Sull’argomento “Morte” i popoli antichi avevano un concetto abbastanza diverso da quello delle popolazioni cosiddette civili dell’epoca moderna; ma in esperimenti relativamente recenti, studiosi medici, scienziati di Tanatologia (studio della morte), hanno ritenuto di dover recuperare l’argomento.
E che cosa hanno trovato gli scienziati? Hanno scoperto che se si mette un morente sul “piatto” di una sensibile bilancia atomica, un momento prima che il soggetto esali l’ultimo respiro, il suo peso diminuisce di qualche decina di grammi (15 gr. circa), mentre il suo corpo tende a irrigidirsi nel “rigor mortis”.
È bastato questo dato perché essi si convincessero di essere riusciti a trovare un sistema per misurare il “peso dell’anima”.
Le cose, in realtà, stanno un po’ diversamente, secondo le semplici, ma sacrosante leggi dell’Universo. Poiché tutto quello che si può dire al momento è che l’evento-morte studiato ha solo l’apparenza di un normale esperimento di laboratorio. Infatti a San Pietroburgo, dove viene condotta la maggior parte delle più serie ricerche mondiali in questione, i ricercatori dell’Università Tecnica stanno ancora cercando di rispondere a una domanda antica come l’umanità: resta qualcosa di noi dopo la morte?
“Le religioni, in ogni epoca della storia dell’uomo, hanno sempre risposto di sì “– dice Constantin Korotkov, uno dei massimi esperti nel campo di questo genere di ricerche. “È logico, esse esistono proprio perché l’uomo ha sempre pensato o sperato di essere in qualche modo immortale. La scienza si è dovuta fermare al limitare dell’ultimo respiro, semplicemente perché non c’era modo di andare oltre con prove sperimentali. I nostri esperimenti dicono tuttavia che, invece, si può andare oltre. Ci troviamo sulla spiaggia di una terra inesplorata, che si delinea sterminata, e dove un giorno troveremo risposte che potrebbero mutare l’intera nostra percezione del mondo. Tant’è che quando siamo di fronte a un corpo inanimato, incontestabilmente senza vita, abbiamo l’impressione che questo emetta ancora qualcosa.
“Sì” – insiste Korotkov – “possiamo affermare, dopo due anni di ricerche, di aver ottenuto l’evidenza sperimentale dell’attività del corpo umano almeno per alcuni giorni dopo la morte. È qualcosa che sembra contraddire tutto quanto si sapeva sino a oggi, e cioè che tutte le attività fisiologiche dell’organismo si spengono rapidamente dopo la morte clinica e vanno a zero in un determinato, breve, periodo di tempo”.
Dove il confine tra scienza ed esoterismo diventa sottile
Le domande si affollano, la tentazione di sconfinare dal solido terreno sperimentale nella sterminata serie di ipotesi, estrapolazioni, teorie, si fa irresistibile. “Qui il confine tra scienza ed esoterismo diventa sottile, ma dobbiamo resistere alla tentazione, che io stesso provo, di lanciarsi nell’ignoto”. Chi continua così il ragionamento di Korotkov è Ghennadij Nikolaevic Dulnev, il direttore del Centro di Tecnologia energetico-informativa di cui il programma di Korotkov è soltanto una parte. Il centro di Dulnev si occupa della registrazione obiettiva, della verifica, reperibilità, utilizzazione pratica di una larga serie di fenomeni “paranormali”, come telepatia e telecinesi. Si era partiti dalla ricerca diagnostica. Si suppone da tempo che il corpo umano “emetta” un campo (CEI), per ora sconosciuto, contenente una vasta quantità d’informazioni sullo stato dell’individuo, sulle sue caratteristiche biologiche, psichiche, ereditarie, quindi anche sul suo stato di salute.
Attraverso l’uso sistematico dell’“effetto Kirlian” sui pazienti, si è scoperto che il campo emesso dall’individuo contiene effettivamente dati che possono aiutare a comporre un ritratto completo, per esempio, dello stato degli organi interni. Già, ma che c’entra il cadavere? Korotkov e il suo gruppo qualche, di provare a vedere cosa succedeva sottoponendo un cadavere alla stessa analisi. Lo scopo era piuttosto semplice: “Volevamo osservare – spiega Korotkov, che è un fisico e non un medico – in quali tempi si affievolisce e scompare, dopo la morte, il campo energetico-informativo che circonda l’individuo”.
Il campo energetico-informativo dell’uomo non scompare dopo la morte!
E qui è arrivata la sorpresa. Una sorpresa sconvolgente. Il “campo” non scompare. Non solo, ma a quanto sembra l’“emissione”, tra l’altro, ha un rapporto con le “modalità della morte”. Per esempio: i defunti per vecchiaia fanno registrare un graduale indebolimento del “segnale” nelle prime 48 ore dopo il decesso. Ma esso si stabilizza e permane, seppure debole, anche oltre. Altro esempio: i decessi per incidente o per cause improvvise. In questo caso si registra un brusco aumento del “segnale” nelle prime venti ore, seguito da un’altrettanto brusca caduta, fino a un livello stabile e debole. Il terzo esempio è il più inquietante. Riguarda i decessi in condizioni di acuta sofferenza, in seguito ad assassinio, violenze fisiche. Qui l’emissione post mortem ha un andamento irregolare che si prolunga per l’intero periodo di osservazione (finora per i cinque giorni successivi alla morte) e non registra alcuna stabilizzazione (esplosioni d’intensità cui fanno seguito cadute improvvise). In particolare i suicidi mostrano un andamento delle emissioni talmente convulso da poter essere distinto da tutte le altre cause di morte. “La criminalistica – dice Korotkov – può usare questi risultati per stabilire senza margine di errore se il defunto è stato ucciso o si è ucciso”.
Balza agli occhi una serie di immediate conseguenze. Il corpo del defunto “trasmette” informazioni che “ricordano” gli ultimi istanti della vita. E questa informazione persiste indipendentemente dall’allontanarsi dal momento della morte. Com’è possibile? E perché le osservazioni si sono fermate al quinto giorno? “Per ragioni legali – risponde Korotkov – i corpi che ci vengono dati in osservazione debbono essere restituiti all’autorità giudiziaria. Certo vorremmo andare oltre, fino al nono o al quarantesimo giorno, per vedere cosa succede. Ma oltre non possiamo andare, per adesso. L’ostacolo è giuridico-legale”. E perché questi due intervalli? “Perché siamo convinti che le credenze religiose di molti popoli abbiano a che fare con quel che stiamo studiando”.
Siamo vicini alla scoperta di qualcosa di simile all’”anima”?
“Ciascuno la chiami come vuole. Il nostro linguaggio risente della nostra cultura attuale e delle nostre tradizioni” – commenta Dulnev – “ma io penso che dobbiamo cominciare a pensare che il nostro mondo è molto più complesso di quanto crediamo. Noi viviamo oggi nello spazio-tempo-materia. Non basta per spiegare fenomeni come quelli di cui stiamo parlando. Bisogna supporre l’esistenza di un’altra dimensione, di un campo informativo dove le trasmissioni avvengono a velocità superiore a quella della luce”. “Sono ipotesi – continua Korotkov – ma noi pensiamo che i guaritori (e, in linea di principio, ogni individuo) siano come degli apparecchi rice-trasmittenti imperfetti che riescono a sintonizzarsi con questo campo”. “Questo spiegherebbe perché i risultati dei singoli esperimenti possono essere contraddittori. Ma sul piano statistico, una volta raggiunta una sufficiente quantità di dati, questa contraddittorietà scompare.
Fonte: SC Scienza Conoscenza