Tra gli ambiti più influenzati dalla pandemia c’è quello professionale: cambia il rapporto tra il dipendente e luogo di lavoro e, di conseguenza, anche l’organizzazione delle città. È l’effetto del near working, nuovo modello di conciliazione che si propone di seguire il comune di Milano.
Near working è la nuova locuzione che si sta proponendo come l’esito del processo di stravolgimento che la pandemia ha avuto sul rapporto tra i lavoratori e i luoghi di lavoro. Un processo improvviso, repentino e molto disordinato: la società, in particolare quella italiana, è stata colta in contropiede dall’impossibilità di recarsi nel tradizionale ufficio, dovendo spesso arrangiarsi con gli strumenti disponibili per continuare a lavorare da casa.
Un’idea di lavoro ben differente da quello dello smart working in senso stretto (non potendo beneficiare di tutta la flessibilità e di tutte le tutele che quest’ultimo richiederebbe), ma che alla fine ha mostrato gli enormi vantaggi di una concezione della professione meno vincolata alla scrivania e al monitor dell’ufficio. D’altra parte, si è resa evidente al contempo l’impossibilità di prescindere dal rapporto personale, dalla fisicità di riunioni e conversazioni, dalla comodità di avere sempre a disposizione uno spazio dotato di tutti i mezzi per agevolare l’operatività. Non è un caso che l’opinione più diffusa è che la situazione ideale per molti dipendenti italiani sarebbe rappresentata da un mix tra lavoro in ufficio e lavoro da casa, una sorta di ibrido sulla base del quale organizzare la propria settimana nel modo più comodo e conveniente possibile.
È da qui che nasce il concetto di near working, del quale la città di Milano vuole fare il proprio manifesto in tema di work-life balance. Lo scorso mese, infatti, è stato svolto un incontro tra il Comune ed altre realtà della vita sociale meneghina, per presentare questa nuova idea di futuro pensata per la città e i cittadini in relazione all’organizzazione di tempo e spazio. Alcune ricerche presentate in occasione dell’evento hanno mostrato come, ad esempio, il post-lockdown abbia visto crescere la domanda di soluzioni che permettessero di lavorare più vicino alla propria abitazione.
L’obiettivo è dunque quello di costruire una rete di servizi che offra tutto a portata di 15 minuti, permettendo un risparmio di tempo negli spostamenti e una migliore conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. La realtà dei coworking, in questo senso, viene incontro alla suddetta necessità grazie all’offerta di spazi lavorativi che si basano su 3 concetti: policentrismo, prossimità e ibridazione. Non è un caso che oggi il 52% dei gestori di spazi di coworking abbia ricevuto richieste di postazioni o di interi uffici da parte di aziende, mentre il 37% da privati che desiderano uscire di casa per lavorare si rivolga a spazi come quelli. Addirittura, il Comune di Milano sta esplorando la possibilità di interagire con queste realtà, proseguendo un’opera di decentralizzazione già iniziata con l’acquisto di nuovi uffici.
Come detto, l’esperienza professionale del lavoratore vivrebbe quella sorta di compromesso tra la scomodità evitata del recarsi in ufficio, con i conseguenti costi in termini di tempo e soldi per gli spostamenti, e il mantenimento della “fisicità” vissuta nel rapporto con colleghi e clienti, oltre ovviamente all’avere a disposizione una strumentazione tecnologica e operativa adeguata alle esigenze.
Non c’è dubbio che questo cambiamento possa a propria volta stravolgere la città stessa, che vedrebbe crescere il fenomeno di allontanamento dal centro, congestionato o poco vivibile, a favore delle periferie o dell’immediata area esterna. Una tendenza che avrebbe una conseguenza diretta anche sulla rete dei trasporti: la mobilità urbana, in effetti, sarebbe molto ridotta, sia nella sua declinazione pubblica sia in quella privata. Ci sarebbe una minore congestione del traffico, oggi condizionato dagli orari scolastico e lavorativo. Da qui anche una possibile riduzione dell’inquinamento, con un innalzamento della qualità dell’aria. Sarebbe tuttavia sbagliato mettere in conto solo ricadute positive: ad esempio, i numerosi esercizi commerciali nel centro città o in prossimità delle grandi sedi aziendali ne riceverebbero dei danni in termni di introiti, a favore delle attività più periferiche. Altra conseguenza riguarderebbe poi i prezzi degli affitti, chiaramente condizionati dall’allontanamento dal centro sia degli uffici sia delle persone, dopo la pandemia sempre più spesso alla ricerca di spazi domestici più grandi, meglio se circondati dal verde, anche a costo di essere lontani dal centro città.
Insomma, è ormai evidente che COVID-19 ha stravolto il mondo, avviando dei processi di rivoluzione che impattano tutte le sfere della vita sociale. Quella professionale, in particolare, e a ruota molte altre.
Fonte: Il Punto. Pensioni e Lavoro