Che cosa c’entrano neuroscienze e chimica con la leadership? Presto detto: qualsiasi comportamento umano è la conseguenza del livello di ormoni e neurotrasmettitori che abbiamo in corpo.
Potrebbe sembrare strano, ma un leader oggi dovrebbe avere anche competenze neuroscientifiche o, almeno, padroneggiare alcune basi di neurofisiologia del comportamento umano, per poter gestire in modo efficace il proprio team e, naturalmente, se stesso. Che cosa c’entrano neuroscienze e chimica con la leadership? Presto detto: qualsiasi comportamento umano è la conseguenza del livello di ormoni e neurotrasmettitori che abbiamo in corpo.
I neurotrasmettitori, per sintetizzare in modo estremo, sono responsabili di reazioni immediate, mentre gli ormoni circolano in corpo e possono esprimere il loro effetto anche in periodi di tempo più lunghi. Qui poco importa fare una disamina tecnica su queste così potenti e a volte micidiali sostanze: quel che conta è che il leader conosca almeno alcune fra le più importanti dinamiche alla base di quelle reazioni e di quelle azioni che ogni giorno si trova a dover fronteggiare. Soprattutto perché troppo spesso i guru della motivazione o i coach d’avanspettacolo fanno cattiva informazione, a suon di pensiero positivo (che può disintegrare qualsiasi performance), empatia (che può condurre a scelte folli e irrazionali) e esortazioni costanti al successo (“Dai! Dai! Dai che ce la fai! Su! Forza!”), come se la dopamina fosse la soluzione a tutti i mali. È forse giunto il momento di smetterla con pacche sulle spalle, batti il cinque e pugni chiusi da motivatori di serie B ed è giunto il momento di entrare in laboratorio.

1 – Leadership al cortisolo

Il cortisolo è spesso demonizzato come l’ormone dello stress da combattere a tutti i costi e, in effetti, avere in corpo troppo cortisolo per periodi di tempo prolungati può non essere un’idea brillante. Allo stesso tempo, il cortisolo migliora il focus in caso di situazioni di pericolo imminente e, soprattutto, aiuta a contrastare uno dei bias, ovvero uno degli errori cognitivi che può abbattere la performance: l’overconfidence bias, ovvero l’eccessiva sicurezza nelle proprie capacità e la tendenza a sottostimare l’importanza dell’impegno che può condurre il team a risultati poco positivi.
Una delle cause di overconfidence e scarsa applicazione in termini di impegno è collegata a troppo pensiero positivo che, per l’appunto, va calibrato con qualche spruzzata di confidence: qualche strigliata al momento giusto, il ricordare a tutti la difficoltà dell’impresa, il mostrare le conseguenze sistemiche del mancato raggiungimento degli obiettivi sono tecniche che possono produrre questo effetto. Può sembrare contro intuitivo, soprattutto a chi proviene dalla cultura del pensiero positivo e delle visualizzazioni: allo stesso tempo, la ricerca neuroscientifica e psicologica è chiara in tal senso. Avere chiare le conseguenze negative derivanti dal mancato raggiungimento dei risultati e parlare apertamente delle potenziali difficoltà aiuta a restare concentrati e migliora la prestazione.

2 – Adrenalina

Una delle sostanze più magiche e utili che un leader possa avere a disposizione, serve (fra le altre innumerevoli cose) a mantenere alta l’attenzione delle persone, a evitare distrazioni, a migliorare le performance comportamentali e cognitive. Come sempre, il troppo stroppia e quindi anche la adrenalina va dosata con cura. Allo stesso tempo va, appunto, utilizzata. Che cosa spegne l’adrenalina? La routine, ad esempio. Stesse cose da fare, stessi discorsi, stessi patterns durante le riunioni: il fuori contesto, la frase che non ti aspetti, un cambio di programma dell’ultimo secondo servono a mantenere alti, invece, i livelli di questa sostanza. Certo, anche stabilità e routine sono importanti, perché evitano alle persone fatiche cognitive inutili. D’altro canto, stabilità e routine fanno venir sonno: avete presente la strada che percorrete ogni giorno senza nemmeno pensarci, per cui arrivate a casa o al lavoro senza esservi resi conto di averla percorsa? Per il cervello, certamente, è un risparmio energetico importante, ma rischiate di non notare dettagli che potrebbero essere significativi. Quindi, bene le abitudini ma con qualche variazione calcolata di tanto in tanto. Cambiate strada, interrompete lo schema e pianificate l’inatteso: il vostro team sarà più felice e, soprattutto, più sveglio.

3 – Ah, l’empatia

In tanti ne parlano come se si trattasse della panacea di ogni male. Certamente è utile, ma può condurre a prendere decisioni poco intelligenti e poco prudenti. La colpa è dell’ossitocina, l’ormone dell’amore, della fiducia, della prosocialità, tanto utile in alcuni contesti quanto potenzialmente dannosa quando si parla di leadership efficace. Il leader efficace sa che deve prendere decisioni che potrebbero scontentare qualcuno e le prende comunque, a prescindere dal dispiacere che potrebbero provocare. Il leader sa che non può piacere a tutti e che, anzi, il fatto di non piacere a qualcuno è probabilmente indice della sua capacità di essere efficace. Abbracciamo l’empatia cognitiva, ovvero sviluppiamo la capacità di riconoscere e verbalizzare quelle che potrebbero essere le cause del disagio dei nostri collaboratori, ma teniamo sotto controllo l’ossitocina perché, con buona pace degli esperti di intelligenza emotiva, a volte un po’ di sana e fredda razionalità porta le aziende al successo più di quanto non facciano scampagnate, outdoor team building e pacche sulle spalle.

 

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