I bambini non si ammalano di Covid-19, quindi per loro il virus non rappresenta un pericolo. È una delle fake news che circolano con più insistenza e che si va ‘irrobustendo’ di giorno in giorno, quasi a screditare e contrastare le vaccinazioni nella fascia d’età pediatrica. Purtroppo le cose non stanno esattamente così e i pediatri, che di Covid-19 tra bimbi e adolescenti ne vedono tutti i giorni, consigliano di fare assolutamente il vaccino. Anche perché c’è una preoccupazione ulteriore che inquieta, e non poco, gli addetti ai lavori.
La minaccia del long Covid e delle sue conseguenze a lungo termine, al momento imperscrutabili, tra i giovanissimi di oggi e futuri adulti di domani; insomma il rischio di un effetto ‘legacy’ di ben altra portata per gli anni a venire. I dati sul carico imposto dal SARS-CoV-2 alla popolazione pediatrica sono ancora limitati, visto l’alto tasso di casi paucisintomatici o asintomatici in questa popolazione; e sono ancora pochissimi inoltre gli studi sul long Covid in età pediatrica.
Per quanto riguarda la prevalenza del Covid-19 nella popolazione pediatrica, una ricerca, pubblicata qualche mese fa dall’Università di Trieste in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità indicava una siero-prevalenza (cioè la presenza di anticorpi IgG nel sangue) del 9,5% in una coorte pediatrica del Friuli Venezia Giulia, studiata nel gennaio 2021, quindi nella seconda ondata; un dato in netta crescita rispetto alla prevalenza dell’1% registrata alla fine della prima ondata dall’ISTAT (luglio 2020).
“Dal marzo 2020 – ricorda il prof. Antonio Chiaretti, Responsabile del Pronto Soccorso Pediatrico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, associato di Pediatria all’Università Cattolica, campus di Roma – abbiamo valutato oltre 160 bambini con Covid pediatrico e per 32 di questi è stato necessario il ricovero”.
“Finora – ricorda il dott. Danilo Buonsenso, UOC di Pediatria del Policlinico Gemelli e docente di Pediatria all’Università Cattolica, campus di Roma – abbiamo trattato più di una trentina di bambini con forme moderato-gravi di Covid-19 (8 con sindrome multi-infiammatoria sistemica). In collaborazione con i colleghi neonatologi e ostetrici che curano le donne con Covid-19 in gravidanza, stiamo seguendo circa 200 neonati da mamme con Covid-19, contratto in gravidanza o in atto al momento del parto, una decina dei quali si sono contagiati in età neonatale o perinatale. Presso l’Ambulatorio di Post-Covid pediatrico stiamo inoltre seguendo 150 bambini, 55 dei quali con sintomi da long Covid, arrivati anche da fuori Regione (1 dalla Basilicata, 1 dalla Liguria, 2 dalla Lombardia)”.
Gli effetti del Covid-19 dunque non si limitano alla fase acuta dell’infezione; i casi sintomatici potrebbero essere solo la punta dell’iceberg di quello che il SARS-CoV-2 ha in serbo per i mesi e forse per gli anni dopo il contagio. Uno studio condotto dai pediatri della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e pubblicato lo scorso aprile su Acta Paediatrica (aprile 2021), ha coinvolto 129 ragazzi e bambini (età media 11 anni) con diagnosi di Covid-19, effettuata tra marzo e novembre 2020.
I pediatri hanno intervistato (al telefono o in ambulatorio) i loro caregiver mediante questionario sviluppato dal Long Covid ISARIC Group, per valutare l’eventuale persistenza dei sintomi. Durante la fase acuta dell’infezione, il 25,6% dei bambini arruolati in questo studio era asintomatico, il 74,4% aveva presentato sintomi; 6 bambini avevano avuto bisogno di un ricovero e 3 di un ricovero in terapia intensiva. Tre piccoli hanno sviluppato la sindrome infiammatoria multisistemica (caratterizzata da febbre, segni di infiammazione sistemica fino alla tempesta citochinica, grave compromissione respiratoria e cardiaca, fino allo shock, vasculiti, aneurismi delle arterie coronariche; può colpire in modo grave anche reni, cervello, occhi, intestino) e due la miocardite. Il 41,8% dei positivi si è ripreso completamente dal Covid-19, ma il 35,7% mostrava persistenza di uno-due sintomi e il 22,5% di 3 o più sintomi.
Tra i sintomi di long Covid più frequenti, l’insonnia (18,6%), la persistenza di sintomi respiratori (compresi dolore e senso di costrizione toracica) nel 14,7%, la congestione nasale (12,4%), la fatigue (10,8%), dolori muscolari (10,1%) e alle articolazioni (6,9%) e difficoltà di concentrazione (10,1%). Questi sintomi sono risultati particolarmente frequenti tra i piccoli valutati a distanza di due mesi dalla diagnosi iniziale di Covid-19. In conclusione, oltre metà dei bambini studiati in questa survey presentava almeno un sintomo di long Covid a distanza di due mesi dall’infezione; e si tratta di sintomi e di durata coerenti con quanto osservato nel long Covid degli adulti. Un dato importante e inaspettato è che anche i bambini che avevano avuto una forma asintomatica di Covid-19 possono sviluppare sintomi cronici persistenti.
“Questo studio – commenta il prof. Piero Valentini, responsabile UOSD Malattie infettive pediatriche del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e ricercatore di Pediatria all’Università Cattolica, campus di Roma – accende i riflettori su una popolazione discretamente sottovalutata durante la pandemia e che dovrebbe indurre a una profonda riflessione, anche in merito alla decisione di vaccinare i bambini piccoli e piccolissimi”.
Finora l’unico carico imposto dalla pandemia sui giovanissimi era stato quello sulla salute mentale. “L’infanzia è un periodo fondamentale e delicato nella vita di una persona – commenta il dott. Buonsenso – critico per lo sviluppo e l’acquisizione di competenze sociali, comportamentali ed educative. E le misure restrittive messe in atto per contrastare la pandemia hanno avuto un impatto negativo significato sulla salute mentale dei più piccoli. La prova che il long Covid possa avere un impatto a lungo termine anche sulla salute dei bambini inoltre, compresi quelli che hanno avuto infezioni pauci o asintomatiche, deve rappresentare una call to action per tutti i pediatri, gli esperti di salute mentale e i decisori politici perché pongano in essere tutte le misure volte a ridurre l’impatto della pandemia sulla salute dei bambini”.
L’unico modo per proteggere i più piccoli da Covid-19 è dunque la vaccinazione, sia quella in gravidanza, che quella in età pediatrica, appena estesa alla fascia (5-11 anni). Ed è un controsenso rifiutare questo strumento salvavita in un momento in cui nel mondo si assiste anzi a una levata di scudi contro l’apartheid vaccinale, in cui tutti si battono cioè per l’equità vaccinale, per offrire questo prezioso strumento anche ai Paesi in via di sviluppo. Come ha più volte ribadito Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “Nessuno è al sicuro, finché tutti non saranno al sicuro”.
“Dovremmo dunque cominciare a dare noi il buon esempio – conclude il prof. Giuseppe Zampino, Direttore UOC di Pediatria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, associato di Pediatria all’Università Cattolica, campus di Roma – che abbiamo la fortuna di essere nati in un Paese tra quelli ‘privilegiati’. E a ringraziare per avere a disposizione gratuitamente questo eccezionale strumento di vita che è il vaccino”.
Fonte: In Salute News