Le ricercatrici e i ricercatori stanno iniziando a capire in che modo le prime fasi della menopausa influenzano la salute del cervello e che cosa potrebbe significare per lo sviluppo dei trattamenti dei sintomi che accompagnano questo periodo.

Quando Naomi Rance ha iniziato a studiare la menopausa e il cervello, aveva praticamente il campo tutto per sé. E quello che stava scoprendo la sorprese. In studi su cervelli post-mortem, aveva trovato neuroni in una regione chiamata ipotalamo che nelle donne raddoppiavano approssimativamente di dimensioni dopo la menopausa. “È una cosa che cambiava molto nelle donne in post-menopausa”, afferma Rance, neuropatologa all’Università dell’Arizona a Tucson. “Doveva essere importante.”

Erano gli anni novanta e pochi altri ricercatori erano interessati. Rance ha proseguito da sola, cercando di capire cosa facessero i neuroni e mettendo a punto un modo per studiare i sintomi della menopausa nei ratti, monitorando le minuscole variazioni di temperatura nella loro coda per misurare le vampate di calore, un sintomo comune della menopausa che si pensa sia innescato nell’ipotalamo.

Trent’anni dopo, un farmaco chiamato fezolinetant, basato sulle scoperte di Rance, è in fase di valutazione da parte della Food and Drug Administration statunitense, con una decisione di approvazione prevista per la prima metà di quest’anno. Se approvato, il fezolinetant potrebbe essere una pietra miliare: la prima terapia non ormonale per trattare la fonte delle vampate di calore, un sintomo che è diventato quasi sinonimo di menopausa e che è avvertito da circa l’80 per cento delle donne che attraversano questo periodo di transizione. (Questo articolo utilizza il termine “donne” per descrivere le persone che vivono la menopausa, pur riconoscendo che non tutte le persone che si identificano come donne vanno in menopausa e non tutte le persone che vanno in menopausa si identificano come donne).

Per Rance e altri operatori del settore, il progresso del fezolinetant fino a questo punto è un segno che la ricerca sulle cause e sugli effetti dei sintomi della menopausa viene finalmente presa sul serio. Nei prossimi anni, si prevede che il numero globale di donne in post-menopausa supererà un miliardo. Ma molte donne hanno ancora difficoltà ad accedere alle cure legate alla menopausa e la ricerca su come gestire al meglio questi sintomi è rimasta indietro. La situazione sta lentamente cambiando. Grazie a migliori modelli animali e a una crescente letteratura sugli effetti dei trattamenti esistenti, un numero maggiore di ricercatori sta interessandosi al campo per colmare questa lacuna.

Sempre più spesso riconoscono che la menopausa e la fase di transizione verso di essa, denominata perimenopausa, potrebbero creare le condizioni per la salute del cervello in età avanzata, e ci sono persino indizi che potrebbero essere correlati al rischio di malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer.

Il fezolinetant e i farmaci simili in fase di sviluppo rappresentano anche un cambiamento di mentalità: dalla menopausa come condizione degli organi riproduttivi femminili, a un approccio che si concentra sulle cause e sugli effetti neurologici. “Pensiamo che la menopausa sia determinata dai cambiamenti nelle ovaie”, afferma Hadine Joffe, che studia la salute mentale e l’invecchiamento delle donne alla Harvard Medical School di Boston, in Massachusetts. “L’idea che sia il cervello a guidare la menopausa è un concetto diverso.”

Arresto graduale

La menopausa è definita come la cessazione delle mestruazioni per almeno 12 mesi consecutivi e si verifica in genere tra i 45 e i 55 anni. Ma l’interruzione della funzione ovarica associata alla menopausa raramente avviene da un giorno all’altro: molte donne sperimentano invece anni di declino ovarico irregolare, con una produzione irregolare di ormoni sessuali chiave come estrogeni e progesterone. “Non è una differenza tra la notte e il giorno, è un processo molto lungo”, afferma Ami Raval, che studia riproduzione e neurologia all’Università di Miami, in Florida. “L’ovaio sta lentamente inviando il segnale: Ehi, è ora di spegnere la nostra fisiologia.”

Questo può significare anni di ormoni fluttuanti che non si alzano e non si abbassano più secondo gli schemi un tempo prevedibili. Durante questo periodo di perimenopausa, i circuiti cerebrali che in precedenza si basavano sulla segnalazione degli estrogeni possono essere lasciati a piedi, afferma Roberta Brinton, neurobiologa all’Università dell’Arizona a Tucson.

Gli estrogeni fanno molto per il cervello: stimolano l’assorbimento del glucosio e la produzione di energia. Una volta completato il passaggio alla menopausa, i neuroni si abituano alla sua assenza. Ma nel periodo della perimenopausa, i livelli dell’ormone possono crollare una settimana per poi impennarsi in quella successiva. Il risultato può essere un periodo di disaccordo neuronale in cui le cellule cerebrali vengono periodicamente private dell’estrogeno, ma non per un tempo sufficiente a creare i percorsi necessari per adattarsi alla vita senza di esso, spiega Brinton.

La perimenopausa è anche il periodo in cui si manifestano molti dei sintomi caratteristici della menopausa. Le vampate di calore sono il segno distintivo della perimenopausa; altri sintomi includono mestruazioni irregolari, ansia, pressione alta e la temuta “nebbia cerebrale” che impedisce la concentrazione. “C’è l’idea che le donne in perimenopausa non dovrebbero essere sintomatiche, che ‘non dovrebbero ancora lamentarsi’. Ma in realtà è il periodo in cui le persone sono più sintomatiche, per certi versi” dice Joffe.

Potrebbe anche essere un momento chiave per intervenire con trattamenti che facilitino la transizione verso la menopausa e che possano rallentare il ritmo delle malattie legate all’età, che in seguito sembrano accelerare. Raval e altri ricercatori ritengono che questa transizione perimenopausale possa porre le basi per un aumento del rischio di patologie come il morbo di Alzheimer e l’ictus dopo la menopausa.

Ma la perimenopausa non ha un inizio e una fine chiari, il che la rende difficile da studiare. I grandi studi clinici su trattamenti come la terapia ormonale sostitutiva (TOS) si sono spesso concentrati su donne in post-menopausa, a volte anni dopo l’ultima mestruazione, dice Stacey Missmer, biologa esperta in studi de popolazione alla Michigan State University di Grand Rapids. “Alcune donne hanno una breve durata dei sintomi della perimenopausa, mentre altre continuano a essere sintomatiche per anni o decenni”, spiega Missmer. “E non sappiamo se questo abbia a che fare con la loro salute per il resto della vita.”

Nel frattempo, la scarsità di opzioni terapeutiche ha spinto alcune donne a cercare trattamenti non comprovati, come gli integratori a base di erbe. “Le donne sono frustrate perché cercano di ‘funzionare’ ma nessuno sa come aiutarle”, afferma Susan Davis, endocrinologa alla Monash University di Melbourne, in Australia.

Attenzione crescente

Si sta facendo strada l’idea di affrontare tutte queste questioni. Secondo Kathryn Schubert, presidente della Society for Women’s Health Research di Washington, DC, il tabù sulla menopausa – che unisce due temi storicamente messi da parte: l’invecchiamento e la salute riproduttiva delle donne – si sta attenuando. Poiché le discussioni su entrambi gli argomenti sono diventate più accettabili, le donne parlano di più dei sintomi che sperimentano durante la perimenopausa.

Anche le aziende farmaceutiche e quelle che si occupano di salute dei consumatori stanno lavorando per aumentare la consapevolezza e le dimensioni del loro mercato. La scienziata comportamentale Vasiliki Michopoulos della Emory University di Atlanta, in Georgia, afferma che lei e i suoi colleghi che studiano la menopausa nei primati non umani sono rimasti sbalorditi nel vedere una pubblicità statunitense sulle vampate di calore durante il Super Bowl di quest’anno, la partita più importante della stagione di football americano. Lo spot era sponsorizzato da Astellas Pharma, l’azienda farmaceutica di Tokyo che sta sviluppando il fezolinetant. “La chat del gruppo di ricerca è esplosa”, racconta Michopoulos. “Ho detto: L’ho appena visto? Durante il Super Bowl?”

I ricercatori sperano che a questa spinta pubblicitaria seguano i finanziamenti. In genere il settore è stato privo di programmi di sovvenzioni a lungo termine, creando un ambiente di finanziamento incerto e scoraggiando i ricercatori dallo studiare la menopausa. Quando nel 2018 un filantropo si è rivolto a Jennifer Garrison, neuroscienziata al Buck Institute for Research on Aging di Novato, in California, per finanziare la ricerca sull’invecchiamento riproduttivo, Garrison ha faticato a trovare ricercatori da sostenere. “Non perché non ci siano domande interessanti: è uno dei problemi più affascinanti che possa immaginare”, dice. “È che non ci sono stati finanziamenti.”

Oltre a questa crescente attenzione, anche i metodi di ricerca si stanno aggiornando. Alcune specie di balene sono gli unici animali conosciuti a subire una menopausa naturale come gli esseri umani. La maggior parte delle specie rimane in grado di riprodursi fino alla morte. “La menopausa è una cosa umana”, afferma Teresa Milner, neuroscienziata alla Weill Cornell Medicine di New York. “Per questo è difficile da studiare.”

Per ovviare a questo problema, il campo ha storicamente studiato animali a cui sono state rimosse chirurgicamente le ovaie. I ricercatori possono quindi aggiungere nuovamente quantità controllate di estrogeni e progesterone, i due principali ormoni prodotti dalle ovaie, per simulare il passaggio alla menopausa. Ma raramente aggiungono gli altri ormoni che si trovano nelle ovaie in quantità minori, come il testosterone, dice Joffe.

Negli ultimi anni, i finanziatori della ricerca hanno spinto il settore ad abbandonare questo modello. Un’alternativa è quella di usare topi femmina invecchiati; un’opzione più sfumata è quella di trattare i topi con il 4-vinilcicloesene diepossido, una sostanza chimica usata nella produzione di pneumatici in gomma e in altri processi industriali. Questa sostanza uccide i follicoli primari dell’ovaio e induce un periodo di fluttuazione degli estrogeni che imita la perimenopausa.

Rimedi migliori

Milner spera che questi modelli possano essere utilizzati per sviluppare trattamenti migliori per i sintomi della menopausa. Attualmente, l’opzione principale è quella di sostituire gli estrogeni, e talvolta il progesterone, che iniziano a diminuire durante la perimenopausa. Ma non tutte le persone sono candidate alla terapia ormonale sostitutiva (TOS), in particolare quelle che sono a rischio di coaguli di sangue o che hanno avuto un cancro al seno, dice Davis.

Inoltre, per quanto riguarda la terapia ormonale sostitutiva, i ricercatori sono ancora lontani dal capire quali siano le dosi e i tempi migliori per le singole donne. Nel 2002, un ampio studio statunitense chiamato Women’s Health Initiative ha interrotto precocemente un trial sulla TOS, dopo aver scoperto che le donne in menopausa che assumevano estrogeni e progesterone presentavano un rischio maggiore di cancro al seno invasivo rispetto a quelle del gruppo di controllo. Un altro braccio dello studio è stato interrotto nel 2004 dopo aver riscontrato un aumento del tasso di ictus nelle donne che assumevano solo estrogeni. La controversia che ne è seguita ha indotto molte donne a interrompere l’assunzione della TOS.

I critici hanno sollevato molte perplessità sullo studio: alle partecipanti erano stati somministrati livelli relativamente elevati di ormoni sintetici e molte di esse avevano più di 60 anni e avevano completato da tempo la transizione verso la menopausa. Quando i dati sono stati analizzati, l’aumento del rischio di cancro al seno invasivo era limitato a coloro che avevano assunto la TOS per più di dieci anni e alcuni dati suggeriscono che il rischio di ictus può essere minimizzato usando forme topiche di estrogeni, come cerotti o gel, invece che compresse orali. I dibattiti sulla TOS che ne sono seguiti hanno ossessionato ricercatori e medici, lasciando poco spazio all’esplorazione di altri modi per trattare i sintomi, afferma Missmer.

Dal 2002, una serie di studi più piccoli ha suggerito che la TOS potrebbe essere utile non solo per alleviare le vampate di calore, ma anche per prevenire le malattie cardiovascolari e preservare la salute delle ossa, se somministrata per tempo durante la transizione alla menopausa. Le donne più anziane che hanno partecipato alla Women’s Health Initiative avevano superato da anni la fase della perimenopausa e il loro corpo si era adattato alla vita senza estrogeni, dice Milner. “Si cerca di trattare con gli estrogeni in un momento in cui la maggior parte dei recettori degli estrogeni non ricorda cosa dovrebbero fare gli estrogeni”, dice Milner. “Pensiamo che ci sia una finestra di opportunità durante la perimenopausa.”

Finora, tuttavia, questa finestra non è stata definita e anche l’inizio della TOS in perimenopausa non allevia tutti i sintomi. “La TOS non è una soluzione perfetta”, afferma Garrison. “Questo mi dice che ci sono altre cose in ballo.”

Rance è stata tra le prime a tirare le fila di questa situazione. I suoi minuscoli misuratori di temperatura l’hanno aiutata a stabilire nel 2011 che l’attivazione del recettore di una molecola chiamata neurochinina B innescava nei ratti cambiamenti simili alle vampate di calore. Il lavoro ha attirato l’attenzione dell’endocrinologo Waljit Dhillo dell’Imperial College di Londra, che stava studiando la neurochinina B per altri motivi. Dhillo e i suoi colleghi trasferirono gli studi di Rance nella clinica e scoprirono che un composto che impedisce alla neurochinina B di legarsi al suo recettore cellulare riduceva le vampate di calore nelle donne che ne manifestavano almeno sette al giorno.

I ricercatori che collaborano con Astellas Pharma hanno poi dimostrato che anche il fezolinetant, un composto simile, riduce la frequenza del sintomo nelle donne che soffrono di vampate di calore da moderate a gravi associate alla menopausa. Questo potrebbe avere un impatto significativo sulla salute, visto quanto è comune questo sintomo durante la perimenopausa, afferma la neuroendocrinologa Stephanie Correa dell’Università della California a Los Angeles.

Una riduzione delle vampate di calore (invece della loro totale cessazione) significa che c’è spazio per un miglioramento, aggiunge, ma ciò richiede una maggiore comprensione della regolazione della temperatura corporea. “Il farmaco si basa su una ricerca di base di 30 anni fa”, afferma l’esperta. “Per quanto riguarda il passo successivo, mi sembra che siamo ancora molto lontani.” Inoltre, Correa ha dovuto lottare contro le resistenze delle agenzie di finanziamento e dei colleghi per la scelta dell’argomento. “Dato che le vampate di calore non sono pericolose per la vita, vengono percepite come non altrettanto importanti”, dice Correa.

Costellazione di sintomi

Le vampate di calore possono essere più che un inconveniente. Oltre a essere fastidiose e a ostacolare la vita quotidiana, contribuiscono in modo determinante ai disturbi del sonno che molte donne sperimentano durante la perimenopausa. Inoltre, secondo Joffe, il sonno interrotto potrebbe contribuire ad altre caratteristiche indesiderate della menopausa, come l’ipertensione, i cambiamenti metabolici e l’ansia. Alcuni studi suggeriscono che anche bassi livelli di estrogeni possono contribuire ai risvegli notturni, indipendentemente dalle vampate di calore.

Questo è solo uno dei tanti effetti che la riduzione dei livelli di estrogeni può avere sul cervello, dice Brinton. Lei e i suoi collaboratori hanno scoperto che la diminuzione dei livelli di ormoni sessuali ha effetti enormi sul metabolismo e sullo stato immunitario del cervello sia nei roditori che negli esseri umani. La chiave è il ruolo degli estrogeni nella regolazione dell’assorbimento del glucosio, la principale fonte di cibo del cervello. Brinton e i suoi colleghi hanno scoperto che quando i livelli di estrogeni diminuiscono, l’attività metabolica nel cervello inizialmente crolla, dice Brinton. “Questa risposta alla fame sta inviando un SOS: sto morendo di fame; ho bisogno di un altro carburante.”

In risposta, dice Brinton, il cervello inizia a spostare il suo metabolismo dal glucosio ai lipidi. Questa transizione, a suo avviso, può innescare l’infiammazione, che a sua volta potrebbe contribuire all’appannamento cerebrale sperimentato durante la menopausa e all’aumento del rischio di Alzheimer e Parkinson che le donne devono affrontare dopo la menopausa. “La perimenopausa è una parte molto importante di questa transizione”, afferma l’autrice. “Dipende molto da come va la transizione perimenopausale, se se ne esce con un rischio maggiore generato dall’infiammazione o se si sta bene.” Brinton e i suoi collaboratori stanno conducendo studi di imaging cerebrale su donne in perimenopausa per estendere le loro scoperte oltre i modelli animali. I risultati ottenuti finora suggeriscono che, dopo un periodo di disordine neurobiologico, il consumo di glucosio nel cervello si stabilizza in una “nuova normalità” post-menopausale e le prestazioni delle persone nei test di memoria e cognitivi migliorano.

Anche gli studi epidemiologici in corso potrebbero confermare la relazione tra perimenopausa e salute del cervello. Lo US Study of Women’s Health Across the Nation, per esempio, sta seguendo le donne tra i 42 e i 52 anni di età con visite cliniche, esami del sangue e immagini della densità ossea, e quindi potrebbe cogliere alcuni aspetti della transizione perimenopausale.

Per quanto riguarda Rance, l’anno scorso è andata in pensione e ha chiuso il suo laboratorio, lasciando un campo un po’ più popolato di quando ha iniziato. “Ma non così tanto come si potrebbe pensare”, aggiunge. “C’è ancora molto spazio per chi fa ricerca di base.”

 

Fonte: Le Scienze

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