L’analisi di centinaia di migliaia di scansioni di risonanza magnetica, la più grande collezione di questo genere, mostra le variazioni del volume del cervello dalla fase fetale alla vecchiaia. Se da una parte questi dati potranno essere utili nella pratica clinica, l’approccio basato su un’ampia statistica potrebbe estendersi ad altre ricerche in questo campo.
I ricercatori hanno creato grafici di crescita del cervello che coprono la durata della vita umana aggregando oltre 120.000 scansioni
Quando il neuroscienziato Jakob Seidlitz ha portato suo figlio di 15 mesi dal pediatra per un controllo la scorsa settimana, ne è uscito insoddisfatto. Non c’era nulla di preoccupante: il piccolo sembrava svilupparsi a un ritmo normale, secondo le tabelle di altezza e peso utilizzate dal medico. Quello che Seidlitz sentiva mancare era una metrica equivalente per misurare la crescita del cervello di suo figlio. “È scioccante quante poche informazioni biologiche abbiano i medici su questo organo cruciale”, spiega Seidlitz, che lavora all’Università della Pennsylvania a Philadelphia.
Presto potrebbe essere in grado di cambiare le cose. Insieme ai colleghi, Seidlitz ha accumulato più di 120.000 scansioni del cervello – la più grande collezione di questo genere – per creare i primi grafici completi di crescita per lo sviluppo cerebrale. I grafici mostrano visivamente come il cervello umano si espanda rapidamente all’inizio della vita e poi si contragga lentamente con l’età. La vastità dello studio ha sbalordito i neuroscienziati, che per molto tempo hanno dovuto fare i conti con problemi di riproducibilità delle proprie ricerche, in parte a causa delle piccole dimensioni dei campioni. La risonanza magnetica (MRI) è infatti costosa, il che spesso limita il numero di partecipanti che possono essere arruolati negli esperimenti.
“L’ampio insieme di dati che hanno messo insieme è impressionante e stabilisce davvero un nuovo standard per questo campo di studi”, afferma Angela Laird, neuroscienziata cognitiva della Florida International University di Miami.
Nonostante ciò, gli autori avvertono che la loro banca dati non si può considerare del tutto inclusiva: hanno fatto fatica a raccogliere scansioni del cervello da tutte le regioni del mondo. I grafici risultanti, avvertono, sono solo una prima bozza, e sarebbero necessarie ulteriori modifiche per distribuirli in ambienti clinici.
Se alla fine i grafici saranno distribuiti ai pediatri, sarà necessaria una grande attenzione per garantire che non siano male interpretati, sottolinea Hannah Tully, neurologa pediatrica all’Università di Washington a Seattle. “Un cervello grande non è necessariamente un cervello ben funzionante”, spiega.
Un compito non facile
Poiché la struttura del cervello varia in modo significativo da persona a persona, i ricercatori hanno dovuto aggregare un numero enorme di scansioni per creare un insieme rigoroso di grafici di crescita con significato statistico. E questo non è un compito facile, spiega Richard Bethlehem, neuroscienziato dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito, coautore dello studio. Invece di eseguire autonomamente migliaia di scansioni – un approccio che richiederebbe decenni e avrebbe costi proibitivi – i ricercatori hanno utilizzato studi di imaging cerebrale già completati.
Bethlehem e Seidlitz hanno inviato e-mail a ricercatori di tutto il mondo chiedendo di condividere i loro dati di imaging cerebrale per il progetto. I due scienziati sono rimasti stupiti dal numero [elevato] di risposte, in parte attribuibili alla pandemia di COVID-19, che ha dato ai ricercatori meno tempo da trascorrere nei laboratori e più tempo del solito da dedicare alla posta elettronica.
Complessivamente, il gruppo ha raccolto 123.894 scansioni di risonanza magnetica di 101.457 soggetti, con un intervallo di età che andava dai feti di 16 settimane ad adulti di 100 anni. Le scansioni includevano cervelli di persone neurotipiche, così come persone con una varietà di condizioni patologiche, come la malattia di Alzheimer, e differenze neurocognitive, tra cui il disturbo dello spettro autistico. I ricercatori hanno usato modelli statistici per estrarre informazioni dalle immagini e garantire che le scansioni fossero direttamente comparabili, indipendentemente dal tipo di macchina per la risonanza magnetica utilizzata.
Il risultato finale è una serie di grafici che mostrano diverse misure cruciali del cervello rispetto all’età. Alcune misure, come il volume della materia grigia e lo spessore corticale medio (l’ampiezza della materia grigia) raggiungono il picco all’inizio dello sviluppo dell’individuo, mentre il volume della materia bianca (che si trova più in profondità nel cervello) tende a raggiungere il picco intorno ai 30 anni. I dati sul volume ventricolare (la quantità di liquido cerebrospinale nel cervello), in particolare, hanno sorpreso Bethlehem. Gli scienziati sapevano che questo volume aumenta con l’età, perché è tipicamente associato all’atrofia cerebrale, ma Bethlehem è rimasto scioccato da quanto rapidamente tenda a crescere nella tarda età adulta.
Una prima bozza
Lo studio arriva sulla scia di un articolo dirompente pubblicato su “Nature” il 16 marzo che mostra come la maggior parte degli esperimenti di imaging cerebrale riguardi un numero di scansioni troppo limitato per rilevare in modo affidabile i collegamenti tra funzione cerebrale e comportamento, il che significa che le loro conclusioni potrebbero essere errate. Data questa scoperta, Laird si aspetta che questo campo di ricerca si muova verso l’adozione di un approccio simile a quello usato da Seidlitz e Bethlehem, al fine di aumentare la potenza statistica.
Accumulare così tanti insiemi di dati è simile a un “capolavoro diplomatico”, aggiunge Nico Dosenbach, neuroscienziato della Washington University a St. Louis, nel Missouri, coautore dello studio del 16 marzo. Egli ritiene che questa sia la scala su cui i ricercatori dovrebbero operare quando raccolgono le immagini del cervello.
Nonostante le dimensioni del set di dati, Seidlitz, Bethlehem e i loro colleghi riconoscono che il loro studio soffre di un problema tipico negli studi di imaging cerebrale: una notevole mancanza di diversità. Le scansioni cerebrali che hanno raccolto provengono principalmente dal Nord America e dall’Europa, e riflettono in modo sproporzionato popolazioni bianche, di età universitaria, urbane e ricche. Questo limita la possibilità di generalizzare i risultati, spiega Sarah-Jayne Blakemore, neuroscienziata cognitiva dell’Università di Cambridge. Lo studio include solo tre insiemi di dati provenienti dal Sud America e uno dall’Africa, che rappresentano circa l’un per cento di tutte le scansioni del cervello usate nello studio.
Miliardi di persone in tutto il mondo non hanno accesso alle apparecchiature per la risonanza magnetica, rendendo difficile ottenere dati di imaging cerebrale diversi tra loro, sostiene Laird. Ma gli autori non hanno smesso di provare. Hanno lanciato un sito web dove intendono aggiornare i loro grafici di crescita in tempo reale via via che ricevono più scansioni cerebrali.
Grandi serie di dati, grande responsabilità
Un’altra sfida era stabilire come citare in modo corretto i proprietari delle scansioni cerebrali utilizzate per realizzare i grafici. Alcune delle scansioni provenivano da set di dati ad accesso libero, mentre altre no. La maggior parte delle scansioni a dati riservati non era ancora stata elaborata in modo da poter essere incorporate nei grafici di crescita, quindi i loro proprietari hanno fatto un lavoro extra per condividerle. Questi ricercatori sono stati poi indicati come autori del documento.
D’altra parte, i proprietari dei set di dati aperti sono solo stati citati nel documento – il che non dà molto prestigio ai ricercatori in cerca di finanziamenti, collaborazioni e promozioni. In questo caso, sono stati Seidlitz, Bethlehem e i loro colleghi a elaborare i dati. Nella maggior parte dei casi, Bethlehem sostiene che non c’è stato praticamente alcun contatto diretto con i proprietari di questi set di dati. L’articolo dunque elenca circa 200 autori e cita il lavoro di centinaia di altri che hanno contribuito con scansioni cerebrali.
Ci sono diverse ragioni per cui i set di dati potrebbero essere riservati: per esempio, per proteggere la privacy dei dati sanitari, o perché i ricercatori non hanno le risorse per renderli pubblici. Ma non è corretto che i ricercatori che hanno reso disponibili liberamente i loro insiemi di dati non risultino tra gli autori. Nelle informazioni supplementari del loro articolo, Seidlitz e colleghi sostengono che la situazione “disincentiva in modo perverso la scienza aperta, poiché le persone che fanno di più per rendere i dati disponibili liberamente hanno meno probabilità di veder riconosciuto il proprio merito”. Bethlehem e Seidlitz sostengono che le linee guida delle riviste, tra cui “Nature”, sulla paternità degli articoli – secondo cui ogni autore dovrebbe aver dato “contributi sostanziali”, per esempio, all’analisi o all’interpretazione dei dati – sono un ostacolo. (La redazione di “Nature” che si occupa di notizie è editorialmente indipendente dal suo editore.)
Un portavoce di “Nature” ha risposto che la questione è stata “considerata attentamente dai redattori e dagli autori alla luce delle nostre politiche sugli autori” e che “tutti gli insiemi di dati sono stati opportunamente accreditati secondo la nostra politica di citazione dei dati”.
In definitiva, queste preoccupazioni possono essere ricondotte a come i ricercatori sono valutati dall’impresa scientifica, spiega Kaja LeWinn, epidemiologa sociale presso l’Università della California, San Francisco, che studia il neurosviluppo. Sostiene che spetta a tutte le parti interessate – compresi i finanziatori, le riviste e gli istituti di ricerca – rivalutare il modo in cui la scienza del cervello possa essere adeguatamente riconosciuta e premiata, soprattutto perché questo tipo di studi su larga scala diventerà sempre più comune.
Fonte: Le Scienze