Rari e ancora da scoprire, questi esemplari prosperano in poche zone ristrette e in poche aree del globo. “Fondamentali per preservare la biodiversità”.

Sulla Terra abitano almeno 9200 «specie fantasma» di alberi ancora scoprire: specie rare e finora mai avvistate, perché sono probabilmente nascoste in pochi e impervi angoli del mondo. Si tratta di un patrimonio verde importante per la biodiversità globale e, quindi, da salvaguardare per il bene del Pianeta. Il rischio, infatti, è che a causa di attività umane come il disboscamento e la coltura di piante di interesse commerciale queste «specie fantasma» scompaiano ancora prima di essere avvistate.

Resa nota sulla rivista «Proceedings of the National Academy of Sciences», la stima è frutto di una ricerca senza precedenti, frutto di un progetto internazionale triennale che vede in prima fila l’Università di Bologna e che ha coinvolto 150 ricercatori di tutto il mondo. Il progetto ha consentito – grazie anche all’aiuto dell’Intelligenza Artificiale e di un supercomputer – di fare il censimento di tutte le specie di alberi esistenti al mondo, un totale di oltre 73 mila.

Il lavoro che ha portato a questa pubblicazione è stato mastodontico: prima i ricercatori hanno unito i set di dati già disponibili relativi a migliaia di specie di alberi scoperti e catalogati direttamente sul campo da ricercatori di tutto il mondo, in particolare due set di dati globali, uno realizzato dalla Global Forest Biodiversity Initiative e l’altro chiamato TREECHANGE. Il totale dei due database documenta l’esistenza di qualcosa come 64.100 specie note di alberi, per un totale di circa 40 milioni di esemplari. A partire da questi milioni di dati – gestibili solo grazie al supercomputer messo a disposizione dal Laboratorio della Forest Advanced Computing and Artificial Intelligence (FACAI) presso la Purdue University in Indiana, USA – gli esperti si sono poi concentrati sulle specie rare di alberi già note e documentate, specie così rare da essere state avvistate finora non più di tre volte durante lavori di campionamento dagli operatori sul campo nel mondo.

Con in mano la mappatura delle specie rare, ma comunque avvistate, i ricercatori hanno eseguito delle complesse analisi statistiche, arrivando a stimare che sul nostro pianeta abita un totale di circa 73 mila specie di alberi, il 14% in più di quelle conosciute finora. «Se ci sono molte specie incontrate solo poche volte – ci ha spiegato Roberto Cazzolla Gatti, primo autore dello studio e docente del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’ateneo di Bologna – probabilmente saranno molte anche quelle specie così rare da non essere state ancora documentate».

Secondo gli studiosi delle circa 9200 nuove specie fantasma ancora senza nome, un buon 40% vive in Sud America. In gran parte si tratta di specie endemiche, cioè originarie proprio di quei luoghi. Gli ecosistemi abitati da queste piante misteriose sono le Ande (in particolare le zone montuose di Perù, Colombia e Ecuador), la fitta foresta tropicale e subtropicale, ma anche i biomi della savana, delle praterie e della tundra.

«Più una specie è rara più è difficile incontrarla in attività di campo, quando il singolo botanico va in foresta a caratterizzare le specie – ha ribadito Cazzolla Gatti -: è quindi verosimile che molte specie naturalmente collocate in territori impervi e difficili da esplorare manchino ancora all’appello. Con questo studio è stato possibile stimare e anche mappare geograficamente queste specie fantasma». E aggiunge: «La conoscenza estesa della ricchezza della diversità degli alberi è cruciale per preservare gli ecosistemi. “Fino ad oggi, però, per ampie aree del Pianeta avevamo dati limitati, basati su osservazioni sul campo e liste di specie con coperture del territorio tra loro differenti: tutte limitazioni che impedivano di arrivare ad avere una prospettiva globale».

«Questo studio ci insegna che c’è ancora molto da esplorare e conservare prima che scompaia – ha concluso – a causa delle attività umane deleterie per il Pianeta».

 

Fonte: La Stampa

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