Respirare è la cosa più naturale del mondo, è il primo (e ultimo) atto che accompagna la nostra esistenza. In media al giorno respiriamo dalle 20mila alle 30mila volte e nella stragrande maggioranza dei casi eseguiamo atti meccanici in maniera inconsapevole, senza troppo badare a quel flusso d’aria vitale che ci attraversa e ci dà energia. Eppure “respirare bene” può fare la differenza e migliorare il nostro benessere perché spesso lo stress, le abitudini e l’ambiente in cui ci troviamo, fuori e dentro casa, vanno a condizionare e alterare il nostro respiro.
Joseph Pilates, ginnasta tedesco del primo novecento nonché fondatore del metodo di allenamento che porta il suo nome – il metodo Pilates appunto – in uno dei suoi scritti definiva la respirazione come una “doccia interiore”, capace di agire sulla circolazione, purificando il sangue e rigenerando le cellule. Prendendo spunto dalle discipline orientali che studiò a fondo insieme alla biomeccanica e l’anatomia, arrivò a sostenere che “la cosa più importante è imparare a respirare correttamente”. Se a questo punto della lettura avete tirato un bel respiro e sentite il vostro corpo risvegliarsi, iniziare a muoversi e stiracchiarsi, sappiate che una buona risposta alla sua richiesta di attenzione è riassumibile in una parola: yoga.
1. Lo yoga e l’arte del respiro
Si comincia a praticare yoga per un problemino alla schiena, una contrattura alla gamba o quella dose di pensieri che non fa dormire la notte. Molti di noi cominciano così, nel tentativo di aggiustare il tiro di una quotidianità troppo sedentaria o frenetica e finiscono per scoprire qualcosa di straordinariamente semplice che può contribuire al nostro benessere: l’arte del respirare.
Spesso, infatti, andiamo ad alterare inconsciamente il ritmo del nostro respiro o assumiamo schemi di respirazione scorretta da cui possono derivare vari problemi muscolari, neurologici, cardiovascolari, gastrointestinali. Se siamo arrabbiati o agitati il respiro si accorcia, quando siamo tranquilli si allunga.
“Il respiro nello yoga è tutto, perché è l’incontro tra la mente e il corpo, quindi ha una funzione fisica ma è legato anche ai nostri piani emotivi” spiega Leonardo Gervasi che andiamo a trovare nella sua casa milanese tra spezie, libri, foto di viaggi e fiori di Bach. Leonardo è una persona poliedrica, oltre ad avere un trascorso da documentarista e filmaker è insegnante di yoga. Una vita nel mondo delle produzioni video costellata da viaggi in India e incontri con maestri importanti, che l’hanno portato anche ad aprire un ashram nell’87 a Rimini. “Il respiro nello yoga è tutto, perché è l’incontro tra la mente e il corpo, quindi ha una funzione fisica ma è legato anche ai nostri piani emotivi” spiega Leonardo Gervasi che andiamo a trovare nella sua casa milanese tra spezie, libri, foto di viaggi e fiori di Bach. Leonardo è una persona poliedrica, oltre ad avere un trascorso da documentarista e filmaker è insegnante di yoga. Una vita nel mondo delle produzioni video costellata da viaggi in India e incontri con maestri importanti, che l’hanno portato anche ad aprire un ashram nell’87 a Rimini. “La prima volta che ho avuto a che fare con lo yoga è stato a 18 anni con Autobiografia di uno yogi di Yogananda. Da allora ho sempre praticato e studiato, sono stato in India una dozzina di volte, là mi sono sposato nell’87. Ora ho 63 anni, insegno yoga da più di dieci e solo di recente ho scelto di diplomarmi alla scuola della Federazione Italiana Yoga. Diciamo che la scuola mi ha fatto mettere un pò di ordine sulla scrivania e aiutato a capitalizzare quello che già c’era.
Trovo che lo yoga sia un atto rivoluzionario nei confronti di noi stessi e del mondo, parte da ciò che sta più vicino, trasformandolo”. E a proposito di vicinanza e piccole rivoluzioni quotidiane, fatta eccezione per il periodo della pandemia, ogni mattina alle 9:00 la porta d’ingresso di casa Gervasi si apre ai condomini che liberamente possono entrare per una mezz’ora di meditazione. “Un giorno ho scoperto di avere una stanza piena di cose che non mi servivano, così l’ho svuotata e l’ho finalmente dedicata allo yoga. Medito tutte le mattine e chi vuole può unirsi”. Bastano pochi minuti tutti i giorni, infatti, per risvegliare e regolare l’energia di corpo e mente.
“Pranayama è la tecnica con cui si gestisce ‘l’energia vitale’ attraverso il controllo del respiro. La parola prana significa appunto energia vitale mentre ayama significa imbrigliare, dirigere. Immaginate una cartina geografica con migliaia di strade, stradine, autostrade. Ecco, queste sono le nadi, ovvero i canali energetici, mentre il traffico è l’energia vitale che le attraversa e i chakra sono le piazze dove si incontrano le nadi. Questa è una specie di mappa di ciò che nella tradizione viene definito corpo pranico. Si tratta della visione dei saggi indiani che risale a migliaia di anni fa”. E sorridendo aggiunge: “il prana a quei tempi non veniva di certo osservato al microscopio ma oggi possiamo ben comprendere che esiste un’energia sottile nel nostro corpo che arriva alle cellule attraverso il respiro, grazie all’emoglobina che trasporta l’ossigeno”. A nutrirci quindi è prima di tutto il respiro, oltre al cibo, alla luce e alle relazioni umane. Con il respiro andiamo ad ossigenare bene il corpo ma anche a gestire il prana e quindi ad agire sulla sfera mentale ed emotiva. Siamo noi a bilanciare i flussi energetici tramite la respirazione consapevole, lenta e calma.
Srotoliamo il tappetino sul pavimento e abbandoniamo il corpo a terra in posizione supina, ascoltandoci e cercando di rilassarci. La mente tende ad infilare raffiche di pensieri ma se ci concentriamo sul respiro riusciamo a stare nel qui ed ora. Basta poco per riscoprire e allenare il diaframma, il muscolo che fa salire e scendere l’addome, abbassandosi per accogliere aria e alzandosi per espellere l’anidride carbonica dai polmoni. Inoltre sentiamo i benefici della respirazione che nello yoga avviene solo attraverso il naso. Grazie alle narici, infatti, filtriamo e purifichiamo l’aria, la riscaldiamo e la umidifichiamo, cosa che non avviene con la bocca.
“Da un punto di vista fisiologico – dice Leonardo – il respiro è strettamente legato al nostro sistema nervoso autonomo. Per semplificare, possiamo pensare di avere un freno e un acceleratore. L’acceleratore è il nostro sistema simpatico, mentre il freno è il sistema parasimpatico. Il simpatico è quello che ci aiuta nelle performances, manda in circolo adrenalina dalle ghiandole surrenali; serve per dare esami, sostenere un incontro di lavoro, guidare la macchina nel traffico…così spesso arriviamo a casa e non riusciamo a dormire, perché siamo pieni di adrenalina. Allora occorre respirare. Ci possiamo mettere sulla sedia, con le spalle allo schienale e i piedi ben appoggiati a terra. Abbandoniamo spalle e braccia e respiriamo in maniera naturale. Non dobbiamo fare nulla, solo portare la mente sul nostro respiro e poi piano piano rallentarlo, cercando di rimanere in questo stato il più possibile. Fare questo per dieci minuti al mattino e alla sera – lasciando perdere la mistica – consente di attivare il nervo vago e il sistema parasimpatico, il nostro freno”.
Così migliora la qualità del sonno, la digestione, la pressione arteriosa e viene per esempio ridotta l’ansia.
Questo solo per cominciare, perché nella pratica dello yoga il controllo del respiro è l’anticamera della meditazione, ovvero la strada per accrescere il nostro grado di coscienza e la nostra crescita spirituale.
In India si dice che ogni essere umano ha un numero personale e sconosciuto di respiri da utilizzare nella vita. Sta a noi giocarci questo numero nella maniera più saggia e attenta possibile. Più lentamente respiriamo, maggiore sarà la qualità e la durata del nostro tempo. Questi sono i preziosi “effetti collaterali” del fare yoga.
Ora che ci siamo presi cura della nostra respirazione grazie allo yoga, non dimentichiamo che anche la qualità dell’aria gioca un ruolo importantissimo per il nostro benessere. Oltre al “come” è fondamentale considerare anche “cosa” respiriamo. Attraverso un esperimento interessante che prevede l’utilizzo di uno “zaino tecnologico” da indossare e da portare in spalla lungo le strade in cui ci muoviamo, recentemente si sono fatte delle misurazioni per andare a verificare gli effetti del lock down (causato dalla Covid-19) sulla qualità dell’aria delle nostre città. Presto vi racconteremo di che si tratta e i risultati emersi.
2.Cosa respiriamo nelle nostre case
L’aria, come il respiro, non si vede ma si sente. Camminando per le strade delle città durante il lockdown dovuto alle restrizioni per la Covid-19, mettendo il naso fuori casa per andare a fare la spesa o per fare una corsa nel parco più vicino, abbiamo prestato attenzione all’ambiente in cui siamo immersi, riscoprendo non solo la bellezza di uno spazio più silenzioso e meno trafficato ma anche i profumi presenti in natura normalmente coperti dall’odore dello smog. Eppure, al di là delle impressioni, qual è stato l’impatto del lock down a livello globale sulla qualità dell’aria sia all’esterno che negli ambienti chiusi? Già, perché spesso ci dimentichiamo che l’aria che respiriamo all’interno è la stessa che respiriamo all’esterno, a cui si aggiungono elementi inquinanti invisibili ai nostri occhi ma comunque dannosi per la salute derivanti per esempio da spray, fornelli, fiori e animali domestici.
Per trovare queste risposte e raccogliere dati relativi all’inquinamento, un’azienda tecnologica di portata mondiale come Dyson, in collaborazione con il Kings College London e la Greater London Authority, ha messo a punto un particolare strumento di monitoraggio lanciando un esperimento su scala internazionale. Si tratta di uno “zaino tecnologico” leggero e pratico che si mette in spalla durante gli spostamenti e che grazie a dei sensori sofisticati rileva gli elementi presenti nell’aria. In pratica abbiamo a disposizione una centralina portatile che fornisce delle “istantanee” dell’aria rilevando biossido di azoto (NO2), i composti organici volatili (VOC) e particelle PM2.5 e PM10.
Nel 2020 è stato quindi lanciato un progetto che ha coinvolto 14 città in tutto il mondo tra cui Berlino, New York, Delhi, Singapore, Dubai, Bangkok dove è stato chiesto ad alcune persone di indossare lo zaino durante gli spostamenti quotidiani in due fasi distinte, cioè durante e dopo il lock down. I dati ottenuti sono stati abbinati a quelli riportati dai rilevamenti fatti all’interno degli ambienti chiusi. I risultati hanno restituito un quadro della situazione molto interessante e per certi aspetti sorprendente.
In Italia l’esperimento è stato effettuato a Milano, città che si posiziona in cima alle classifiche per le concentrazioni di polveri sottili (Pm10 e Pm2,5) e biossido di azoto (NO2). Ed è qui che abita Cristina Gabetti, giornalista esperta in sostenibilità, a cui è stato chiesto di partecipare al progetto.
Intervista a Cristina Gabetti: lo zaino per la qualità dell’aria
“Avere questa tecnologia sulle spalle – racconta Cristina – mi ha permesso di confrontarmi con i miei sensi, in particolare con l’olfatto. Mi ha affascinata l’idea di avere una lettura precisa di ciò che respiriamo. Mentre camminavo per le vie deserte sentivo tutti i sensi spalancarsi. Convinta che la qualità dell’aria fosse migliore, riflettevo sul paradosso per cui si respira meglio in un momento in cui è colpito l’apparato respiratorio a livello globale, a causa della pandemia. Quando mi sono ritrovata con lo zaino in mezzo al traffico, al rumore e alla puzza, mi sono resa conto che le nostre città sono proprio vecchieˮ. E poi lo stupore di fronte ai risultati dell’indagine: “Ho avuto conferma che ciò che si sente pungere nel naso è il biossido di azoto, il gas di scarico delle auto, che durante il lockdown è diminuito, mentre mi ha sorpresa molto vedere che il particolato fosse maggiore e questo è imputabile in buona parte al riscaldamento. E poi aggiunge: “Sono molto attenta alla qualità del respiro; per anni ho praticato yoga e ora pratico tai chi, inoltre ho partorito tre figli e molto del parto è legato al respiro. Mi sono resa conto ultimamente di quanto non respiriamo in modo corretto, tendiamo a trattenere troppa aria nei polmoni e invece è importante buttarla fuori per rinnovarla. Abbiamo dei filtri ʻmagiciʼ nel nostro naso e se non respiriamo correttamente questi non sono in grado di funzionare e proteggerciˮ.
Il suo approccio all’esperimento è stato del tutto personale, dettato da una visione “olisticaˮ dell’esistenza: “Sono olistica per allenamento e questo è fondamentale quando si parla di sostenibilità. Essere sostenibili vuol dire rispettare i sistemi vitali che sono tutti interconnessi tra loroˮ.
Cristina si dedica al tema sostenibilità da più di dieci anni. È del 2008 il suo primo libro intitolato Tentativi di Eco Condotta e da allora si occupa di sviluppo sostenibile come giornalista collaborando anche con organizzazioni e aziende.
Per quanto riguarda l’aria indoor Cristina ci riporta la sua esperienza personale: “Quando è nata la mia seconda figlia abbiamo cambiato casa e ho fatto un enorme studio sull’ambiente interno, per ridurre le possibili emissioni nocive: la cucina è fatta evitando colle con formaldeide, i rivestimenti alle pareti e ai pavimenti sono naturali, privi di elementi tossici. I tessuti non hanno trattamenti ignifughi e abbiamo eliminato i detersivi classici, sapendo che la migliore guida a comprendere quali sono le sostanze nocive e tossiche sono i nostri sensi, il naso e il gusto nello specifico. Pochi sanno che l’ambiente interno può essere più inquinato di quello esterno. La pandemia ci ha insegnato che la polvere è un aggregatore di batteri. Adesso è più facile trovare soluzioni e prodotti adatti ma a quel tempo era complesso, quindi escogitavo dei sistemi di compensazione tutti miei: se ero costretta a inquinare in un ambito, tendevo a compensare in un altroˮ.
Cristina da questo punto di vista è esemplare, interpreta la sostenibilità come una missione creativa per cui va alla ricerca di nuove soluzioni, sperimenta, cerca di rendere accessibile ciò che non lo è. Le sue scelte sono il risultato di un sano pragmatismo e di un continuo lavoro di ricerca e informazione. Rispetto al futuro afferma: “Il cambiamento epocale è comprendere che siamo parte di questo sistema vitale complesso, ricco, sofisticato e meraviglioso. È solo nei nostri migliori interessi imparare a rispettarlo a livello sociale, ambientale ed economico, sapendo che ogni aspetto dipende dall’altroˮ.
Queste parole ci portano ad una riflessione chiara: non c’è una separazione tra dentro e fuori, la salute del nostro ambiente e la nostra salute sono strettamente legate. I dati sulla qualità dell’aria all’esterno oggi disponibili suggeriscono una riduzione dei livelli di NO2 nelle principali città durante il lockdown.
Al termine delle restrizioni a Milano si è registrato infatti un aumento del 100 per cento del biossido di azoto (legato al traffico) e un sorprendente calo dei PM 2,5, ovvero le polveri sottili tipiche delle emissioni industriali, associate agli impianti di riscaldamento e in generale ai processi di combustione. Se lasciamo ferme le auto (in particolare quelle a disel) il nostro impatto sull’aria che respiriamo diminuisce, ma questo non basta: serve maggiore consapevolezza per quanto riguarda l’inquinamento negli spazi chiusi, domestici o pubblici, dove svolgiamo il 90 per cento delle attività: dormire, lavorare…e fare sport! L’inquinamento non si lascia fuori chiudendo la porta d’ingresso e in particolare abbiamo bisogno di respirare aria pulita quando ci dedichiamo all’attività fisica. Di questo vi parleremo nel prossimo capitolo…