Alcuni segnali fanno temere che la prossima estate potrebbe verificarsi il fenomeno di El Niño, legato al ciclico cambiamento nelle correnti dell’Oceano Pacifico, portando a nuovi estremi climatici. Ma ci sono ancora margini di incertezza per questo scenario.
È ancora presto per dirlo. A fine aprile e ai primi di maggio siamo ancora nel campo delle previsioni. Questo è infatti il periodo dell’anno in cui gli esperti stimano un possibile cambiamento nella circolazione ENSO (El Niño-Southern Oscillation), ovvero una transizione verso il riscaldamento delle temperature superficiali nell’Oceano Pacifico tropicale centrale e orientale, causando il fenomeno climatico noto come El Niño, che si verifica a intervalli, in media, tra i due e i sette anni. Se ciò accadesse, potremmo andare incontro a un altro anno di temperature record, che durerebbe anche nel 2024. Secondo l’ultima analisi dell’Organizzazione meteorologica mondiale (World Meteorological Organization, WMO) rilasciata ai primi di maggio, “c’è una probabilità del 60 per cento che durante maggio-luglio 2023 ci sia una transizione da ENSO-neutrale a El Niño”, probabilità che aumentano al 70 per cento in giugno-agosto e all’80 per cento tra luglio e settembre.
A preoccupare esperti e ricercatori è il fatto che, per quanto negli ultimi tre anni il fenomeno di raffreddamento di La Niña abbia tamponato l’aumento della temperatura globale, “abbiamo appena avuto gli otto anni più caldi mai registrati”. Il possibile sviluppo di El Niño “potrebbe dunque portare a un nuovo aumento del riscaldamento globale con la possibilità di battere i record di temperatura”, ha detto il segretario generale della WMO Petteri Taalas in una nota.
Margini di incertezza
Come mai questo margine di incertezza? A spiegarlo sono i ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense (NOAA), che nelle ultime settimane stanno valutando i cosiddetti precursori del cambiamento di circolazione, ossia le anomalie dei venti che vanno da ovest verso est e il calore superficiale delle acque dell’Oceano Pacifico. Secondo le serie storiche, si è osservato che se le anomalie del vento di superficie dovessero svanire e non intensificarsi, allora anche El Niño avrebbe meno probabilità di verificarsi. “Sfortunatamente – scrivono i ricercatori – possiamo vedere questa variabilità interannuale del vento solo dopo la fine dell’anno. Nel bel mezzo della primavera/estate, non sappiamo se questi venti siano casuali.”
Ma lo stesso aumento delle temperature può essere un segnale, anche se non sempre è sufficiente. I ricercatori concludono che “mentre i precursori del Pacifico tropicale di El Niño sono già evidenti questa primavera, c’è una certa incertezza sulle previsioni che non scomparirà”.
Temperature degli oceani da record
Se agli inizi d’aprile i satelliti europei riportavano che le temperature superficiali del Mare Mediterraneo e dell’Oceano Atlantico orientale erano ben 3 °C sopra i normali valori di riferimento, a fine mese dalla NOAA arrivava un’altra conferma: le temperature della superficie dell’oceano avevano raggiunto livelli record all’inizio di aprile, superando il precedente picco stabilito nel 2016. Temperature da molti ritenute “fuori scala”, considerando anche gli effetti di raffreddamento di La Niña registrati almeno fino a marzo. Come spiega Richard Allan, dell’Università di Reading, in Regno Unito, “il riscaldamento è continuato a ritmo sostenuto dal 2014”. Da quell’anno in poi “l’energia ha continuato ad accumularsi e a riscaldare gli oceani”.
Una conferma del possibile cambio di circolazione arriva anche da Samantha Burgess, vicedirettrice del Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus: “Durante il mese di aprile sono state registrate temperature eccezionalmente elevate in Spagna e Portogallo, accompagnate da condizioni di siccità estreme”, ha detto in una nota. “Oltre all’ondata di calore nell’Europa meridionale, sono state registrate temperature superiori alla media nel Pacifico orientale equatoriale, un segnale precoce indice di una potenziale transizione verso le condizioni di El Niño, da cui spesso derivano temperature globali più calde.”
I possibili effetti di El Niño sono diversificati, sia su scala globale che regionale: per esempio, ci si può aspettare un aumento delle precipitazioni in alcune parti del Sud America meridionale, degli Stati Uniti meridionali, del Corno d’Africa e dell’Asia centrale, mentre può causare gravi siccità in Australia, Indonesia e parti dell’Asia meridionale. Inoltre durante l’estate boreale, il riscaldamento delle acque può alimentare gli uragani nell’oceano Pacifico centro-orientale, mentre ostacola la formazione degli uragani nel bacino atlantico.
A oggi il 2016 resta l’anno più caldo mai registrato, ma gli ultimi anni confermano la tendenza a un ulteriore riscaldamento dovuto al doppio effetto de El Niño e del riscaldamento climatico generale. “Il mondo dovrebbe prepararsi allo sviluppo di El Niño, che è spesso associato a un aumento del caldo, della siccità o delle precipitazioni in diverse parti del mondo”, ha concluso Taalas. “Potrebbe portare sollievo dalla siccità nel corno d’Africa e da altri impatti legati a La Niña, ma potrebbe anche innescare eventi meteorologici e climatici più estremi. Ciò evidenzia la necessità dell’iniziativa di allerta precoce delle Nazioni Unite per tutti per mantenere in sicurezza le persone.”
Fonte: Le Scienze