Un amminoacido comune, la glicina, può fornire un segnale di “rallentamento” al cervello, contribuendo probabilmente alla depressione maggiore, all’ansia e ad altri disturbi dell’umore. La scoperta del Wertheim UF Scripps Institute for Biomedical Innovation & Technology, pubblicata su Science, potrebbe quindi migliorare la comprensione delle cause biologiche della depressione maggiore e accelerare gli sforzi per sviluppare nuovi farmaci ad azione più rapida per disturbi dell’umore difficili da trattare.
Il neuroscienziato Kirill Martemyanov, primo autore della ricerca, è convinto di essere sulla strada giusta per combattere il ‘male di vivere’. Ma è ancora decisamente presto per parlare di nuove terapie perché, a oggi, la sperimentazione è stata fatta solo sui topi e ci vorrà tempo prima dei test sull’uomo. “La maggior parte dei farmaci per le persone con depressione hanno bisogno di settimane prima di fare effetto, se mai lo fanno. Sono davvero necessarie nuove e migliori opzioni”, ha affermato Martemyanov, che presiede il dipartimento di neuroscienze presso l’Istituto di Jupiter.
La depressione maggiore
La depressione maggiore è tra le emergenze sanitarie: i numeri sono aumentati negli ultimi anni, soprattutto tra i giovani adulti. In Italia le persone depresse sono tre milioni e mezzo e fra questi 1 milione soffre di depressione maggiore di grado grave. Con la crescita dei casi, del numero di suicidi e delle spese mediche, uno studio dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie nel 2021 ha stimato l’onere economico a 326 miliardi di dollari all’anno solo negli Stati Uniti.
Lo stress
Era cosa già nota che la glicina fosse presente nel cervello, ma gli esperti Usa hanno fatto un passo in avanti. Hanno individuato i recettori che le permettono di agire all’interno dei neuroni.
Martemyanov ha iniziato il suo lavoro, durato anni, ponendosi una domanda: “In che modo i sensori sulle cellule cerebrali ricevono e trasmettono segnali nelle cellule?”. A suo parere, qui sta la chiave per comprendere la visione, il dolore, la memoria, il comportamento e forse molto altro.
Nel 2018 il team di Martemyanov ha individuato il recettore nella depressione indotta dallo stress (GPR158). Somministrando la glicina alle cavie da laboratorio, ha visto che i topi rallentavano le loro attività. Se non avevano il gene per il recettore, erano più resistenti allo stress cronico.
Una nuova terapia?
Da quel momento Martemyanov si è sempre più convinto che GPR158, ribattezzato mGlyR, potrebbe essere un bersaglio terapeutico. Ci sono voluti altri anni per arrivare a una seconda svolta. Nel 2021 è riuscito ad analizzare ancora più in dettaglio la struttura di mGlyR.
“Di solito i recettori come GPR158, noti come recettori accoppiati a proteine G, legano le proteine G. Questo recettore si legava invece a una proteina RGS, che è una proteina che ha l’effetto opposto dell’attivazione”, ha spiegato Thibaut Laboute, ricercatore del gruppo di Martemyanov e primo autore dello studio.
“Vogliamo capire sempre di più come funziona – ha spiegato ancora Laboute – . L’obiettivo è riuscire a ‘disinnescarlo’ in tempi rapidi per togliere quell’effetto di ‘rallentamento’ nel cervello che provoca la depressione. Ciò che mi rende davvero entusiasta di questa scoperta è che potrebbe essere importante per la vita delle persone”.
La glicina
Oggi la glicina viene venduta come integratore alimentare classificato come miglioramento dell’umore, ma anche come antiaging. Alcuni studi hanno collegato la presenza di questo amminoacido alla crescita del cancro alla prostata invasivo.
“Si tratta di un campo della ricerca che utilizza circuiti neuotrasmettorili innovativi. La ricerca è interessante e promettente per quanto riguarda lo studio di nuovi farmaci – commenta Claudio Mencacci, copresidente della Società di neuropsicofarmacologia – . Punta sulla rapidità di azione dell’antidepressivo, sulla sua efficacia e sulla riduzione degli effetti collaterali. Questo filone di ricerca ha già portato all’esketamina, un farmaco già utilizzato, e considerato come un vero e proprio salvavita per i pazienti con depressione e resistenti alle cure”.
In alcune cellule invia segnali di rallentamento, mentre in altri tipi di cellule invia segnali che eccitano. Ora saranno necessarie ulteriori ricerche per capire come il corpo mantiene il giusto equilibrio dei recettori mGlyR e come l’attività delle cellule cerebrali è influenzata. “Abbiamo un disperato bisogno di nuovi trattamenti per la depressione – ha concluso Martemyanov – . Se possiamo mirare a questo con qualcosa di specifico, ha senso che possa essere d’aiuto. Ci stiamo lavorando ora”.
Fonte: La Repubblica