La prima volta fu ad Erice, lo splendido borgo sulla montagna sopra Trapani, al Centro di cultura scientifica Ettore Majorana, dove i fisici fanno lezione nei mesi belli (luglio e agosto) e i medici in primavera e in autunno, quando spesso fa freddo. Avevo trentacinque anni ed ero stato invitato ad insegnare a un corso internazionale di epidemiologia. In quel tempo ben pochi in Italia sapevano di tecniche epidemiologiche. Erano passati tre anni dal drammatico incidente di Seveso, dove l’esplosione di un reattore aveva diffuso una nube di diossina in più comuni della Brianza. Fu l’occasione per l’accademia universitaria italiana di dimostrare la propria ignoranza epidemiologica, e per me di rimarcarlo pubblicamente.
L’accademia fece pressione perché io non fossi invitato al corso di Erice, ma i docenti stranieri fecero sapere che se io non ci fossi stato, loro non sarebbero venuti. Il mio ego scientifico crebbe, ma anche la mia responsabilità.
Quando arrivai al Centro Majorana c’erano ancora appesi i poster di un convegno di fisici appena terminato. Era un convegno sulla superconduttività, un fenomeno fisico per cui, a bassissime temperature, si riduce moltissimo la resistenza elettrica. Fui attratto da un poster che mostrava uno strano apparecchio a qualche centimetro di distanza dalla volta cranica di un uomo. Era uno strumento immerso in azoto liquido (-196° C) che misurava il campo magnetico del cervello umano.
Ora queste cose sono ben conosciute, il campo magnetico del cervello, quello del cuore (misurabile addirittura alla distanza di due metri), ma allora era un’assoluta novità, almeno per me. Pensai a tutte le storie che avevo sentito sull’aura e alla mia diffidenza verso chi pretendeva di poter vedere quella delle persone e asseriva persino di poterla fotografare. Allora era vero, esiste veramente un corpo eterico che si può misurare, un campo magnetico, una roba seria, scientifica, non una fesseria da New Age!
Cambiare prospettiva
Cominciai a pensare che anche quello che ci sembra irrazionale merita di essere studiato.
Prima di diventare epidemiologo ero un patologo e, a quei tempi, i giovani patologi facevano ancora molte autopsie (oggi con le tecniche eidologiche che sezionano gli umani da vivi non ce n’è più bisogno). Io ho fatto centinaia di autopsie. Mi piaceva perché il corpo dell’uomo è bello di fuori e di dentro.
«Autopsia» vuol dire «vedere con i propri occhi» e, come tanti medici ancora oggi, io credevo a quello che vedevo, solo a quello che vedevo. Quello che non vedevo era come se non esistesse. Non ero un negazionista, ma – diciamo – un agnostico (dal greco antico a-, «senza», e gnosis, «conoscenza») e sospendevo il giudizio.
Ora avevo visto con i miei occhi non proprio l’aura, ma la dimostrazione della sua esistenza. Finalmente capivo perché accanto ad alcune persone mi trovavo bene mentre accanto ad altre avevo desiderio di allontanarmi: probabilmente con l’aura di queste ultime la mia non era in fase.
La seconda volta fu a Milano, nel mio studio all’Istituto dei Tumori, quando venne a trovarmi Emilio Del Giudice, un fisico teorico appassionato di biofisica, la fisica della vita. Non ricordo come mai venne, né chi lo accompagnò da me, ma forse venne perché già circolavano pettegolezzi sul mio essere un medico un po’ insolito. Mi sembrò anche lui un tipo stravagante, un oratore affascinante che sosteneva cose che non sembravano stare né in cielo né in terra per chi aveva studiato medicina all’Università, dove la biofisica è totalmente ignorata.
Sapevo bene che ci sono fenomeni elettrici nel corpo, dagli esperimenti sulle rane di Galvani alla scoperta della trasmissione degli impulsi nervosi, ma ignoravo che ci fosse quell’affascinante «corpo di ballo» di molecole d’acqua che oscillano in fase e costituiscono «domini di coerenza che governano la sinfonia della vita» con campi elettromagnetici estremamente sofisticati che prendono energia dal caos ambientale e la trasformano in un vortice, in un’eccitazione ordinata capace di automovimento, di trasmissione di informazione, di conoscenza, di memoria. Questo è ciò che fa l’organismo vivente.
Il peso delle emozioni
Siamo fatti per il 60-70% in peso di acqua, ricorda sempre Del Giudice, e il 99% delle molecole che costituiscono il nostro corpo sono molecole d’acqua, eppure non ci trasformiamo in una pozzanghera. La materia vivente non è inerte come gli oggetti studiati dalla fisica classica.
Le reazioni chimiche della vita avvengono in questi domini di coerenza dell’acqua che stabiliscono quali reazioni possono avvenire e quali no. E se le oscillazioni dell’acqua corrispondono alle emozioni, le causano e ne sono causate, si può ipotizzare che le emozioni stesse causino malattie o guarigione. Che le emozioni negative, il lutto, il dolore morale, la rabbia, causino malattia è abbastanza accettato anche dall’ambiente medico. Che, viceversa, le emozioni positive, la fiducia, la fede, la speranza, l’amore, causino guarigione è qualcosa di ancora difficile da accettare da parte del corpo medico, almeno fino a quando non se ne impadronirà legalmente e potrà tacciare di abuso della professione chi fa miracoli senza laurea in medicina.
Fortunatamente, finora, l’unità di materia e psiche è ancora una disciplina libera, non ingabbiata in dogmi accademici. «L’irrazionale è quello che non si è ancora spiegato. Il razionalista deve studiare l’irrazionale, non rifiutarlo».
Fonte: TerraNuova