Gran parte dell’umanità dipende direttamente da alghe, funghi, piante e animali selvatici per il riscaldamento, il cibo, le medicine, le fonti di reddito e altro ancora. Il sovrasfruttamento di queste specie selvatiche è una delle cause principali del declino della natura e viceversa un loro uso sostenibile può tradursi in risultati positivi per la loro tutela e per il benessere delle persone. Un rapporto IPBES analizza uno dei fattori principali del declino della biodiversità e le strade per coniugare uso sostenibile e conservazione delle specie selvatiche.
Un rapporto del 2019 dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), la massima autorità scientifica mondiale in tema di biodiversità e servizi ecosistemici, ha stimato che circa il 25% delle specie dei gruppi animali e vegetali monitorati è minacciato di estinzione. Il rapporto evidenzia anche come la perdita della biodiversità stia mettendo a rischio il benessere complessivo dell’umanità, riducendo gli enormi benefici che le persone traggono dalla natura. Oltre il 50% del prodotto interno lordo mondiale, secondo una stima del World Economic Forum, dipende in maniera diretta o indiretta dalla biodiversità. Da qui la necessità d’intervenire per ridurre l’intensità dei fattori che portano alla perdita di biodiversità: distruzione di habitat, inquinamento, cambiamento climatico, specie aliene invasive; prelievo eccessivo di risorse biologiche.
Per indagare l’ultimo dei fattori in elenco, quattro anni fa l’IPBES aveva avviato la compilazione di un rapporto dal titolo Uso sostenibile delle specie selvatiche. Di questo rapporto, in attesa della pubblicazione dell’edizione completa, lo scorso 8 luglio è stato presentato il riassunto per i decisori politici. Il tema dell’uso di funghi, piante e animali selvatici risuona a noi occidentali come lontano, se non astratto. Eppure, l’uso delle specie selvatiche è una questione che riguarda ogni popolo del pianeta.
Secondo il rapporto IPBES, su scala planetaria, una persona su cinque dipende da piante, animali, alghe e funghi selvatici per cibo e reddito. Gli umani usano 50.000 specie selvatiche per soddisfare i propri bisogni quotidiani per procurarsi cibo, energia, medicine, cosmetici, materiali da costruzione e decorazione, ispirazione. Di queste, più di 10.000 specie selvatiche vengono raccolte solo per il cibo e quasi 40.000 specie sono raccolte o prelevate per svariati usi ogni giorno. Oltre 2,4 miliardi di persone hanno bisogno di legna o altre forme di bioenergia per cucinare. In totale, la sopravvivenza del 70% delle popolazioni povere è direttamente legata alla “generosità” della natura, tra cui 7.500 specie di pesci selvatici e invertebrati acquatici, 31.100 specie di piante selvatiche (di cui 4.700 specie di alberi) e 1.500 specie di funghi, 1.700 specie di invertebrati terrestri selvatici e 7.500 specie di anfibi selvatici, rettili, uccelli e mammiferi. Un terzo dell’umanità—circa 2,4 miliardi di persone, di cui 1,1 miliardi senza accesso all’elettricità—fa affidamento sulla legna da ardere per cucinare. Il rapporto ricorda, inoltre, che ogni anno le aree protette ricevono circa 8 miliardi di visitatori, spesso per vivere l’esperienza di avvistare la fauna protetta o rinvenire una specie vegetale rara, generando circa 600 miliardi di dollari di entrate turistiche a scala globale.
Tuttavia, gli autori del report segnalano che il 12% delle specie di alberi selvatici è minacciato dal disboscamento condotto senza criteri e standard di sostenibilità, 1.341 specie di mammiferi selvatici sono minacciate da pratiche di caccia non sostenibili, il 34% degli stock di pesci selvatici marini è sovrasfruttato e il valore annuale del commercio illegale di specie selvatiche ammonta a circa 196 miliardi di euro, la quarta categoria di commercio illegale al mondo, dopo armi, droga e traffico di vite umane, con stretti collegamenti con altre forme di criminalità come frode, riciclaggio di denaro e corruzione. Il legname e il pesce costituiscono i maggiori volumi e valori del commercio illegale di specie selvatiche.
Queste statistiche ci dicono quanto sia stretto il legame tra umani e natura e come sia importante che i governi, nelle strategie di conservazione e uso sostenibile della biodiversità, diano il giusto peso a questo legame. Il rapporto IPBES avverte che lo sfruttamento eccessivo è una delle principali minacce alla sopravvivenza di molte specie terrestri e acquatiche selvatiche e chiede con urgenza di attuare politiche, misure e intraprendere attività e progetti per invertire questo sovrasfruttamento e che solo affrontando le cause dell’uso insostenibile si otterranno i risultati migliori non solo per le specie selvatiche, ma anche per le persone che proprio da quelle specie dipendono.
Il rapporto individua cinque grandi categorie di “pratiche” nell’uso delle specie selvatiche: pesca; raccolta (gathering, nel testo inglese del rapporto); estrazione (logging); prelievo (anche attraverso la caccia) di animali terrestri; e pratiche non estrattive, come l’osservazione della fauna. Per ogni pratica il rapporto esamina specifici “usi” come alimenti e mangimi; materiali; medicina, energia; rituali culturali e spirituali; apprendimento e usi non materiali (decorativi, etc.), fornendo un’analisi dettagliata delle tendenze negli ultimi 20 anni di ciascuna delle cinque categorie.
Nella maggior parte dei casi, l’uso di specie selvatiche è aumentato, ma il livello di sostenibilità è variato, per esempio nella raccolta di medicinali e nelle utilizzazioni lignee per il prelievo di legna da opera o da ardere. Rispetto alla pesca, recenti stime globali confermano che circa il 34% degli stock ittici marini selvatici è sovrasfruttato e il 66% viene pescato entro livelli biologicamente sostenibili, ma all’interno di questo quadro globale ci sono significative differenze locali e contestuali. I Paesi con una solida gestione della pesca hanno visto gli stock aumentare in abbondanza. La popolazione di tonno rosso dell’Atlantico, per esempio, è stata ricostruita e ora viene pescata a livelli sostenibili. Per i Paesi e le regioni con misure di gestione della pesca a bassa intensità, tuttavia, lo stato degli stock è spesso poco noto, ma generalmente si ritiene che sia inferiore all’abbondanza che consentirebbe di massimizzare la produzione alimentare sostenibile. Molte attività di pesca su piccola scala sono insostenibili o solo parzialmente sostenibili, soprattutto in Africa, sia per la pesca interna sia marina, e in Asia, America Latina ed Europa per la pesca costiera.
La sopravvivenza di circa il 12% delle specie arboree selvatiche è minacciata dal disboscamento. La raccolta non sostenibile è una delle principali minacce per diversi gruppi di piante, in particolare cactus, palme e orchidee.
La caccia non sostenibile è stata identificata come una minaccia per 1.341 specie di mammiferi selvatici, con un calo anche delle specie di grossa taglia. Il rapporto identifica i cambiamenti degli habitat e dei paesaggi terrestri e marini, il cambiamento climatico, l’inquinamento e le specie aliene invasive come fattori determinanti che influiscono sull’abbondanza e sulla distribuzione delle specie selvatiche, agendo anche come moltiplicatore di stress e di conflitti tra le comunità umane che le utilizzano. Il commercio globale di specie selvatiche è cresciuto notevolmente in volume, valore e reti commerciali negli ultimi quattro decenni. Questo, oltre che garantire entrate importanti per i Paesi esportatori, offre redditi più elevati per i raccoglitori e può diversificare le fonti di approvvigionamento, consentendo il reindirizzamento della pressione dalle specie utilizzate in modo non sostenibile e disaccoppiando anche il consumo di specie selvatiche dai loro luoghi di origine. Il rapporto IPBES rileva che senza una regolamentazione efficace lungo le catene di approvvigionamento, da quella locale a quella globale, il commercio globale delle specie selvatiche tende ad aumenta le pressioni sulle stesse specie, portando a un uso non sostenibile e talvolta al collasso della popolazione selvatica (per esempio, il commercio di pinne di squalo). Il rapporto affronta anche l’uso e il commercio illegale di specie selvatiche, poiché ciò si verifica in tutte le pratiche e spesso porta ad un uso non sostenibile.
L’analisi del rapporto IPBES include un approfondimento su politiche e strumenti che sono stati applicati in una varietà di contesti, relativamente all’uso sostenibile delle specie selvatiche. Specificatamente, sono presentati sette elementi chiave che potrebbero essere utilizzati come leve del cambiamento per promuovere l’uso sostenibile delle specie selvatiche:
- opzioni politiche inclusive e partecipative
- opzioni politiche che riconoscono e supportano le forme molteplici di conoscenza
- strumenti politici che garantiscono una distribuzione equa e giusta di costi e benefici
- politiche specifiche sul contesto
- monitoraggio di specie selvatiche e di pratiche di gestione delle specie selvatiche
- strumenti politici coordinati a livello internazionale, nazionale, regionale e locale, anche attraverso il mantenimento della coerenza e della conformità con gli obblighi internazionali e il rispetto delle regole e delle norme convenzionali e tradizionali
- istituzioni solide, comprese le istituzioni convenzionali e comportamentali
Il rapporto IPBES esamina anche l’uso delle specie selvatiche da parte delle popolazioni indigene e delle comunità locali, nonché la loro vasta conoscenza, pratiche, tradizioni e credenze su tali usi. I popoli indigeni gestiscono la pesca, la raccolta, il prelievo di animali terrestri e altri usi di specie selvatiche su oltre 38 milioni di km2 di territorio, pari a circa il 40% delle aree terrestri conservate, in 87 Paesi diversi. Il rapporto rileva che le politiche a sostegno dei diritti di proprietà e dell’accesso equo alla terra, alla pesca e alle foreste, nonché alla riduzione della povertà, creano condizioni favorevoli per un uso sostenibile delle specie selvatiche.
«La gestione da parte degli indigeni della biodiversità è spesso incorporata nella conoscenza, nelle pratiche e nella spiritualità locali», ha affermato Marla Emery, co-presidente del gruppo di esperti e scienziati che hanno redatto il rapporto. «L’uso sostenibile delle specie selvatiche è fondamentale per l’identità e l’esistenza di molte popolazioni indigene e comunità locali. Queste pratiche e culture sono diverse, ma ci sono valori comuni, tra cui l’obbligo di trattare la natura con rispetto, ricambiare per ciò che viene preso, evitare gli sprechi, gestire i raccolti e garantire la distribuzione equa e giusta dei benefici che derivano dalle specie selvatiche per il benessere della comunità. A livello globale, la deforestazione è generalmente più bassa nei territori indigeni, in particolare dove c’è sicurezza del possesso della terra, continuità di conoscenze e mezzi di sussistenza alternativi. Riunire scienziati e popolazioni indigene per imparare gli uni dagli altri rafforzerà l’uso sostenibile delle specie selvatiche. Ciò è particolarmente importante perché la maggior parte dei quadri nazionali e degli accordi internazionali continuano in gran parte a porre l’accento su considerazioni ecologiche e sociali, comprese le questioni economiche e di governance, anche se i contesti culturali ricevono poca attenzione».
Il rapporto si conclude esaminando una serie di possibili scenari futuri per l’uso delle specie selvatiche, confermando che il cambiamento climatico, l’aumento della domanda e i progressi tecnologici, che rendono più efficienti molte pratiche estrattive, presenteranno probabilmente sfide significative per un uso sostenibile in futuro. Per ciascuna pratica vengono identificate le azioni che aiuterebbero ad affrontare queste sfide. Nella pesca, ciò includerebbe la correzione delle attuali inefficienze; ridurre la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata; sopprimere i sussidi finanziari dannosi; sostenere la pesca su piccola scala; adattarsi ai cambiamenti della produttività oceanica dovuti al cambiamento climatico; e creare in modo proattivo istituzioni transfrontaliere efficaci. Nel disboscamento ciò comporterebbe la gestione e la certificazione delle foreste per molteplici usi; innovazioni tecnologiche per ridurre gli sprechi nella produzione di prodotti in legno; e iniziative economiche e politiche che riconoscono i diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali, compreso il possesso della terra. Nella maggior parte degli scenari futuri che consentono l’uso sostenibile delle specie selvatiche, gli autori segnalano che i cambiamenti trasformativi condividono caratteristiche comuni, come: (i) l’integrazione di sistemi di valori plurali; (ii) equa distribuzione di costi e benefici; (iii) cambiamenti nei valori sociali, nelle norme e preferenze culturali; (iv) ed efficaci istituzioni e sistemi di governance. Infine, gli autori del rapporto IPBES ritengono che obiettivi ambiziosi siano necessari ma non sufficienti per guidare il “cambiamento trasformativo”. Il rapporto rileva che il mondo è dinamico e che l’uso sostenibile delle specie selvatiche richiede una negoziazione costante e una gestione adattativa e una visione comune dell’uso sostenibile e del cambiamento trasformativo nelle relazioni uomo-natura.
Fonte: Scienza in Rete