Bambini e adulti di tutto il mondo ogni anno soffrono di infezioni respiratorie che vanno dal banale raffreddore all’influenza fino a malattie più serie. Poco è stato fatto per limitare l’impatto di queste malattie, considerate qualcosa di inevitabile. «Ma non è così – scrivono su Science 39 scienziati di tutto il mondo esperti di trasmissione di agenti patogeni per via aerosol – perché le nuove conoscenze scientifiche, l’ingegneria edile e politiche di sanità pubblica adeguate possono permetterci di controllare la qualità dell’aria, così come siamo riusciti a controllare quella dell’acqua e degli alimenti per limitare la trasmissione di malattie». «Dobbiamo mettere le fondamenta per garantire che l’aria nei nostri edifici sia pulita, con un numero di patogeni significativamente ridotto, proprio come l’acqua che esce dai nostri rubinetti» aggiunge Cath Noakes, professoressa di ingegneria ambientale all’Università di Leeds.
Il messaggio è chiaro: questo ritardo di lunga data, dovuto anche alla negazione (errata) del ruolo dell’aerosol nella trasmissione delle malattie respiratorie, lo stiamo pagando caro con la pandemia da Covid-19, ma è arrivato il momento di cambiare paradigma, grazie ai progressi della conoscenza scientifica, perché gli strumenti per garantire la sicurezza degli ambienti chiusi ci sono, basta usarli. La professoressa Lidia Morawska esperta di qualità dell’aria presso la Queensland University of Technology (Australia), sta guidando un appello internazionale, chiedendo il riconoscimento universale che le infezioni possono essere prevenute migliorando i sistemi di ventilazione interna, proprio come nel 1800 le città iniziarono a organizzare forniture di acqua pulita e a centralizzare i sistemi fognari.
Proprio in questi giorni, con grande ritardo, prima l’Organizzazione mondiale della Sanità, poi in modo più marcato i CDC americani hanno aggiornato le linee guida su come viene trasmesso il coronavirus, sottolineando il ruolo centrale dell’aerosol, particelle respiratorie infettive che possono galleggiare a lungo nell’aria e i pericoli degli ambienti chiusi, scarsamente ventilati e affollati.
Già nel maggio del 1945 Williams Wells, scienziato americano che per primo capì che la tubercolosi poteva trasmettersi attraverso goccioline respiratorie, si lamentò su The Scientific Monthly (poi assorbito da Science) del fatto che «il ritardo nella ventilazione sanitaria durante un periodo di rapido sviluppo della purificazione dell’acqua, della pastorizzazione del latte e del controllo sugli alimenti è un paradosso di salute pubblica».
La maggior parte dei Paesi sviluppati infatti non tollererebbe un rischio di infezione superiore a 1 su 10 mila per quanto riguarda l’acqua potabile o gli alimenti. Eppure in questi stessi Paesi i bambini ogni anno sono colpiti più volte da infezioni alle vie respiratorie, tra le quali l’influenza che è causa di morte fra la popolazione anziana. I governi di tutto il mondo hanno giustamente investito denaro per garantire adeguati servizi igienico-sanitari e acqua potabile negli ultimi 150 anni. Le infezioni respiratorie sono invece considerate come una parte imprescindibile della vita quotidiana. «Non è stato visto l’enorme iceberg sotto il pelo dell’acqua» ovvero le gigantesche conseguenze portate dalle malattie trasmesse attraverso l’aria.
La pandemia da Covid-19 ci ha messi davanti a una realtà che ormai è sotto gli occhi di tutti con costi umani, sociali ed economici senza eguali. Negli anni è stato trascurato il ruolo che ha l’aria in circolo all’interno degli edifici nella diffusione dei virus. «I vaccini prodotti a tempo record sono visti come la salvezza, ma in realtà rappresentano solo una delle misure protettive» commenta Giorgio Buonanno, professore di Fisica tecnica ambientale dell’Università di Cassino, tra gli autori del documento – «È ormai evidente che i vaccini, con l’arrivo delle varianti e il manifestarsi talvolta di infezioni nonostante l’immunizzazione, da soli non basteranno per vincere la pandemia. I vaccini, lo sappiamo, non proteggono al 100%. Dobbiamo allora arrivare a controllare anche la qualità dell’aria, il mezzo attraverso cui si diffonde Sars-CoV-2 con un’adeguata ventilazione degli spazi chiusi. Il mix tra vaccini e ventilazione potrà davvero farci tornare alla vita pre-Covid. E ventilare adeguatamente gli edifici potrà difenderci anche da future pandemie».
Ci sono però criticità di cui va tenuto conto. È molto più difficile intercettare le infezioni trasmesse attraverso l’aria rispetto a quelle portate dall’acqua contaminata o di origine alimentare. La contaminazione del cibo o dell’acqua proviene quasi sempre da un luogo facilmente identificabile come un pozzo, un acquedotto, un alimento e le conseguenze sulla salute sono praticamente immediate (in genere si manifestano problemi gastrointestinali). Non c’è un periodo di incubazione così lungo come per Covid-19. Inoltre gli studi sulla trasmissione aerea sono molto più difficili perché l’aria è ovunque e i flussi all’interno degli edifici sono complessi e non ci sono sistemi di misurazione standardizzati.
Per decenni architetti e ingegneri si sono occupati del comfort termico, del controllo degli odori, del consumo energetico, tralasciando però completamente il controllo della qualità dell’aria per prevenire le infezioni. «Per arrivarci – aggiungono gli scienziati – è necessario un cambiamento nel paradigma in cui vediamo la trasmissione delle infezioni respiratorie, partendo dal presupposto che il rischio è gestibile, il problema è trattabile, esattamente come lo è il controllo di alimenti e acqua per garantire la salute pubblica». Solo è un po’ più difficile.
Per gli agenti patogeni come Sars-Cov-2 va valutato il rischio di infezione tenendo conto del tipo di emissione (respirare, parlare, cantare), delle dimensioni della stanza, del numero di persone presenti, del tempo di permanenza, di quanto è trasmissibile l’agente infettivo.La società urbanizzata trascorre al chiuso il 90% del tempo. Questo non significa che ogni ambiente deve diventare una struttura di biosicurezza, ma che i nuovi edifici andrebbero progettati valutando le attività che si svolgono all’interno: una palestra dove gli atleti si allenano respirando intensamente avrà standard di ventilazione diversi rispetto a un cinema dove il pubblico è fermo, rilassato e in silenzio. Può sembrare complicato ma esistono già modelli flessibili che possono essere applicati.
Molto si può fare anche per gli edifici già esistenti con interventi ad hoc. La misura chiave per limitare la trasmissione aerea di malattie infettive (non solo Covid, ma anche influenza, morbillo, raffreddori) è laventilazione, supportata dalla filtrazione e dalla disinfestazione dell’aria. Per ventilazione si intende una quantità di aria esterna oppure aria di ricircolo opportunamente filtrata. Negli edifici, secondo linee guida dell’Oms, deve essere garantita una qualità dell’aria interna accettabile, con tassi di ventilazione adeguati per limitare odori e anidride carbonica. Non esistono però indicazioni per mitigare la diffusione di virus e batteri negli spazi interni provenienti dall’attività respiratoria e neppure limiti precisi sull’esposizione agli inquinanti. Alzare la frequenza dei ricambi d’aria degli impianti esistenti potrebbe già essere un punto di partenza. E dove non è possibile per motivi strutturali (o economici) si può intervenire con purificatori portatili.
«Gli standard di ventilazione degli edifici devono prevedere un deciso miglioramento della ventilazione, filtrazione e disinfezione dell’aria, monitor che permettano al pubblico di osservare in tempo reale la qualità dell’aria negli ambienti chiusi, rendendo così le persone maggiormente consapevoli nel richiedere ambienti sicuri e i progettisti responsabili del processo» aggiungono.
È chiaro che una maggiore ventilazione richiede maggiore consumo di energia, per questo va adeguata alla richiesta del momento. Un problema serio è che certe misure non possono essere facilmente adottate durante una pandemia e la maggior parte degli edifici non sono stati progettati per limitare le infezioni respiratorie (ad eccezione degli ospedali moderni).
«Il cambiamento di paradigma di cui abbiamo bisogno è molto più profondo del semplice “ripensamento” del modo in cui gestiamo edifici e trasporti. Richiede un cambiamento nel modo in cui l’umanità pensa alla trasmissione di infezioni respiratorie, partendo dal modo in cui l’igiene viene spiegata a scuola, o da come vengono formati gli studenti di medicina o di tutte le materie, dalla sanità pubblica all’ingegneria che hanno a che fare con questi temi» concludono gli scienziati. «Ventilare gli ambienti per mitigare la diffusione di malattie trasmesse da aerosol è possibile, basta prenderne coscienza» dice ancora Buonanno.
L’utilità non è solo nel salvaguardare la salute, si tratta anche (paradossalmente) di una questione di costi. Le spese per le infezioni superano di gran lunga i costi delle infrastrutture iniziali per contenerle. Solo negli Stati Uniti il costo annuale (diretto e indiretto) dell’influenza è stato calcolato in 11,2 miliardi di dollari nel 2018; per le infezioni respiratorie diverse dall’influenza in 40 miliardi di dollari (anno 2003). «Quando il costo economico finale dell’attuale pandemia sarà disponibile sarà ancora più chiaro quanto stiamo pagando l’inerzia di non investire nella ventilazione meccanica». Le spese iniziali per questi investimenti sarebbero a carico di altri rispetto a chi paga i costi sanitari, per questo può esserci resistenza a investire. Ma in qualsiasi sistema complesso costi e benefici non sono mai distribuiti in modo omogeneo: è inevitabile che l’investimento di uno generi risparmi anche ad altri, per questo, suggeriscono gli scienziati, eventuali incentivi andrebbero ben distribuiti.
I vantaggi nell’investire nel miglioramento della qualità dell’aria ridurrà non solo la trasmissione di malattie infettive ma anche l’assenteismo sul posto di lavoro dovuto a reazioni allergiche o per causa della sindrome dell’edificio malato (manifestazioni cliniche che si manifestano in un numero elevato di occupanti che trascorrono svariate ore in un edificio dotato di impianto di ventilazione meccanica senza immissione di aria fresca dall’esterno) . Eventuali spese per modifiche alla ventilazione potranno essere compensate da una riduzione di perdita di produttività. Insomma ne hanno da guadagnare tutti: i datori di lavoro e il sistema sanitario.
Fonte: Corriere della Sera