La mascherina. Uno dei simboli più potenti di questa pandemia, non più semplice misura di igiene pubblico, ma accessorio fondamentale del bon ton pandemico. Odiata da chi vorrebbe riaprire, amata da chi ritiene più sagge chiusure e cautele. Fenomeni di costume a parte, a guardar bene il dibattito sulla reale utilità delle mascherine non si è mai concluso neanche tra gli esperti: c’è chi considera inutile, peggio dannoso, l’obbligo di indossarle all’aperto, dove il rischio di contagio in caso di virus a trasmissione aerea è per definizione molto limitato; e chi invece la ritiene una misura importante, se non per limitare i contagi direttamente, quanto meno per educare la popolazione alle necessarie premure. Due posizioni antitetiche, che vengono esplorate a fondo in un contraddittorio appena pubblicato sul British Medical Journal in cui è stato chiesto a sei esperti di rispondere a una semplice domanda: le mascherine devono essere indossate anche all’aperto?
Le ragioni del sì
Schierati sul fronte del sì troviamo Babak Javid, esperto di medicina sperimentale dell’Università della California di San Francisco, e i neonatologi Dirk Bassler e Manuel Bryant, dell’Università di Zurigo. I contagi all’aperto – ammettono i tre esperti – sono senz’altro meno comuni di quelli al chiuso (alcune ricerche suggeriscono che i rischi siano inferiori dalle quattro alle 20 volte), ma non del tutto assenti. L’esempio citato dai tre specialisti è il focolaio scoppiato durante lo Sturgis Motorcycle Rally, un raduno di motociclisti che si tiene ogni anno in SouthDakota, negli Usa. L’edizione dello scorso anno è stata al centro di un evento di superspreading, cioè un evento di superdiffusione del virus, che ha causato centinaia (qualcuno parla di migliaia, se non centinaia di migliaia) di infezioni da Covid 19 tra i partecipanti.
Una delle spiegazioni riguarda proprio la scarsa propensione da parte di molti partecipanti al rispetto delle misure anti covid di base, come il distanziamento, l’igiene delle mani e l’utilizzo della mascherina. In situazioni di affollamento, dunque, anche all’aperto esisterebbe un rischio concreto di trasmissione del virus tale da giustificare l’imposizione della mascherina. Non è tutto: alcuni dati osservazionali indicherebbero che il maggior numero di infezioni tra i partecipanti sarebbero avvenute in persone provenienti da stati in cui si è posta meno enfasi sul rispetto delle misure anti Covid, a dimostrare che l’imposizione di norme di condotta da parte delle autorità sanitarie, anche durante i periodi di relativa calma, è un atteggiamento utile per sensibilizzare la popolazione, che dà i suoi frutti nei momenti di picco epidemico. Familiarizzare con la mascherina quando potrebbe anche non servire (all’aperto, in estate, quando si è in pochi), insomma, aiuta a ricordarsi di usarla quando diviene indispensabile, come quando ci si trova al chiuso, o quando i contagi tornano a salire inesorabilmente. Per questo motivo, i tre esperti si schierano a favore dell’obbligo di mascherine anche all’aperto.
Le ragioni del no
A parlare per il fronte del no alle mascherine outdoor troviamo l’infettivologa Muge Cevik, dell’Università di St. Andrews (in Scozia), la sociologa Zeynep Tufekci, della University of North Carolina di Chapel Hill (Usa) e l’epidemiologo Stefan Baral, della John Hopkins School of Public Health. Anche nel loro caso, il ragionamento parte dalla scarsa probabilità di trasmissione del virus in ambienti aperti. Secondo i dati citati dai tre ricercatori, i contagi avvenuti all’aperto sarebbero infatti meno del 10% di tutti quelli noti. Anche nel caso dello Sturgis Motorcycle Rally – sottolineano i tre scienziati – non esistono prove di infezioni legate a contatti all’aria aperta, e le analisi epidemiologiche effettuate indicano piuttosto che i contagi sono avvenuti per lo più al chiuso, all’interno dei ristoranti o tra il personale che lavorava all’evento. Confermato che l’utilizzo delle mascherine all’aperto è una misura legata non tanto alle conoscenze scientifiche riguardo alla trasmissione del virus, quanto piuttosto al principio di massima precauzione, i tre autori ricordano che in questi casi è sempre necessario valutare attentamente costi e benefici di ogni scelta, e spiegano quindi per quale motivo, a parer loro, in questo caso si tratta di misure con costi elevati, e benefici estremamente limitati.
Per prima cosa, l’aderenza alle raccomandazioni di salute pubblica avrebbe più a che fare con la fiducia nelle autorità piuttosto che all’abitudine e alla familiarizzazione con un nuovo comportamento. In questo senso, imporre l’utilizzo delle mascherine in un setting in cui sono pressoché inutili più che insegnarci a stare attenti per quando servirà davvero, avrebbe invece l’effetto opposto: minare la fiducia nelle autorità, e quindi una minore probabilità di rispettare tutte le indicazioni di prevenzione, anche quelle di efficacia indubbia come il distanziamento, l’isolamento in caso di malattia, o la vaccinazione.
Fonte: La Repubblica