A sette anni dal Millennium Drought, la terribile siccità che ha colpito il sud-est dell’Australia, il 37 per cento dei fiumi non ha ancora recuperato le condizioni precedenti. Lo afferma uno studio che smentisce così l’idea di una intrinseca resilienza dei sistemi idrici, suggerendo anche la necessità di ottimizzare i metodi di monitoraggio.
All’inizio del nuovo millennio, tra il 2001 e il 2009, la maggior parte del Victoria e del Nuovo Galles del Sud in Australia hanno vissuto la peggiore siccità mai registrata: i livelli dei fiumi sono scesi drasticamente e i serbatoi erano a una frazione della loro capacità. Il serbatoio del lago Eildon nel Victoria, per esempio, nel 2010 era al 29 per cento della capacità. E ancora oggi molti bacini fluviali della regione non hanno ancora recuperato le condizioni precedenti alla prolungata scarsità di precipitazioni.
È quanto risulta da un nuovo studio pubblicato su “Science” e firmato da Tim Peterson della Monash University di Clayton, in Australia, e colleghi che mostra come la siccità idrologica possa seguire una dinamica almeno in parte indipendente dalla siccità meteorologica, evidenziando un fenomeno di amplificazione dell’impatto della crisi climatica in atto di cui bisognerebbe tenere conto per uno sfruttamento sostenibile delle risorse idriche già minacciate.
L’idea prevalente finora è che i bacini idrografici potessero recuperare completamente dalla siccità una volta riprese le precipitazioni a livelli normali. Tuttavia, finora mancava uno studio accurato su eventi estremi come quello australiano.
Usando l’Australian Millennium Drought come esperimento naturale, Peterson e colleghi hanno valutato le precipitazioni annuali e stagionali e le registrazioni di deflusso per più di 160 bacini fluviali nella regione interessata prima, durante e dopo la siccità. Hanno così scoperto che, anche sette anni dopo la fine della siccità, il deflusso non era ancora tornato ai livelli precedenti la siccità nel 37 per cento dei bacini colpiti. Inoltre, l’80 per cento di quelli che non avevano ancora recuperato non mostrava segni di poterlo fare nel prossimo futuro.
“La conclusione di Peterson e colleghi, secondo cui i bacini fluviali possono irreversibilmente trasformarsi in uno stato di scarsità d’acqua persistente dopo gravi siccità meteorologiche, sfida la confortante ipotesi che i sistemi idrici tendono naturalmente ad assorbire le perturbazioni”, scrive Flavia Tauro dell’Università della Tuscia a Viterbo, in un articolo di commento pubblicato sullo stesso numero di “Science”. “Questo sottolinea la necessità di cambiare il modo in cui vengono modellizzati i processi idrici globali.”
In effetti, lo screening dei processi idrici dinamici, aggiunge Tauro, è una vera e propria sfida, per via dei limiti sostanziali degli attuali sistemi di monitoraggio, soprattutto alla scala del singolo bacino: le osservazioni tramite attrezzature standard sono ancora inadeguate per comprendere appieno i processi naturali. Questi metodi offrono infatti una copertura spaziale limitata e generalmente comportano alti costi di manutenzione, il che ne ostacola l’implementazione in molte parti del mondo, soprattutto nelle regioni più remote e nei paesi in via di sviluppo.
Un aiuto potrebbe venire dall’uso di tecnologie innovative che permettono un monitoraggio del ciclo dell’acqua con una risoluzione spazio-temporale molto elevata. Questo tipo di monitoraggio, unito a un’analisi avanzata dei dati, permetterebbe d’interpretare correttamente “le complesse interazioni tra gli attributi morfologici e funzionali dei bacini e i fattori idroclimatici in un mondo che cambia”, conclude Tauro.
Fonte: Le Scienze