Uno studio condotto negli USA è riuscito a far luce sul ruolo delle ripetizioni in tandem nel DNA che si verificano nel genoma di alcune persone con schizofrenia. Le ripetizioni si verificano principalmente nei geni cruciali per la funzionalità cerebrale e noti per svolgere un ruolo importante nella schizofrenia.
Grazie al sequenziamento dell’intero genoma e a tecniche di apprendimento automatico, un team dell’University of North Carolina Health Care di Chapel Hill (USA), guidato da Jin Szatkiewicz, ha condotto uno dei primi e più ampi studi sulle ripetizioni in tandem nel DNA nella schizofrenia, contribuendo a chiarire il loro contributo allo sviluppo di questa malattia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati da Molecular Psychiatry.
Lo studio mostra che le persone con schizofrenia hanno un tasso significativamente più alto di ripetizioni in tandem nel loro genoma, il 7% in più rispetto alle persone senza schizofrenia, e ha osservato che queste ripetizioni non sono collocate in modo random lungo il genoma, ma si trovano principalmente nei geni cruciali per la funzionalità cerebrale e noti per svolgere un ruolo importante nella schizofrenia.
Solitamente, le ripetizioni in tandem nel DNA non hanno un impatto negativo sulla salute. Tuttavia, sulla base di dove sono collocate nel genoma e di quanto sono lunghe, possono contribuire allo sviluppo di diverse patologie.
Un esempio è la malattia di Huntigton, che è causata dalle ripetizioni in tandem nel gene HTT, che determinano una produzione anomala di proteine tossiche per il cervello.
Nello studio, i ricercatori americani hanno analizzato l’intero genoma di 2.100 individui per trovare le ripetizioni in tandem che fossero lunghe e uniche o rare e per confrontare i risultati con quelli delle persone affette da schizofrenia.
Dai risultati è emerso che i geni con ripetizioni in tandem rare, che si evidenziano nella schizofrenia, hanno principalmente un impatto sul signaling sinaptico e neuronale. Inoltre, questi geni rimangono conservati a livello evolutivo, segno della loro importante funzione biologica.
Fonte: QuotidianoSanità.it