Ce la possiamo fare. L’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina ha fatto definitivamente emergere il consenso europeo sulla necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo, che si era già delineato in occasione di precedenti crisi. La dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili rende il continente altamente esposto alla volatilità dei prezzi, agli shock delle forniture e ai rischi per la sicurezza, alimentando al contempo regimi antidemocratici che da un momento all’altro possono diventare ostili, come si è visto nel caso della Russia.
Nel 2019 le fonti energetiche hanno rappresentato il 59% delle esportazioni russe, per un totale di 240 miliardi di dollari, in larga misura pagati dall’Europa. Se si ipotizza un prezzo medio di 125 euro a megawattora (adesso è a 270), nel 2022 l’Europa verserebbe a Mosca circa 200 miliardi di euro, attraverso le due banche controllate dal Cremlino che non sono state ancora incluse nelle sanzioni: Sberbank e Gazprombank. Questi due istituti continuano così ad avere forti afflussi di moneta forte liberamente utilizzabile, a differenza di quella bloccata nelle riserve della banca centrale. La vendita degli idrocarburi ai prezzi altissimi di oggi è dunque il canale che sta sostenendo lo sforzo di guerra di Putin, a colpi di 700 milioni di euro al giorno. Se non si fa nulla, questo stato di cose di fatto nega l’efficacia delle sanzioni decise fin qui.
Per quanto riguarda l’Italia, nella decade tra il 2010 e il 2019 la “bolletta del gas” nazionale è stata in media di 17 miliardi di euro all’anno, per un totale di 167 miliardi (dati Unem). La quota di importazioni di gas russo può essere stimata a oltre 6 miliardi di euro per gli anni pre-Covid, mentre il valore supera i 29 miliardi di euro ai costi attuali. La dipendenza dalla Russia non è stata sempre uguale, ma si è notevolmente aggravata in anni recenti. Dopo il picco del consumo nazionale di gas, raggiunto nel 2005 (+80% rispetto al 1990), i consumi hanno invertito il trend, calando del 14% tra il 2005 e il 2019. Questo calo deriva dal primo pacchetto europeo per il clima, che ha trainato nuove politiche di risparmio energetico e il boom delle rinnovabili, ma anche dalla progressiva riduzione della produzione manifatturiera e dalla crisi economica del 2008-2009. Un trend destinato ad accelerare a seguito dei rafforzati impegni climatici, con un calo della domanda di gas attesa in Europa di oltre il 20% al 2030, secondo stime dell’Agenzia internazionale dell’energia.
Le importazioni italiane di gas hanno seguito un trend analogo, raggiungendo il picco nel 2006 e calando dell’8-9% nei successivi 15 anni. All’interno di questo trend discendente, però, le importazioni di gas russo sono aumentate del 40%, a discapito degli altri fornitori. Mentre nei primi anni Duemila la quota russa copriva circa un terzo dei consumi nazionali di gas, ora siamo arrivati quasi a metà (45%), per un volume complessivo che supera i 30 miliardi di metri cubi all’anno. L’ennesima crisi energetica causata dall’aggressione del Cremlino al suo vicino troppo democratico potrebbe essere una buona occasione per cercare di disintossicarsi dal gas russo.
Come? Puntando su fonti rinnovabili, efficienza energetica e riduzione dei consumi. «Abbandonare il gas russo deve andare in parallelo con il generale abbandono dell’utilizzo di questa fonte fossile, accelerando il trend già in atto dal 2005, con l’obiettivo di costruire una nuova resilienza geopolitica, economica e climatica che non generi un susseguirsi di crisi ma che ci metta al riparo da esse», sostengono Luca Bergamaschi e Matteo Leonardi, fondatori del think tank energetico Ecco. In uno studio appena pubblicato, i due consulenti energetici riassumono in otto punti le mosse necessarie per emanciparsi da questa dipendenza. Da un lato spiegano che è possibile tagliare i consumi di gas di circa 15 miliardi di metri cubi all’anno, equivalenti alla metà delle importazioni dalla Russia e a un risparmio di circa 15 miliardi di euro ai costi attuali. In parallelo, facendo leva sul pieno sfruttamento delle infrastrutture esistenti, l’Italia potrebbe riuscire a gestire l’interruzione totale delle forniture di gas russo nel corso di quest’anno.
La capacità complessiva di stoccaggio in Italia, evidenzia il think tank nel suo studio, arriva a quasi 18 miliardi di metri cubi, pari a oltre metà delle importazioni russe medie degli ultimi 5 anni, mentre i gasdotti “non russi” di Passo Gries, Mazara del Vallo e Gela sono largamente sottoutilizzati (16%, 24% e 45% rispettivamente nell’anno termico 2019-2020, secondo i dati dell’Authority per l’energia), con una capacità aggregata annuale di trasporto di oltre 100 miliardi di metri cubi, cui vanno aggiunti i 10 miliardi di metri cubi in arrivo dal gasdotto Tap, da poco operativo in Puglia. Inoltre, il grado di utilizzo dei rigassificatori in Italia (Rovigo, Livorno e Panigaglia) ha ancora un margine di aumento di circa il 20% rispetto al 2020 e una capacità aggregata annuale disponibile di circa 20 miliardi di metri cubi.
«Prima di invocare la corsa a nuove infrastrutture e nuovo gas, occorre dare massima priorità a tutte le alternative al gas e allo sfruttamento delle infrastrutture esistenti», affermano Bergamaschi e Leonardi, precisando poi che un aumento delle estrazioni di gas nazionale «non rappresenta una soluzione», perché l’incremento di 2 miliardi di metri cubi all’anno previsto dal governo corrisponde appena «al 6% delle importazioni di gas russo, ha costi di estrazione molto più elevati e richiede un ingente intervento fiscale a carico di tutti per calmierare i prezzi». È necessaria, invece, «una chiamata a un consumo responsabile di energia, affiancata da una accelerazione delle rinnovabili». Le fonti verdi, in cui l’Italia è stata una pioniera, sono ormai ferme da otto anni: la quota di energia pulita sul mix elettrico nazionale era dal 39% nel 2014 ed è stata del 37% nel 2021. Ora bisogna riprendere a farla crescere.
La strategia suggerita da Ecco per risolvere la crisi energetica si riassume in otto misure molto concrete, elencate qui di seguito in ordine di importanza.
Sviluppo delle fonti rinnovabili nel settore elettrico: con un potenziale di 20 gigawatt all’anno, secondo le stime di Elettricità Futura, questo balzo in avanti delle rinnovabili determinerebbe una riduzione dei consumi gas di circa 5 miliardi di metri cubi all’anno, più del doppio della nuova produzione nazionale di gas prevista dal governo.
Risparmio sul riscaldamento: negli usi civili la riduzione di 2°C delle temperature, unita alla riduzione degli sprechi e a soluzioni di smart working, viene quantificata in un potenziale di risparmio del 15% rispetto ai consumi attuali, per circa 4 miliardi di metri cubi.
Campagna di sensibilizzazione del risparmio nel settore elettrico (modifiche di abitudini, sostituzione di apparecchi obsoleti): qui il potenziale di riduzione dei consumi finali sarebbe del 10%, equivalente a un impatto sui consumi gas di 3 miliardi di metri cubi.
Sviluppo degli impianti fotovoltaici sugli edifici: innalzando da 2,2 gigawatt a 5 gigawatt il traguardo fissato dal PNRR per i Comuni, si conseguirebbe un risparmio di 1,2 miliardi di metri cubi di gas.
Promozione delle installazioni delle rinnovabili nel settore industriale: attraverso la rimozione delle barriere autorizzative e l’attivazione di politiche fiscali quali sconti Imu sui capannoni destinati al fotovoltaico, si potrebbero realizzare altri 5 gigawatt di solare, con un risparmio ulteriore di 1,2 miliardi di metri cubi.
Aumento delle misure di efficienza energetica nelle industrie: attraverso le risorse disponibili nella prima missione del PNRR si potrebbe conseguire un risparmio del 10% nel settore industriale, che varrebbe 1 miliardo di metri cubi.
Sostituzione delle caldaie a gas con pompe di calore: se fatta nel 10% delle abitazioni permetterebbe un risparmio di circa 1 miliardo di metri cubi, quindi è necessario rivedere il Superbonus del 110%, escludendo la possibilità di utilizzare la maxi-agevolazione per nuove caldaie a gas.
Riduzione del consumo gas nei trasporti, con la possibilità di ottenere un risparmio di 0,5 miliardi di metri cubi.
Fonte: Scienza in Rete