Le incapacità a «gestire» il lattosio, lo zucchero presente in diversi latticini o il glutine sono diffuse. In entrambi i casi le soluzioni non devono essere improvvisate.
La digestione è più difficoltosa, la pancia gonfia o dolente. Il pensiero corre subito a un’intolleranza alimentare e le più famose sono quelle ai latticini e al glutine, sempre più diffuse anche a causa del cambiamento dello stile di vita, che modifica la flora batterica intestinale e, con questa, la capacità di tollerare i cibi. Ma si può diventare celiaci da adulti oppure intolleranti al lattosio magari dopo aver superato gli «anta», così, di punto in bianco?
Se il problema è il lattosio
La risposta è sì in entrambi i casi, ma per motivi diversi. L’intolleranza al lattosio, ovvero l’incapacità di digerire questo zucchero presente in latte e formaggi, è la più frequente ed è dovuta a un deficit più o meno totale dell’enzima lattasi, che si trova nell’intestino e scinde il lattosio in due zuccheri semplici che possono essere assorbiti; se la lattasi scarseggia il lattosio si accumula, richiama liquidi e viene fermentato da batteri intestinali che producono gas. «Si può diventare intolleranti in ogni momento della vita, se per qualsiasi motivo la produzione di lattasi diventa insufficiente o cessa del tutto» spiega Mario Di Gioacchino, presidente eletto della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (Siaaic). «L’enzima viene prodotto nell’intestino tenue e così per esempio qualsiasi patologia che comporti un’infiammazione dei tessuti o un deficit della funzionalità di questo tratto, come un’allergia al nichel con sintomi intestinali o la celiachia, può indurre una carenza di lattasi e quindi i sintomi del disturbo. Ecco perché in caso di diagnosi di intolleranza al lattosio può essere opportuno indagare le condizioni dell’intestino con esami come la colonscopia, la calprotectina fecale (un marcatore generico di infiammazione intestinale, ndr), un clisma del tenue (esame radiografico del tubo digerente dopo l’introduzione di un mezzo di contrasto per vedere bene le anse intestinali, ndr): se la carenza di lattasi dipende da un problema infiammatorio, risolverlo può eliminare i sintomi dell’intolleranza».
Riabituarsi al lattosio
La quantità di lattasi tende poi a diminuire con gli anni, ecco perché l’esordio tipico dell’intolleranza al lattosio è nella prima età adulta e la prevalenza tende a crescere con l’età. La produzione della lattasi inoltre è «inducibile» in chi non ha una mancanza completa del gene, una rara condizione che rende irrimediabilmente intolleranti fin dalla nascita: in altri termini l’organismo «fabbrica» l’enzima anche in base al consumo dell’alimento per il quale serve e quindi, come specifica Di Gioacchino, «Se smettiamo del tutto di mangiare latticini pian piano la quantità di lattasi si riduce; poi, se si reintroducono all’improvviso, possono comparire i sintomi dell’intolleranza perché la quantità di enzima non è sufficiente a digerirli. È vero anche il contrario: in teoria è possibile riabituarsi al lattosio, per esempio dopo aver risolto un’infiammazione intestinale, reintroducendolo nella dieta e consentendo così il ripristino della produzione di lattasi. Non è però un processo immediato, serve aumentare progressivamente la dose per indurre la sintesi dell’enzima».
Questione di «allenamento»
Lo hanno provato per esempio studi condotti dalla Purdue University statunitense, secondo cui gli adulti che scoprono di essere intolleranti al lattosio possono «allenare» l’intestino a digerirlo introducendo minime quantità di latte ai pasti, due o tre volte al giorno, e incrementandone pian piano la quantità. «In molti pazienti la carenza di lattasi è parziale, ma in altri è completa: in questi casi anche una dose minima di lattosio scatena i sintomi», precisa Di Gioacchino. «Per chi ha un deficit parziale, invece, è possibile individuare una quantità di latte o formaggi tollerabile senza fastidi: l’ideale sarebbe poter eseguire una curva del lattosio al momento della diagnosi, somministrando in maniera controllata varie quantità di latte e osservando le reazioni, ma chiunque può individuare da solo la propria soglia critica da non oltrepassare o i cibi che non creano problemi. Lo yogurt per esempio spesso non crea fastidi perché naturalmente più povero di lattosio».
Gli esami per l’intolleranza al lattosio
Chi pensa di essere diventato intollerante al lattosio, anche da adulto, deve sottoporsi a un preciso iter diagnostico senza prendere iniziative fai da te come specifica Di Gioacchino: «Bisogna riferire i sintomi al medico di famiglia, l’allergologo o il gastroenterologo e sottoporsi al breath test, l’unico esame per una corretta diagnosi. È molto semplice, basta espirare in un palloncino dopo aver consumato lattosio: si registra così nel respiro la presenza di gas indicativi dell’incapacità di digerire questo zucchero».
Gli esami per l’intolleranza al glutine
Anche per la celiachia l’iter diagnostico è chiaro e ben definito e va percorso in qualunque momento si abbia il sospetto di essere diventati intolleranti al glutine, perché pure la celiachia può comparire a qualsiasi età. In questo caso si tratta di una malattia su base autoimmune per la quale una predisposizione genetica è necessaria, ma non sufficiente: si stima infatti che solo il 3 per cento di chi ha i geni che rendono suscettibili all’intolleranza al glutine sviluppi prima o poi la malattia. La presenza di altre patologie autoimmuni e alcuni fattori ambientali, fra le quali le infezioni intestinali e l’uso di antibiotici, sembrano aumentare il rischio.
I sintomi e le conseguenze della celiachia
L’età di insorgenza della celiachia è in crescita e sta cambiando anche il modo in cui si manifesta, con sintomi sempre più spesso diversi da quelli gastrointestinali classici: non è raro arrivare alla diagnosi proprio da adulti, magari facendo approfondimenti perché si soffre di colon irritabile, anemia o disturbi della fertilità, tutte conseguenze della celiachia. Sospettarla in caso di sintomi compatibili è più che opportuno quindi, anche ben dopo gli «anta», ma come spiega Marco Silano, direttore dell’Unità Operativa di alimentazione, nutrizione e salute dell’Istituto Superiore di Sanità, «È fondamentale seguire il corretto percorso diagnostico, senza sottoporsi a diete di esclusione fai da te: il glutine è complesso da digerire anche per chi è sano, perciò chi ha disturbi gastrointestinali sta sempre un poco meglio se lo toglie dalla tavola. Se però ci si sottopone ai test mentre non si sta mangiando glutine alcuni accertamenti possono risultare normali e ritardare una diagnosi corretta. Da qualche anno ogni Regione deve offrire Centri di riferimento in cui sia possibile trovare esperti e sottoporsi agli esami approvati e scientificamente validi: il primo passo è il dosaggio nel sangue degli anticorpi anti-transglutaminasi, che sono un segno molto forte per il sospetto di celiachia, assieme al dosaggio delle immunoglobuline A totali (gli anticorpi anti-transglutaminasi sono IgA, cioè Immunoglobuline A, e il 2-5 per cento dei celiaci ha un deficit delle IgA, per cui è importante valutarli in relazione al totale, ndr). In chi è positivo a questo marcatore si procede a una duodenoscopia con prelievo della mucosa intestinale, che poi viene osservata al microscopio: nei celiaci i villi intestinali necessari per l’assorbimento dei nutrienti sono appiattiti e c’è un’infiltrazione di linfociti nella mucosa indicativa di infiammazione locale», conclude Silano.
Fonte: Corriere della Sera