Uno studio coordinato dal Centro Cardiologico Monzino rivela che la porzione ossidata del colesterolo “cattivo” (LDL) è un fattore precipitante della cardiomiopatia aritmogena (ACM), una delle cause più frequenti delle morti cardiache improvvise. I ricercatori hanno infatti dimostrato che i pazienti con un’alta concentrazione di LDL ossidato nel sangue possono soffrire di forme più gravi di disfunzione ventricolare e di eventi aritmici maggiori, tipici di ACM. Il lavoro è stato appena pubblicato sulla rivista Embo Molecular Medicine.
La ACM è una malattia genetica che spesso colpisce giovani atleti. È causata da una mutazione nel DNA che provoca un progressivo accumulo di grasso nel cuore, impedendone il corretto funzionamento e dando origine a cortocircuiti elettrici che possono determinare l’arresto cardiaco. È caratterizzata da una graduale sostituzione del miocardio ventricolare con il tessuto fibro-adiposo e si manifesta con fenomeni aritmici che variano dalla extrasistolia ventricolare isolata alla tachicardia o la fibrillazione ventricolare, e nel tempo dà origine a scompenso cardiaco.
Le terapie sintomatiche esistono – farmaci antiaritmici, ablazione del substrato aritmico con radiofrequenza, impianto di un defibrillatore automatico, farmaci anti-scompenso – ma la sfida è identificare e correggere fattori di rischio che agiscano da spie per evitare le manifestazioni severe della malattia, in primis l’arresto cardiaco improvviso.
“Sappiamo che esistono diversi geni associati alla cardiomiopatia aritmogena, per esempio il gene che codifica per la proteina placofilina 2, PKP2 – spiegano Elena Sommariva e Ilaria Stadiotti, prime autrici del lavoro, Ricercatrici dell’Unità di Biologia Vascolare e Medicina Rigenerativa al Monzino – Tuttavia la variabilità nella penetranza ed espressività di tali geni ci ha suggerito che accanto ai fattori genetici vi siano anche fattori esterni al DNA. Andando a caccia di questi elementi abbiamo scoperto che le forme ossidate delle LDL (lipoproteine a bassa densità), il famoso “colesterolo cattivo”, aumentano l’adipogenesi, cioè la produzione di grassi, attraverso un meccanismo che implica sovra-attivazione di PPARγ, il gene responsabile dell’accumulo di lipidi”.
“Questo nuovo meccanismo patogenetico – proseguono Sommariva e Stadiotti – è stato studiato nei pazienti e verificato con esperimenti in vitro su due tipi di cellule cardiache e studi in vivo, che ci hanno confermato che gli antiossidanti e il trattamento con statine contrastano le manifestazioni della malattia. Ecco quindi il punto fondamentale: l’aumento dei livelli di LDL nel sangue può rappresentare sia uno strumento per identificare i pazienti ad alto rischio di forme gravi di ACM, che un target per terapie mirate”.
“Il Centro Cardiologico Monzino ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della cardiomiopatia aritmogena, ed è stato il primo ospedale a scoprire che le cellule stromali cardiache, ossia le cellule di supporto del cuore, sono la componente cellulare responsabile dell’accumulo di grasso, chiarendone i meccanismi implicati. Le ricerche su queste cellule hanno aperto prospettive promettenti, perché esse rappresentano un possibile bersaglio terapeutico e un punto di partenza per lo studio di nuovi farmaci. Questo ultimo studio può rappresentare un passo fondamentale per sconfiggere la malattia perché il risultato è applicabile fin da subito: il controllo dei livelli di colesterolo LDL è una pratica clinica ampiamente diffusa e conosciuta” conclude Giulio Pompilio, Direttore Scientifico del Monzino.