Non contiamoci. O almeno, non contiamo troppo sul fatto che SARS-CoV-2 stia diventando buono. All’apparire della nuova variante, ora chiamata Omicron, sono ricomparse numerose affermazioni, ottimistiche e tranquillizzanti, sullo stato della pandemia e sulle modifiche a cui il virus SARS-CoV-2 va incontro. Si dice che a ogni nuova variante si stabilirà una tregua tra noi ed esse, perché è così che vanno le cose tra virus e umani, e così sono sempre andate. Ma il percorso evolutivo verso l’innocuità e la convivenza con la nostra specie è tutt’altro che certo; affermare che i virus divengano obbligatoriamente “buoni” è, in breve, sbagliato.
È necessario chiarire lo scenario. Per molte ragioni, che hanno a che fare non solo con le teorie scientifiche, ma anche con l’uso del linguaggio e forse, soprattutto, con le nostre aspettative, la narrativa costruisce il virus come un microscopico essere dotato di volontà e quasi capacità di prevedere il futuro.
Dopo aver fatto il salto da una specie all’altra ci si aspetta così che nel giro di poche generazioni il virus “abbia interesse” a diventare meno aggressivo, diminuisca la sua virulenza – intesa in vario modo, ma spesso come tasso di mortalità dell’ospite – e infine divenga un altro dei tanti virus con cui ci confrontiamo ogni anno, come quelli del raffreddore. Si sentono così dichiarazioni come, “l’evoluzione del virus lo porta inevitabilmente a non uccidere il suo ospite. L’interesse non è danneggiarlo, ma giungere a una tregua”.
Anche da frasi come “il virus si sta adattando a noi” traspare la visione dell’adattamento evolutivo “come un processo il cui risultato finale è sempre la pacifica convivenza con l’ospite”, afferma Marco Gerdol, genetista, ricercatore all’Università di Trieste, molto attivo anche sui social per seguire e spiegare la pandemia. In questo modo sarebbe assicurata la sopravvivenza del virus e di conseguenza della specie colpita, la nostra. Una sorta di situazione win-win. Può accadere? Certo, e forse è già accaduto in passato. Deve, per forza, accadere? No. Visto con gli occhi dell’evoluzione, infatti, le dinamiche in gioco tra ospite e parassita sono molto più complesse e implicano l’intervento di variabili spesso dimenticate, con risultati niente affatto scontati.
In breve, l’interesse del virus, come di ogni altro essere vivente (o meno), non è affatto la convivenza con l’ospite: è la riproduzione, cioè la capacità di trasmettere i propri geni alle generazioni successive. Nel linguaggio degli evoluzionisti, la massimizzazione della fitness. Nelle parole di Edward Holmes, evoluzionista all’università di Sidney (autore del volume The Evolution and Emergence of RNA Viruses, Oxford University Press): “La selezione naturale favorisce sempre la variante che produce la prole più numerosa. È un semplice gioco di numeri. Per i virus ciò equivale alla quantità di progenie virale in grado di infettare un nuovo ospite”.
Nel fare ciò, i virus sono maestri, e possono produrre migliaia di copie di sé stessi nel giro di pochi giorni. Devono ovviamente allo stesso tempo combattere contro le armi messe in campo dall’organismo che hanno invaso, e quindi attraversare un paesaggio evolutivo pericoloso e irto di ostacoli. Si stabilisce quindi una dinamica definita dalla cosiddetta “ipotesi della Regina Rossa”, formulata dal biologo evoluzionista Leigh Van Valen. Lo scenario afferma che una specie evolve perché anche altri organismi con cui è in competizione o convivenza stanno evolvendo.
L’espressione prende spunto dal personaggio incontrato da Alice nel libro Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò di Lewis Carroll. La Regina può muoversi velocemente e senza sforzo, come le regine degli scacchi. A un certo punto, nel secondo capitolo (Il giardino dei fiori parlanti) Alice la incontra mentre cerca di raggiungere una collina. La Regina la trascina in una corsa a perdifiato, e dopo qualche minuto le due si trovano nel luogo di partenza. Alice si meraviglia, dicendo che nel suo paese se si corre si arriva in un altro posto. Al che la Regina ribatte con una delle frasi più citate delle opere di Carroll: “Che paese lento. Qui, invece, devi correre più che puoi per restare nello stesso posto”. L’ipotesi di Van Valen spiega quindi come ogni genoma sia sempre sottoposto alla selezione naturale (cioè evolve) per rimanere nello stesso posto, cioè sopravvivere e non estinguersi.
Così, ciò che accade è che i genomi sono sottoposti a tante spinte e controspinte. Anche i virus sono influenzati dai cosiddetti compromessi evolutivi (trade-off), processi attraverso i quali un tratto – una caratteristica, una proprietà – aumenta la fitness, ma allo stesso tempo influenza ed è influenzato dalla fitness di un altro tratto collegato. Uno dei principali compromessi, studiato fin dagli anni ottanta, è quello tra trasmissibilità e virulenza. È ovvio che un virus estremamente trasmissibile e letale, che uccide in poco tempo e si trasmette facilmente, ha una vita piuttosto breve, perché “brucia” in fretta la popolazione colpita e non ha più ospiti da colpire. È quello che accade per Ebola, Marburg o altri virus simili. Il risultato potrebbe essere l’estinzione locale del patogeno.
Ciò significa che la selezione naturale tenda sempre ad abbassare la virulenza, fino a far diventare il virus meno letale, e quindi più trasmissibile, in modo da portare alla sopravvivenza del virus, e dell’ospite? No. Se la probabilità di essere trasmessi è ancora elevata, la capacità del patogeno di danneggiare l’ospite fino a ucciderlo potrebbe non diminuire affatto, ma al contrario aumentare.
Un aspetto importante sono i vettori (per esempio insetti o altri artropodi) e le vie di trasmissione: “Un buon esempio sono i due virus introdotti in Australia per uccidere i conigli. La virulenza nel caso del Myxomavirus è diminuita [anche per la resistenza sorta nella specie ospite, NdR], ma nel caso del virus della malattia emorragica del coniglio la virulenza è aumentata. Perché? Il Myxomavirus è trasmesso dalle zanzare che pungono i conigli vivi. Al contrario, l’altro virus è trasmesso da mosconi che si nutrono di conigli morti; quindi, un’elevata virulenza è vantaggiosa per la trasmissione del virus”, prosegue Holmes.
Altri aspetti sono fondamentali per capire le dinamiche virus-ospite, in particolare per SARS-CoV-2. Uno è il fatto che la capacità di infettare è maggiore qualche giorno prima della manifestazione dei sintomi. Spiega Gerdol: “Se le conseguenze negative per il paziente avvengono dopo la trasmissione delle particelle stesse, quando cioè il paziente è ancora asintomatico, ciò non costituisce una pressione selettiva sul genoma del virus”. Non solo: un virus in cui si abbassasse molto la capacità replicativa in un singolo ospite, che è connessa al danno fatto all’ospite stesso e alla sua capacità di trasmettersi, non potrebbe diffondersi rapidamente. Se altri ceppi, persino all’interno dello stesso corpo, continuano a replicarsi come prima (o addirittura più velocemente), avrebbero un evidente vantaggio evolutivo.
In definitiva, afferma Holmes: “I virus non evolvono sempre verso una virulenza inferiore. Per esempio, l’HIV ha la stessa virulenza del 1981, quando l’abbiamo scoperto per la prima volta. La virulenza può aumentare, diminuire o rimanere la stessa. È molto difficile prevedere come evolverà questo tratto”.
E allora, perché questi continui proclami alla futura, inevitabile, “bontà” dei virus?: “Direi che la frazione di medici che conoscono le basi della teoria dell’evoluzione sono pochissimi, e di questi quasi nessuno approfondisce un minimo i lavori recenti e tutte le complicazioni, i vincoli e i fattori. Manca purtroppo a medicina un corso di medicina evoluzionistica”, conclude Giorgio Bertorelle, evoluzionista e docente all’Università di Ferrara. La teoria della selezione naturale, pur semplice in apparenza, può essere a volte non facile da capire, quasi controintuitiva. Non ha uno scopo ultimo cui arrivare, un pinnacolo di perfezione, un fine. Tra patogeni e ospiti è una corsa continua alla sopravvivenza e alla riproduzione, di cui non è facile vedere la fine.
Fonte: Le Scienze