Dalla ripresa dei casi nel Regno Unito all’obiettivo dell’immunità di gregge: cosa sappiamo davvero e perché dobbiamo proseguire con le precauzioni personali.
Quanto ci protegge davvero il vaccino, dopo la prima e la seconda dose? E quanto contro le varianti? Dopo quanto tempo arriviamo alla massima protezione? Per quanto tempo siamo immunizzati? Dovremo fare (e perché) una terza dose? È giusto (e sicuro) vaccinare i bambini? I rischi sono ormai alle spalle, o dobbiamo tenere alta la guardia?
Queste sono solo alcune delle domande che in questi giorni ci vengono sempre più spesso poste, in cerca di risposte vere e non di semplici indicazioni di massima che finiscono con creare nuovi dubbi più che risolverli. Proveremo a fare chiarezza su questi e altri temi chiave, come sempre semplificando al massimo per facilitare la comprensione e basandoci sulle ultime evidenze scientifiche disponibili a livello nazionale e internazionale.
Come prima cosa, però, dobbiamo stabilire un punto fermo: una pandemia è finita solo quando è davvero finita, ovvero quando si blocca la circolazione del virus fino a renderlo inoffensivo, non quando decidiamo che siamo stanchi di sopportarne gli effetti. Il momento più difficile è proprio quando pensiamo di aver vinto, perché decidere di non fare l’ultimo miglio (per quanto difficile) potrebbe riportare indietro l’orologio del tempo. Ed è un rischio che non ci possiamo permettere.
I numeri in forte calo delle ultime settimane restano comunque circa 10 volte superiori a quelli del maggio 2020. Ed è proprio qui, come vedremo, che si nascondono le insidie maggiori: perché i vaccini stanno limitando in modo drastico le ricadute cliniche della malattia, ma la circolazione del virus resta ancora sostenuta. Procediamo ora con le domande, e soprattutto con le risposte.
Che protezione abbiamo dopo la prima dose di vaccino?
Buona, molto buona, ma non ottimale e con livelli variabili nel tempo (li vedremo in dettaglio di seguito). Su questo tema possiamo disporre di uno studio condotto in Italia: è importante, perché le diverse popolazioni non restituiscono esattamente gli stessi dati a causa della loro differente composizione e caratteristiche (anche se i valori nei Paesi occidentali sono molto simili).
L’Istituto superiore di Sanità (attraverso l’analisi congiunta dei dati dell’Anagrafe nazionale vaccini e della Sorveglianza integrata Covid-19) ha condotto una ricerca relativamente al periodo compreso tra il 27 dicembre 2020 e il 3 maggio 2021: sono stati considerati i quattro vaccini allora autorizzati dall’Agenzia Europea del farmaco (Ema) e dall’ Agenzia italiana del farmaco (Aifa):
1) Comirnaty (Pfizer-BioNTech);
2) Covid-19 Vaccine Moderna (Moderna);
3) Vaxzevria (AstraZeneca);
4) Covid-19 Vaccine Janssen (Johnson&Johnson).
I risultati ottenuti sono una sintesi degli effetti di tutti i vaccini considerati sulla popolazione italiana, perché l’arco di tempo analizzato è troppo limitato per consentire un confronto tra i diversi prodotti. Ricordiamo inoltre che gli intervalli tra prima e seconda dose erano in quel momento fissati a 21 giorni per Pfizer-BioNTech, 28 per Moderna (poi allungati a 35-42 giorni) e a 10-12 settimane per AstraZeneca, mentre il vaccino Johnson&Johnson viene somministrato in dose singola.
Veniamo ai numeri, considerando tre diversi rischi: infezione, ricovero e decesso. I primi 14 giorni dopo la prima dose sono stati considerati a tutti gli effetti un “periodo finestra” con una protezione quasi inesistente e condizioni paragonabili a quelle dei soggetti non vaccinati. A partire dal 15esimo giorno le cose cambiano: il rischio di avere una diagnosi di Covid-19 cala del 54%; quello relativo al ricovero e al decesso del 59% . Questi valori crescono fino al 35esimo giorno circa dopo la prima dose, e si stabilizzano rispettivamente intorno all’80%, al 90% e al 95%.
È importante sottolineare come questi risultati, nel caso dei vaccini Pfizer e Moderna, includano già l’effettuazione della seconda dose (inoculata rispettivamente dopo 21 e 28 giorni) e quindi spingano verso l’alto il valore medio ottenuto, come abbiamo visto, senza differenziare tra i singoli vaccini.
Quando si raggiunge la massima protezione?
Dagli studi finora condotti sui due vaccini Pfizer e AstraZeneca, in particolare in Israele e nel Regno Unito, l’effetto della vaccinazione diventa completo 7 giorni dopo la seconda dose. Per motivi di ulteriore cautela in Europa si tende a considerare un periodo più lungo, di 14 giorni. Possiamo dire che passate due settimane dalla seconda dose, oltre ogni ragionevole dubbio, la protezione è da considerarsi completa per qualsiasi vaccino attualmente in uso.
La diminuzione del rischio di contrarre l’infezione nelle forme asintomatiche arriva all’85% nello studio condotto nel Regno Unito, al 93% per quelle sintomatiche; e rispettivamente al 92% e al 94% nello studio israeliano (si fermava all’80% dopo la prima dose in Italia). Il rischio di ricovero e di decesso, sempre con due dosi, viene invece abbattuto fino a sfiorare il 100% con piccole differenze legate alla tipologia di vaccino e alla popolazione sottoposta a indagine (il dato non è ancora disponibile per l’Italia, ma è logico aspettarsi una performance analoga nel lungo periodo).
La protezione varia in base al sesso o all’età?
No. Gli effetti di protezione delle vaccinazioni, come rilevati nello studio italiano dell’Iss, mostrano profili statistici simili negli uomini e nelle donne e non presentano variazioni importanti in relazione alle diverse fasce di età. Si tratta di un grande successo per i vaccini in uso, visto che la risposta immunitaria tende in genere a essere più debole con l’aumentare dell’età.
Che protezione offrono i vaccini attuali contro le varianti?
Come prima cosa registriamo la decisione dell’Oms di modificare il nome delle varianti “preoccupanti”, identificandole non più con l’area geografica di prima individuazione, ma con lettere dell’alfabeto greco: questo per evitare un collegamento stigmatizzante con luoghi e popolazioni. La variante inglese diventa quindi “alfa”, quella sudafricana “beta”, quella brasiliana “gamma” e quella indiana “delta”. Il sistema a combinazioni di lettere e numeri, poco noto al grande pubblico, resta in uso per le varianti sottoposte a sorveglianza ma per ora non preoccupanti.
Torniamo alla protezione offerta dai vaccini: anche in questo caso come prima cosa dobbiamo fare riferimento al Regno Unito, dove attualmente circolano le due varianti che destano maggiore preoccupazione: quella alfa (ex inglese) e quella delta (ex indiana) in crescita nelle ultime settimane. I dati al momento disponibili riguardano finora il vaccino Pfizer: che mostra un’efficacia importante, ma molto diversa dopo la prima e la seconda dose. Dopo 15 giorni dalla prima inoculazione la protezione contro le infezioni sintomatiche è al 50% contro la variante alfa; ma dai primi riscontri su una popolazione ancora limitata sembra non superare il 33% contro quella delta.
Per contro dopo la seconda dose, a completamento del ciclo vaccinale, l’efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech sale come abbiamo visto al punto precedente al 93% contro le infezioni sintomatiche da variante alfa, e all’88% contro quelle da variante delta. Testimoniando ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che i cicli vaccinali devono non solo essere completati, ma anche il più rapidamente possibile.
Gli ultimi dati dell’Oms, che raccolgono i risultati degli studi disponibili anche in “pre print” a livello mondiale, parlano di una sostanziale protezione offerta dai vaccini in uso contro le 4 varianti principali con valori che variano in base alla tipologia della ricerca e alla popolazione considerata. Molti studi sono ancora preliminari e verranno aggiornati nelle prossime settimane. Per chi volesse approfondire nel dettaglio consigliamo la lettura del Report Epidemiologico Oms del 25 maggio scorso, alle pagine 6 e 7.
Quanto dura la copertura dei vaccini disponibili?
La risposta più sincera è “non lo sappiamo”: non per ignoranza, ma perché soltanto il trascorrere del tempo ci dirà fino a quando saremo protetti. Il limite di 6 mesi finora ritenuto ragionevole era stato fissato perché dalle prime vaccinazioni effettuate erano trascorsi, appunto, 6 mesi. Ora questo periodo si è dilatato fino a 8-9 mesi, e sarà interessante vedere i risultati delle indagini che in Italia coinvolgeranno gli operatori sanitari, prima categoria a ricevere il vaccino a inizio 2021.
Una buona notizia, anche se per ora in attesa di conferma con precisi studi sottoposti a revisione peer to peer, arriva però dai soggetti che avevano partecipato ai trials vaccinali Pfizer nel luglio 2020: la protezione dura ancora dopo quasi 11 mesi.
Non dobbiamo poi dimenticare che la risposta immunitaria è complessa e non si limita ai soli anticorpi prodotti in seguito alla malattia o alla vaccinazione: ricordiamo in particolare il ruolo dei linfociti T, che mantengono una memoria di lungo periodo e agiscono in modo tempestivo anche quando i livelli anticorpali rilevabili si sono ridotti nel tempo. In termini molto semplici: la riduzione del livello di anticorpi non corrisponde in modo automatico a una mancata o carente protezione contro il Sars-CoV-2.
Dovremo fare una terza dose (o più richiami) di vaccino?
Questa domanda si ricollega direttamente alle ultime righe della risposta precedente: non possiamo misurare in tutta la popolazione la risposta indotta dai linfociti T, e ci vorranno anni per avere certezze in proposito, quindi dobbiamo basarci sui livelli anticorpali che invece possiamo testare più facilmente. Il principio di precauzione (presumere l’intervento risolutivo dei linfociti T è diverso da averne certezza) ci porta a ritenere molto probabile e utile la somministrazione di una terza dose per dare un’ulteriore stimolazione al nostro sistema immunitario e stabilizzarne la risposta in un arco di tempo più lungo. Inoltre, nel caso fosse necessario (e probabilmente lo sarà per mantenere l’altissimo livello di protezione raggiunto) la terza dose potrebbe essere somministrata utilizzando un vaccino aggiornato e capace di agire in modo ottimale contro tutte le varianti finora individuate.
Si può scegliere il vaccino?
Teoricamente no, in pratica in qualche Regione è possibile farlo grazie all’impostazione del sistema di prenotazione: nella Regione Lazio, per esempio, prenotando la prima dose si vede immediatamente la data del richiamo. Ed è quindi facile capire se verrà somministrato AstraZeneca (seconda dose a tre mesi), Johnson&Johnson (dose unica, nessun richiamo) oppure PfizerBioNTech o Moderna (seconda dose dopo5-6 settimane).
Ferme restando, in ogni caso, le decisioni che il medico vaccinatore può e deve prendere di fronte al paziente sulla base di parametri quali l’età e l’anamnesi: cambiando se necessario, la teorica scelta automatica effettuata attraverso il sistema.
Perché dobbiamo vaccinare i bambini? Ci sono rischi?
Prima risposta: è vero che le infezioni da Sars-CoV-2 nei bambini sono quasi del tutto prive di complicazioni, ma effettuare la vaccinazione ha tre diverse ricadute pratiche.
1) Oltre a proteggere dall’infezione, stimola e “prepara” il sistema immunitario al possibile arrivo di una variante in grado di causare forme cliniche anche nei più piccoli. In questo caso avere già una protezione, anche se magari parziale, è molto meglio che lasciare tutto nelle mani di una risposta immunitaria priva di una precedente preparazione.
2) Riduce o elimina il rischio di contrarre l’infezione e di trasmetterla a soggetti (genitori e nonni) che invece in caso di malattia sintomatica presentano profili di rischio più elevati. Oppure a soggetti che, per loro caratteristiche di salute, sono ad altissimo rischio ma non possono essere vaccinati o hanno una risposta blanda al vaccino (citiamo a puro titolo di esempio i pazienti in cura con chemioterapici).
3) Limita la circolazione del virus nella popolazione generale, che senza vaccinazione nelle fasce più giovani può contare su un bacino di svariati milioni di soggetti da infettare e nei quali replicarsi e produrre mutazioni.
Si tratta di raggiungere la tanto citata, ma assai poco conosciuta, immunità di gregge: che serve a proteggere non solo chi ha fatto il vaccino, ma anche e soprattutto chi non può farlo.
Seconda risposta: non ci sono rischi, e la garanzia come per tutte le classi di età viene dall’approvazione delle Agenzie regolatorie (per noi Ema e Aifa). Pfizer-BioNTech, negli Usa, sta già iniziando una ricerca che spinge il limite inferiore di età fino a soli 6 mesi: rendendo così possibile, in caso di successo, la copertura vaccinale per la quasi totalità della popolazione con pochissime eccezioni.A quali studi posso fare riferimento per approfondire il tema dei vaccini?Le fonti disponibili sono ormai numerose, e si stano moltiplicando. Pur con la complessità tipica dei testi destinati alla comunità scientifica, consigliamo come possibili approfondimenti 6 studi in particolare:
1) Bernal JL, Andrews N, Gower C, e altri: “Early effectiveness of Covid-19 vaccination…”.
2) Hall VJ, Foulkes S, Saei A e altri: “Covid-19 vaccine coverage in health-care workers in England”.
3) Vasileiou, E, Simpson CR, Robertson C e altri: “Effectiveness of first dose of Covid-19 Vaccines against hospital admissions in Scotland”.
4) Dagan N, Barda N, Kepten E, e altri: “BNT162b2 mRNA Covid-19 Vaccine in a nationwide mass vaccination setting”.
5) Fabiani M, Ramigni M, Gobbetto V e altri: “Effectiveness of the Comirnaty (BNT162b2, BioNTech/Pfizer) vaccine in preventing Sars-CoV-2 infection…”.
6) Fabiani M, Onder G, Boros S, Spuri M, Minelli G, Mateo Urdiales A, Andrianou X, Riccardo F, Del Manso M, Petrone D, Palmieri L, Vescio MF, Bella A, Pezzotti P: “Il case fatality rate dell’infezione Sars-CoV-2 a livello regionale e attraverso le differenti fasi dell’epidemia in Italia”.
Cosa sta succedendo nel Regno Unito?
Siamo di fronte agli effetti causati da una nuova variante (delta, ex indiana) ancora allo studio in modo approfondito, che sembra avere una capacità diffusionale superiore a quella alfa (ex inglese): che pure, a sua volta, era del 30-40% superiore alla DG614 che in Europa ha imperversato nel 2020. Il Sars-CoV-2 nella nuova variante sfrutta essenzialmente due bacini diffusionali: i soggetti non ancora vaccinati (il 25% circa della popolazione) e quelli vaccinati con una singola dose (che abbiamo visto offrire una protezione del 33% circa contro la variante delta).
La protezione completa al momento riguarda solo il 48% della popolazione e la nuova variante ha come bersaglio potenziale il restante 52%. Resta ora da stabilire quanto potrà diffondersi, e quali potranno essere gli effetti clinici della malattia da essa derivata (è troppo presto per dirlo). Per questo motivo il Regno Unito ha accelerato la campagna vaccinale riducendo l’intervallo tra prima e seconda dose, per arrivare il prima possibile a una protezione completa contro l’infezione.
In conclusione
Invece di riassumere i temi trattati, come facciamo di solito, proponiamo a nostra volta una domanda alla quale rispondiamo contestualmente:
Qual è il rischio che si corre facendo circolare il virus?
Ne abbiamo parlato più volte nelle analisi settimanali e nei commenti quotidiani, ma vale la pena ricordarlo: il rischio più grande è quello di selezionare una variante resistente, in toto o in parte, alla risposta immunitaria indotta dal vaccino o dalla malattia.
Più il virus circola, più si replica; più si replica più commette errori (lo fa continuamente, essendo tutt’altro che un essere perfetto); ogni errore corrisponde a una mutazione. La maggior parte della mutazioni sono prive di conseguenze: non danno vantaggio al virus e non creano problemi a noi. Le mutazioni che danno vantaggio al virus diventano varianti: al momento ce ne sono 4 riconosciute dall’Oms come preoccupanti e 6 che vengono monitorate con attenzione.
Una circolazione sostenuta del virus, grazie al mancato rispetto delle misure di protezione o alle mancate vaccinazioni, aumenta la possibilità che in modo del tutto naturale si selezioni una variante per noi problematica. È un po’ come mettere in mano un fucile a un pessimo tiratore che spara cercando di colpire il bersaglio: con un colpo singolo non ci riuscirà quasi mai, ma se lo facciamo sparare un milione di volte possiamo essere quasi certi che farà centro. Magari grazie a un errore.
Fonte: IlSole24Ore