Secondo il rapporto AIFA 2020, pubblicato a marzo di quest’anno, il consumo di antibiotici in Italia nel 2020 è diminuito del 18,2% rispetto al 2019. Questo calo rappresenta un segnale molto positivo e ha permesso finalmente di raggiungere gli obiettivi fissati dal Piano nazionale per il contrasto all’antimicrobico-resistenza: la riduzione maggiore del 10% del consumo di antibiotici nel periodo 2020-2016. È da sottolineare, tuttavia, che il consumo si è mantenuto sopra la media europea sia in ambito territoriale che ospedaliero, così come restano elevate le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici.

Il consumo di antibiotici in Italia nel 2020 è diminuito del 18,2% rispetto all’anno precedente. Il calo investe in proporzioni diverse tutte le Regioni del Paese – in cui persiste un’ampia variabilità segnata dal minore consumo nelle regioni del Nord rispetto a quelle del Centro e del Sud – e che interessa sia l’assistenza convenzionata, ovvero gli antibiotici distribuiti da farmacie pubbliche e private, sia le strutture ospedaliere.

Come emerge dal Rapporto AIFA 2020 (pubblicato a marzo 2022 e i cui dati sono riferiti al 2020) da cui questi dati sono tratti, le misure restrittive legate alla pandemia particolarmente stringenti nel 2020 hanno certamente contribuito a questo risultato, riducendo la circolazione di altri agenti infettivi oltre a Sars-Cov-2.

D’altra parte, oltre al gradiente nord-sud, permangono degli aspetti di continuità in questo fenomeno, come, per esempio, le fasce di popolazione più esposte alla prescrizione di antibiotici. Il rapporto mostra un maggior consumo di antibiotici nelle fasce estreme, nelle quali si registra anche un più frequente utilizzo per gli uomini, in particolare la popolazione di ultra-ottantacinquenni e per la fascia pediatrica tra 0 e i 4 anni, mentre la maggior prevalenza d’uso nelle donne si riscontra nelle fasce di età intermedie, probabilmente legato al trattamento della cistite.

Il calo registrato nel 2020 rappresenta un segnale molto positivo e ha permesso finalmente di raggiungere gli obiettivi fissati dal Piano nazionale per il contrasto all’antimicrobico-resistenza (Pncar): la riduzione maggiore del 10% del consumo di antibiotici nel periodo 2020-2016. È da sottolineare, tuttavia, che il consumo si è mantenuto sopra la media europea sia in ambito territoriale che ospedaliero, così come restano elevate le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici. Come chiarisce Evelina Tacconelli, professoressa dell’Università di Verona intervenuta alla presentazione del Rapporto tenutasi lo scorso 10 marzo, questo significa che «un cittadino italiano ha un rischio individuale sostanzialmente più alto rispetto a un corrispettivo di Oslo di avere una prescrizione inappropriata di antibiotico o di acquisire un’infezione ospedaliera o un’infezione causata da batteri resistenti».

L’appropriatezza prescrittiva

Oltre ad aver avuto effetti in termini quantitativi, la pandemia sembra aver influenzato anche la qualità delle prescrizioni. In questo caso, le considerazioni che emergono da rapporto AIFA sono meno incoraggianti.

Per quanto riguarda i medici di medicina generale, è potenzialmente inappropriato un quarto delle prescrizioni per quasi tutte le condizioni cliniche considerate (influenza, raffreddore comune, laringotracheite, faringite e tonsillite, cistite non complicata). In particolare, nel trattamento di faringiti e tonsilliti acute è aumentato moderatamente l’utilizzo di fluorochinolonici e celaforsporine e di macrolidi come antibiotici di prima linea, il cui aumento potrebbe essere stato trainato dall’esteso utilizzo di azitromicina durante la pandemia. È aumentato moderatamente anche l’uso di fluorochinolonici per il trattamento della cistite non complicata, a fronte di una riduzione di prevalenza di tale patologia nel 2020. È da considerare, d’altra parte, che la riduzione dei contatti con i medici di medicina generale potrebbe aver limitato l’accesso solo ai casi più gravi.

In ambito ospedaliero, il consumo di antibiotici è stato di poco superiore alla media europea e in leggero aumento rispetto al 2019. Anche in questo caso, l’azitromicina è l’antibiotico che ha subito l’aumento più elevato dei consumi. Aumenta anche l’utilizzo dei principi attivi rilevanti per la terapia di infezioni causate da microrganismi multi-resistenti, rappresentando quasi un quarto del consumo ospedaliero.

Rispetto alla qualità delle prescrizioni, da un’indicazione molto utile la classificazione AWaRe 2 proposta dall’Oms, che distingue gli antibiotici in Access (da utilizzare come trattamento di prima o seconda scelta per le infezioni più frequenti), Watch (raccomandati solo in un numero limitato di casi e per specifiche sindromi infettive) e Reserve (antibiotici di ultima istanza e utilizzati solo nei casi più gravi). In base al General Programme of Work 2019-2023 dell’Oms, la percentuale di antibiotici appartenenti alla categoria Access usati a livello nazionale dovrebbe essere maggiore del 60% dell’uso complessivo di antibiotici, valore ben al di sopra di quanto registrato in Italia.

Strategie per favorire l’uso parsimonioso degli antibiotici

Sono molti i progetti che, inserendosi nel framework del Pncar, stanno provando da anni a incidere sulle pratiche prescrittive e sul consumo di antibiotici in generale, che vede coinvolti determinanti di tipo economico, scientifico e culturale. Benché si registrino dei risultati positivi, l’impatto sembra essere ancora modesto, come sottolinea lo stesso presidente dell’AIFA Magrini in apertura del convegno.

Se è vero che a livello territoriale è possibile avere un livello di dettaglio dei dati che permette di arrivare al comportamento del singolo prescrittore, è necessario che vengano forniti dei target e degli obiettivi chiari sulle singole realtà. Vi sono inoltre delle innovazioni che, insieme alla formazione degli operatori sanitari e a campagne di comunicazione rivolte ai cittadini, potrebbero supportare l’appropriatezza prescrittiva in questo contesto. Alessandro Rossi, responsabile dell’ufficio di Presidenza della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), ha suggerito in particolare l’introduzione nei software dei medici di medicina generale di sistemi di allertamento che informino che si sta effettuando una prescrizione potenzialmente non appropriata, così come la diffusione di Point of care diagnostici, che facilitino la rilevazione dei fattori predittivi dell’eziologia batterica dell’infezione.

Rispetto agli ospedali, che pur rappresentando solo il 10% del consumo totale a carico del Ssn, devono essere considerati con attenzione visto il loro ruolo centrale nel controllo dell’antibiotico-resistenza, la necessità è quella di favorire il monitoraggio dettagliato a livello e il flusso dei dati di reparti e di singoli prescrittori sia sui consumi che sulle resistenze. Favorire la condivisione delle migliori esperienze, ma soprattutto la predisposizione di documenti pragmatici ed eventi educativi calibrati sui singoli prescrittori e sulle singole molecole, è la strada auspicata dall’AIFA

 

Fonte: Scienza in Rete

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