La loro produzione e il loro consumo ricevono ancora molte più sovvenzioni governative rispetto a quelle erogate alle fonti di energia rinnovabili. Le ragioni sono per lo più socio-economiche. Eppure esiste, e pare percorribile, la via per ribaltare la situazione.
Le sovvenzioni concesse ai combustibili fossili sono una delle massime barriere finanziarie che ostacolano il passaggio del mondo intero alle fonti energetiche rinnovabili. Ogni anno, i governi dei paesi di tutto il pianeta versano oltre 500 miliardi di dollari per abbassare artificialmente i prezzi dei combustibili fossili: più del triplo di quanto assegnano alle rinnovabili. E ciò avviene malgrado i ripetuti impegni dei politici – anche con dichiarazioni del G7 e del G20 – a mettere fine a questo tipo di sostegno.
“Tutti, ritengo, sembrano essere fondamentalmente d’accordo che bisogna fare qualcosa sui sussidi ai combustibili fossili”, dice Harro van Asselt, specialista di leggi e normative sul clima all’Università della Finlandia orientale a Joensuu. “È la discrepanza tra i discorsi e la realtà che sta cominciando a diventare un tantino fastidiosa. Stiamo cominciando a capire che per farlo davvero le difficoltà sono incredibili.”
Cambiare è possibile. Almeno 53 paesi hanno riformato le proprie sovvenzioni a favore dei combustibili fossili tra il 2015 e il 2020, stando alla Global Subsidies Initiative (GSI), un gruppo di ricerca con sede a Ginevra, in Svizzera. E il più recente impegno a eliminarli da parte di un politico di alto livello è venuto dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Ma ciò che ancora resta da fare è molto di più. “Bisogna che tutti i governi di tutti i paesi eliminino le sovvenzioni ai combustibili fossili nel giro di qualche anno”, dice l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) in un rapporto del 2021 che traccia una rotta verso l’azzeramento delle emissioni nette dei gas contenenti carbonio.
Come sono sovvenzionati i combustibili fossili?
In generale, le sovvenzioni ai combustibili fossili sono di due tipi. Le sovvenzioni alla produzione sono esenzioni tributarie o contributi diretti che riducono il costo di produzione di carbone, petrolio o gas. Sono comuni nei paesi occidentali e spesso contribuiscono a consolidare la necessità di infrastrutture come oleodotti e gasdotti, dice Bronwen Tucker, un’analista di Edmonton, in Canada, impegnata in un organismo di ricerca senza fini di lucro che lavora per svelare i costi dei combustibili fossili, l’Oil Change International, con sede centrale a Washington.
I sussidi al consumo, invece, riducono i prezzi dei combustibili per gli utenti finali, per esempio fissando un prezzo alla pompa della benzina inferiore a quello di mercato. Sono più frequenti nei paesi in cui il reddito medio è basso; in alcuni di essi favoriscono l’uso di combustibili puliti per cucinare da parte di gente che altrimenti non potrebbe permetterseli. In altri paesi, come quelli del Medio Oriente, i sussidi sono a volte considerati un modo per far partecipare i cittadini ai benefici delle risorse naturali del paese, dice Michael Taylor, un’analista di Bonn, in Germania, che lavora per l’International Renewable Energy Agency (IRENA), con sede centrale ad Abu Dhabi.
Gli importi totali annui delle sovvenzioni concesse ai combustibili fossili (barre) sono fortemente influenzati dal prezzo del petrolio (linea). Le sovvenzioni sono calate nel 2020 a causa del minor consumo di carburanti nel corso della pandemia di COVID-19 e della caduta del prezzo del petrolio (Fonte: OCSE-IEA)
L’IEA e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), un organismo intergovernativo con sede a Parigi, stimano che, tra il 2017 e il 2019, 52 paesi a economia avanzata o emergente – che rappresentano il 90 per cento circa della produzione globale di combustibili fossili – hanno concesso sovvenzioni per una media di 555 miliardi di dollari all’anno. L’importo è sceso a 345 miliardi nel 2020, ma solo a causa della riduzione del consumo dei combustibili e del calo dei relativi prezzi nel corso della pandemia da COVID-19.
Le diverse organizzazioni, però, sono in disaccordo su come stimare le sovvenzioni. A complicare le cose c’è il fatto che parte dei finanziamenti pubblici che vanno ai combustibili fossili (come quelli provenienti dalle imprese di proprietà statale) comprende elementi da considerare come sovvenzioni accanto ad altri elementi di diversa natura. Lo sottolinea l’International Institute for Sustainable Development (IISD), organizzazione senza fini di lucro con sede a Winnipeg, in Canada. In un rapporto pubblicato a novembre dell’anno scorso, l’IISD ha raggruppato tutti questi finanziamenti pubblici indicandoli nel loro complesso con il termine “sostegno” ai combustibili fossili, stimando che tra il 2017 e il 2019 i paesi del G20, da soli, hanno erogato una media di 584 miliardi di dollari all’anno, un importo più alto di quello dell’analisi OCSE-IEA. A erogare i sostegni più ingenti, secondo questo elenco, sono stati Cina, Russia, Arabia Saudita e India.
Alcuni analisti sostengono che i costi nascosti dei combustibili fossili – come gli impatti su inquinamento atmosferico e riscaldamento globale – costituiscono nei fatti una sorta di sussidio, perché gli inquinatori non pagano per i danni che provocano. Lo scorso mese, il Fondo monetario internazionale ha calcolato che le sovvenzioni globali di cui hanno goduto i combustibili fossili nel 2020 ammontavano a 5900 miliardi di dollari, cioè quasi al sette per cento del prodotto interno lordo (PIL) globale, in larga misura proprio per questi costi nascosti. C’è, però, anche chi dissente da quest’approccio. “I danni causati dai combustibili fossili sono molto gravi, ma non direi che si tratta di sovvenzioni”, dice Johannes Urpelanen, specialista di politica dell’energia alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies di Washington.
Perché è tanto difficile liberarsene?
C’è anche un problema di definizioni. I paesi del G7 e del G20 si sono impegnati a eliminare le “inefficienti sovvenzioni ai combustibili fossili”, senza però aver chiaramente definito che cosa significhi questa formula. “È un impegno assai vago”, dice Ludovic Subran, capo economista della colosso assicurativo multinazionale Allianz, che ha pubblicato nel maggio scorso un rapporto sull’eliminazione dei sussidi.
Alcuni paesi non ammettono di avere sovvenzioni da eliminare. Il governo del Regno Unito, per esempio, dice di non averne, malgrado l’IISD lo classifichi fra i peggiori paesi dell’OCSE, e calcoli che tra il 2017 e il 2019 abbia devoluto 16 miliardi all’anno, in media, a sostegno dei combustibili fossili. Ciò si deve, in larga misura, allo sgravio di parte delle imposte sull’uso dei combustibili fossili e al finanziamento diretto del settore del petrolio e del gas naturale da parte dello stato britannico. (Anche altri analisti concordano con l’IISD: un rapporto del 2019 della Commissione europea è giunto a conclusioni analoghe.)
“[I britannici] respingono l’idea che il loro paese dia sovvenzioni inefficienti ai combustibili fossili”, dice Angela Picciariello, ricercatrice senior su clima e sostenibilità all’Overseas Development Institute di Londra. E dunque “è veramente difficile portarli a discutere della questione”. (Il governo britannico non ha risposto alla richiesta di un commento avanzata da “Nature”.) Il paese ha però annunciato nel 2020 che avrebbe cessato di sostenere l’energia da combustibili fossili all’estero.
Medie annuali 2014-2016 e 2017-2019 dei sostegni governativi (in miliardi di dollari) ai combustibili fossili per ciascun paese del G20 (Fonte: Doubling Back and Doubling Down: G20 scorecard on fossil fuel funding/IISD)
In più, ciascun paese ha le sue ragioni per sovvenzionare i combustibili fossili, che spesso si intersecano con le rispettive politiche industriali. Esistono tre principali barriere all’eliminazione dei sostegni alla produzione, dice Urpelainen. Innanzitutto, le imprese del settore sono raggruppamenti politici assai potenti. Inoltre, vi sono giustificate preoccupazioni per la perdita di posti di lavoro in comunità dove le possibilità alternative di impiego sono scarse. In terzo luogo, spesso si teme che un aumento dei prezzi dell’energia possa deprimere la crescita economica o scatenare l’inflazione.
Sono però barriere superabili, come hanno già dimostrato alcuni paesi. Il denaro che non viene dato alle imprese del settore dei combustibili fossili può essere ridistribuito in modo da compensare gli effetti dell’aumento dei prezzi dell’energia. Secondo la GSI, Filippine, Indonesia, Ghana e Marocco hanno introdotto trasferimenti in denaro e misure sociali (come fondi per l’istruzione e assicurazioni sanitarie per le famiglie povere) per compensare gli effetti dell’eliminazione dei sussidi. I governi devono inoltre avere un piano per aiutare i lavoratori del settore dei combustibili fossili a trovare altri impieghi, aggiunge Subran.
Un modo per superare le esitazioni dei politici sull’abolizione delle sovvenzioni energetiche è mantenere i sostegni limitandosi semplicemente a condizionarli al passaggio a fonti energetiche più verdi, dice Subran. Le aziende di proprietà statale che sostengono i combustibili fossili potrebbero diversificarsi nelle fonti rinnovabili, aggiunge Picciarello, citando la Ørsted, un’impresa di stato danese, che ha operato una riconversione dai combustibili fossili fino a diventare uno dei massimi produttori mondiali nel campo delle fonti rinnovabili.
I periodi in cui i prezzi del petrolio sono bassi vengono in genere ritenuti adatti per eliminare i sussidi al consumo, perché è possibile mantenere stabili i prezzi al minuto. Stando all’IISD, la riforma dei sussidi in India – paese importatore di petrolio – ha comportato una significativa riduzione del sostegno del paese a petrolio e gas tra il 2014 e il 2019, sfruttando i bassi prezzi del petrolio. Malgrado ciò, secondo i calcoli dell’IISD in India il sostegno complessivo sta crescendo, a causa dell’aumento degli investimenti di imprese di proprietà statale e istituzioni finanziarie.
I bassi prezzi del petrolio hanno anche facilitato la riduzione dei prezzi interni, pesantemente sussidiati, dei carburanti fossili e dell’elettricità in Arabia Saudita, dove sono tra i più bassi del mondo, dice Glada Lahn, una specialista in ambiente e risorse energetiche del centro studi Chatam House di Londra. Il paese ha fatto “significativi progressi” aumentando gradualmente i prezzi dei carburanti dal 2016, dice. L’impatto degli aumenti è stato in qualche misura ammortizzato dall’offerta di trasferimenti in denaro alle famiglie a più basso reddito; anche se oggi i prezzi dei carburanti sono stati nuovamente congelati per stimolare l’economia in seguito all’epidemia di COVID-19.
Miniera di carbone in India
È importante che i paesi facciano attenzione ad assicurare che le politiche per il clima non vadano a colpire le comunità a minor reddito, nota Tucker: quando l’Ecuador ha introdotto un rapido aumento delle tasse sui carburanti nel 2019, le diffuse proteste dei cittadini hanno spinto il governo a reintrodurre i sussidi. Quando l’India ha diminuito i sussidi per i gas di petrolio liquefatti (GPL), si sperava che la distribuzione gratuita di bombole di GPL da cucina alla popolazione rurale – un piano annunciato come risposta a COVID-19 – avrebbe compensato gli aumenti dei prezzi. Ma non ne sono state distribuite abbastanza, dice Vibhuti Garg, specialista nel campo dell’energia dell’IISD a New Delhi. Ciò significa che la gente ha invece bruciato legna e altri biocarburanti, il che può alla fine condurre a maggiori emissioni di gas contenenti carbonio.
Quale sarebbe l’effetto di una riduzione delle sovvenzioni sul cambiamento climatico?
Secondo un rapporto di luglio dell’IISD, abolire i sussidi al consumo in 32 paesi ne ridurrebbe le emissioni di gas serra del sei per cento, in media, entro il 2025. Analogamente, un rapporto delle Nazioni Unite del 2018 suggeriva che l’abbandono dei sussidi ai combustibili fossili potrebbe ridurre le emissioni globali di un valore compreso fra l’uno e l’11 per cento tra il 2020 e il 2030, e che l’effetto sarebbe massimo nel Medio Oriente e nell’Africa settentrionale. La riduzione potrebbe essere amplificata se l’importo dei sussidi venisse poi destinato a sostenere le fonti rinnovabili.
Un rapporto dell’IRENA del 2020 ha seguito le tracce di circa 643 miliardi di dollari di sussidi destinati al settore energetico nel 2020, trovando che circa il 70 per cento di essi è andato ai combustibili fossili. Solo il 20 per cento è andato alla produzione di energia da fonti rinnovabili, il sei per cento ai biocarburanti e poco più del tre per cento al nucleare. “Questo estremo squilibrio nei sussidi tra i combustibili fossili e l’energia pulita ritarda fortemente il raggiungimento degli obiettivi sul clima degli accordi di Parigi”, dice Taylor, l’estensore del rapporto. I valori esatti – aggiunge – variano da un anno all’altro, perché i sussidi ai combustibili fossili salgono e scendono a seconda, in gran parte, dei prezzi del petrolio.
In uno scenario di rapida crescita dell’energia pulita, le sovvenzioni al settore energetico calano e si spostano dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica (Fonte: IRENA)
Il rapporto dell’IRENA delinea inoltre un scenario di come potrebbero cambiare i sussidi globali al settore energetico fino al 2050 per contribuire a contenere l’aumento della temperatura media globale a meno di due gradi Celsius al di sopra del livello preindustriale. In questo scenario, precipitano i sussidi per i combustibili fossili e l’elettricità da fonti rinnovabili, per spostarsi a favore dell’uso di fonti rinnovabili per trasporti ed edifici, e di misure per l’efficienza energetica. Viene tuttavia mantenuto un certo sostegno ai combustibili fossili, quasi tutto rivolto alla cattura e l’immagazzinamento dei gas contenenti carbonio generati da processi industriali come la produzione del cemento e dell’acciaio.
Quali sono le prospettive di riforma a breve termine?
Prima del vertice sul clima COP26, a Glasgow, la presidenza italiana del G20 ha detto che spingerà per maggiori progressi nell’abbandono delle sovvenzioni ai combustibili fossili. A gennaio, Biden ha emesso un ordine esecutivo che indica alle agenzie federali di tagliare le sovvenzioni ai combustibili fossili sotto il loro diretto controllo. Tuttavia, per mettere fine alla maggior parte degli sgravi fiscali e degli incentivi finanziari per il settore del petrolio e del gas sarebbe necessaria l’approvazione legislativa del Congresso.
Da parte sua, il presidente russo Vladimir Putin ha detto che il paese cercherà di azzerare le emissioni nette di gas contenenti carbonio entro il 2060; la sua economia, però, è ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili, ed è in programma lo sviluppo di nuovi campi per l’estrazione di petrolio e gas, dice Vasily Yablokov, a capo del settore clima ed energia della sezione russa di Greenpeace, gruppo ambientalista militante, a San Pietroburgo. “Togliere le sovvenzioni sarebbe percepito come uno shock che va a colpire anche i consumatori”, dice.
Alcuni dei difensori del clima mettono in guardia inoltre contro nuove sovvenzioni ai combustibili fossili che stanno venendo sviluppate proprio in nome della riduzione delle emissioni. Tucker diffida, per esempio, delle sovvenzioni per il cosiddetto “idrogeno blu”, come viene chiamato l’idrogeno prodotto a partire da combustibili fossili, con cattura e immagazzinamento dell’anidride carbonica che si sviluppa come sottoprodotto del processo. Il presidente di una associazione industriale britannica leader dei produttori di idrogeno si è dimesso ad agosto dicendo che le compagnie del settore dei combustibili fossili stanno promuovendo progetti “non sostenibili” per accedere a miliardi di sovvenzioni a spese dei contribuenti.
Ai margini dei vertici del G20 e del G7, gruppi di piccoli paesi hanno lavorato insieme per cercare di costruire una posizione comune sulla riforma delle sovvenzioni. Un’iniziativa su commercio e cambiamento climatico lanciata da Costarica, Fiji, Islanda, Nuova Zelanda e Norvegia nel 2019 punta a costituire un accordo aperto in cui i paesi aderenti abbandonino gradualmente le sovvenzioni per i combustibili fossili ed eliminino le barriere agli scambi di beni e servizi ambientali. Questi paesi non sono fra quelli che erogano le massime sovvenzioni, ma l’iniziativa potrebbe stabilire “un precedente, altrimenti inesistente, per lo sviluppo di regole vincolanti sulla limitazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili”, dice van Asselt.
Limitarsi soltanto ad abolire le sovvenzioni, dice Tucker, non basta: da ultimo, l’obiettivo dovrebbe essere che i governi cessino del tutto di concedere licenze per l’estrazione di combustibili fossili. Ciò malgrado, trova incoraggiante l’attivo dibattito sulla riforma delle sovvenzioni in corso in paesi come Canada, Stati Uniti e Regno Unito. “Porre fine alle sovvenzioni è una vittoria che si può ottenere da subito”, dice.