente ha preso nota del tentativo. “Il risultato più grande è che ha portato molta attenzione alla questione della sostenibilità”, dice.
La commissione EAT-Lancet, che è stata finanziata da Wellcome, un ente di beneficenza con sede nel Regno Unito, ha contribuito a mettere a punto una dieta più accurata. I nutrizionisti hanno esaminato la letteratura per creare una dieta di base sana composta da cibi integrali. Poi il gruppo ha impostato i limiti ambientali per la dieta, comprese emissioni di carbonio, perdita di biodiversità e uso di acqua dolce, terra, azoto e fosforo. La violazione di tali limiti ambientali potrebbe rendere il pianeta inospitale per gli esseri umani (si veda questa infografica di “Nature”).
Hanno così definito un piano alimentare diversificato e a base principalmente vegetale. Il massimo di carne rossa per un trentenne di peso medio permesso in una settimana da questa dieta da 2500 calorie al giorno è di 100 grammi, meno di un quarto di quello che consuma un tipico americano. Gli alimenti ultra-processati, come bibite, pasti surgelati e carni ricostituite, zuccheri e grassi sono per lo più evitati.
Secondo le stime della commissione, questa dieta salverebbe la vita di circa 11 milioni di persone ogni anno. “È possibile nutrire dieci miliardi di persone in modo sano, senza distruggere ulteriormente gli ecosistemi”, dice Tim Lang, ricercatore di politica alimentare alla City University di Londra e coautore del rapporto EAT-Lancet. “Che piaccia o no agli integralisti dell’industria del bestiame e dei prodotti lattiero-caseari, si trovano davvero in svantaggio. Il cambiamento è ormai inevitabile.”
Molti scienziati dicono che la dieta EAT-Lancet è eccellente per le nazioni ricche, dove la persona media mangia 2,6 volte più carne della sua controparte nei paesi a basso reddito, e le cui abitudini alimentari sono insostenibili. Ma altri mettono in dubbio che la dieta sia abbastanza nutriente per coloro che vivono in contesti a basso reddito. In uno studio non pubblicato Ty Beal, scienziato della Global Alliance for Improved Nutrition che vive a Washington, ha analizzato la dieta, scoprendo che fornisce il 78 per cento dell’apporto di zinco raccomandato e l’86 per cento del calcio per coloro che hanno più di 25 anni, e solo il 55 per cento del fabbisogno di ferro per le donne in età riproduttiva (si veda questa infografica di “Nature”).
Nonostante queste critiche, la dieta ha il merito di mettere al centro le preoccupazioni ambientali. “Prima di EAT-Lancet, non credo che in cima ai pensieri dei politici ci sia mai stata l’idea che in questa discussione globale sul cambiamento della dieta andasse presa in considerazione la sostenibilità”, dice Anne Elise Stratton, ricercatrice dei sistemi alimentari all’Università del Michigan ad Ann Arbor.
La dieta non è una raccomandazione unica, sottolinea Marco Springmann, scienziato alimentare all’Università di Oxford membro del gruppo che ha sviluppato il modello di EAT-Lancet.
Da quando il rapporto è stato pubblicato, gli esperti di sanità pubblica di tutto il mondo stanno studiando come rendere la dieta realistica per le persone di tutto il mondo, che si tratti di un adulto in sovrappeso o di un bambino denutrito.
Diete ricche
I nutrizionisti sanno che la maggior parte dei consumatori non segue le linee guida della dieta. Così alcuni scienziati stanno pensando a modi per convincere le persone ad adottare diete sane e sostenibili. In Svezia, Patricia Eustachio Colombo, scienziata della nutrizione al Karolinska Istitut di Stoccolma, e i suoi colleghi stanno testando una dieta sostenibile nelle scuole. Il loro lavoro si basa su un movimento sociale iniziato nei paesi scandinavi, noto come Nuova dieta nordica, che promuove il consumo di cibi tradizionali e sostenibili come le verdure di stagione e la carne di bestiame allevato all’aperto.
Eustachio Colombo e i suoi colleghi hanno usato un algoritmo informatico per analizzare i pasti scolastici di una scuola primaria con circa 2000 alunni. L’algoritmo ha suggerito modi per renderli più nutrienti e rispettosi del clima, riducendo per esempio la quantità di carne in un tipico stufato e aggiungendo più fagioli e verdure. I bambini e i genitori sono stati informati che i pranzi venivano migliorati, ma non conoscevano i dettagli. La maggior parte dei bambini non se n’è accorta, e non è aumentato lo spreco di cibo. Lo stesso esperimento è ora ripetuto con 2800 bambini.
“I pasti scolastici sono un’opportunità quasi unica per favorire abitudini alimentari sostenibili. Le abitudini alimentari sviluppate da bambini, tendiamo a mantenerle in età adulta”, dice Eustachio Colombo.
L’educazione alimentare è un fattore di grande rilevanza per il raggiungimento della sostenibilità alimentare e ambientale.
La dieta è molto diversa da quella di EAT-Lancet, spiega Colombo: è più economica e include più cibi amidacei, come le patate, che sono un punto fermo della cucina svedese. È anche più nutriente e culturalmente accettabile, dice. “Questo evidenzia l’importanza di adattare la dieta EAT-Lancet alle circostanze locali di ogni paese o anche all’interno dei paesi”, dice.
Dall’altra parte dell’Atlantico, alcuni accademici e ristoratori stanno provando la dieta in ambienti a basso reddito. A Baltimora, nel Maryland, una collaborazione tra un’azienda di catering e un ristorante, entrambi costretti a chiudere durante la pandemia di COVID-19, grazie a donazioni ha iniziato a fornire pasti gratuiti basati sulla dieta EAT-Lancet alle famiglie che vivono in “deserti alimentari”, aree dove è difficile disporre di cibo nutriente e conveniente. Un pasto comprendeva torte di salmone con verdure miste di stagione, couscous israeliano e salsa cremosa al pesto.
I ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora hanno intervistato 500 persone che hanno provato questi pasti e hanno scoperto che il 93 per cento delle 242 persone che hanno completato il sondaggio ha detto di averli graditi. Il rovescio della medaglia? Ogni pasto finanziato dalle donazioni costa dieci dollari, cinque volte l’importo attualmente fornito dal programma americano di buoni pasto.
“È davvero chiaro che con un gigantesco cambiamento nelle diete, si potrebbe davvero migliorare l’impatto ambientale, ma ci sono barriere culturali ed economiche che lo impediscono”, dice Griffin.
Difficile da digerire
Per i ricercatori che esplorano le diete future in alcune nazioni a basso o medio reddito, un ostacolo è in primo luogo scoprire che cosa mangiano le persone. “Per me in questo momento è letteralmente una scatola nera”, dice Purnima Menon dell’International Food Policy Research Institute di Delhi, che ha studiato le diete in India. I dati su ciò che la gente mangia sono vecchi di un decennio, dice.
Ottenere queste informazioni è cruciale, perché nel Global Hunger Index l’India è al 101° posto su 116 paesi e ha il maggior numero di bambini che sono troppo magri per la loro altezza.
Usando ciò che è disponibile, Abhishek Chaudhary, scienziato dei sistemi alimentari all’Indian Institute of Technology a Kanpur e già membro del gruppo EAT-Lancet, e il suo collega Vaibhav Krishna del Politecnico federale svizzero di Zurigo (ETH) hanno usato un modello informatico basato su dati ambientali locali relativi ad acqua, emissioni, uso della terra e fosforo e azoto per progettare diete per tutti gli Stati dell’India. L’algoritmo ha suggerito diete che avrebbero soddisfatto i requisiti nutrizionali, tagliato le emissioni legate al cibo del 35 per cento e non avrebbero messo sotto pressione altre risorse ambientali. Ma coltivare la quantità di cibo richiesta richiederebbe il 35 per cento di terra in più – cosa impraticabile nella nazione sovraffollata – o rendimenti più alti. E i costi del cibo sarebbero saliti del 50 per cento.
Diete sane e sostenibili sono costose anche altrove. La diversità dietetica consigliata da EAT-Lancet – noci, pesce, uova, latticini e altro – è impossibile da raggiungere per milioni di persone, afferma Iannotti.
I conducenti di risciò a Dhaka, in Bangladesh, si fermano per il pranzo. In Asia meridionale il costo di una dieta per la “salute planetaria” è fuori dalla portata di molti.
Infatti, nel 2011 – l’ultimo anno per cui si hanno dati globali sui prezzi degli alimenti – seguire una simile dieta sarebbe costato a una persona media 2,84 dollari al giorno (media globale), circa 1,6 volte superiore alla media del costo di un pasto nutriente di base.
Ci sono poi altre impraticabilità. Prendiamo, per esempio, le limitazioni sulla carne. In luoghi con carenze di nutrienti e dove gli alimenti prescritti dalla dieta non sono disponibili, i prodotti di origine animale sono una fonte cruciale di nutrienti facilmente biodisponibili oltre alle piante, dice Iannotti. In molte aree delle nazioni a basso reddito, i sistemi agricoli sono su piccola scala e includono sia colture che animali domestici, che possono essere venduti nei momenti di bisogno della famiglia, dice Jimmy Smith, direttore generale dell’International Livestock Research Institute di Nairobi.
“Il contadino degli altopiani dell’Etiopia che produce latte ha tre o quattro animali nel suo cortile, e ognuno di questi animali è un membro della famiglia, hanno dei nomi”, dice.
Menon dice che per ora, gli scienziati delle regioni a basso e medio reddito sono più preoccupati di garantire la nutrizione che di preservare l’ambiente. La FAO ha organizzato un comitato per effettuare un’analisi molto più completa di quella di EAT-Lancet. La nuova analisi sarà più globale e includerà argomenti come la sicurezza alimentare e la sostenibilità del settore zootecnico, dice Iannotti, che fa parte del comitato. La valutazione globale sarà pubblicata nel 2024. “L’impressione è che non fosse del tutto equilibrata e onnicomprensiva nella considerazione della documentazione”, dice. “Andiamo oltre e assicuriamoci di avere dati da tutto il mondo.”
Il modo per trovare diete sostenibili nelle nazioni povere è lavorare a stretto contatto con le comunità e gli agricoltori, come a Kilifi, dicono gli scienziati. Dopo aver analizzato la dieta su scala globale usando proiezioni basate su modelli, Clark pensa che gli scienziati del sistema alimentare debbano ora trovare aggiustamenti e correzioni locali per far sì che la gente mangi meglio.
“Le persone che studiano la sostenibilità alimentare devono andare nelle comunità e chiedere: Ehi, che cosa va bene per te? E, a partire da quella linea di base, interrogarsi su come possiamo iniziare a lavorare per ottenere i risultati a cui quelle comunità sono interessate.”
Fonte: Le Scienze