Nel mondo di oggi, così profondamente plasmato dalla presenza dell’uomo, c’è un solo animale di cui dovremmo avere realmente paura: le zanzare. Se le punture di scorpione uccidono ogni anno poco più di 3mila persone, i morsi di serpente 138mila, e gli esseri umani (parlando solo di omicidi) qualcosa come 400mila, nessuno si avvicina al triste primato degli insetti più fastidiosi del mondo. Tra malaria, dengue, Zika, febbre gialla e molte altre letali malattie, le punture di zanzara uccidono ogni anno almeno 700mila persone. La lotta alle zanzare non è quindi una semplice questione comfort, ma un’autentica emergenza sanitaria. Una battaglia che – oltretutto – al momento stiamo perdendo, tra cambiamenti climatici che espandono il loro ambiente ideale, e insetticidi che si rivelano sempre meno efficaci. È per questo che negli ultimi anni stanno facendo il loro ingresso sulla scena due nuovi contendenti: genetica e microbiologia, pronte a trasformare radicalmente le zanzare stesse per ridurne il numero e impedire che trasmettano virus e parassiti.
Zanzare Ogm
La notizia più recente in questo senso arriva dalla Oxitec, un’azienda specializzata nell’editing genetico per il controllo degli insetti nocivi. Nelle scorse settimane sono infatti stati rivelati i risultati del primo trial condotto nell’Usa con la sua tecnologia di punta: le zanzare Aedes aegypti “2nd Generation Friendly”, testate nelle isole Keys, in Florida, a partire dall’aprile dello scorso anno. La strategia sviluppata dai ricercatori della Oxitec prevede la creazione di zanzare modificate geneticamente per possedere un gene che risulta fatale negli esemplari di sesso femminile, ma innocuo in quelli di sesso maschile. Un antidoto permette di allevare le zanzare per produrne in quantità, ma basta eliminarlo per selezionare solamente esemplari maschi, che vengono quindi liberati nell’ambiente.
L’idea è che una volta immessi in un’area i maschi di zanzara ogm si riproducano con le femmine presenti, e poiché presentano nel loro genoma due copie del gene letale l’intera prole ne avrà una copia nel proprio Dna. Trattandosi di un gene dominante, le femmine moriranno prima di potersi sviluppare, mentre i maschi si svilupperanno fino a riprodursi, producendo una terza generazione in cui metà delle femmine erediteranno il gene, e moriranno, e metà dei nuovi maschi sarà nuovamente un portatore sano. Il ciclo è pensato quindi per ridurre la quantità di femmine (gli esemplari che pungono l’uomo per succhiare il sangue) per un certo numero di generazioni, prima che – a meno di nuove reintroduzioni di esemplari modificati – il gene diminuisca in prevalenza fino a sparire.
Il piano è stato messo alla prova liberando gli esemplari maschi in diversi giardini privati delle isole Keys, e monitorando quali, e quante, zanzare fossero presenti nei mesi seguenti. I risultati del test, presentati nel corso di un webinar (e non quindi in una pubblicazione peer reviewed) avrebbero dimostrato che che la strategia funziona: nessuna delle femmine nate dalla prima generazione di maschi modificati geneticamente è sopravvissuta, e il gene letale è persistito nella popolazione per circa tre mesi (fino ad una terza generazione), per poi sparire completamente.
Ancora molte incognite
Se i dati si riveleranno corretti, la nuova tecnica di modifica genetica sviluppata dalla Oxitec avrà dimostrato di funzionare come sperato. Almeno sul piano del controllo della popolazione di zanzare A. aegypti presenti in un’area. Se questo si rivelerà sufficiente anche per ridurre la diffusione di malattie trasmesse dalle zanzare, però, è tutto da dimostrare. Per prima cosa, le A. aegypti non sono le uniche zanzare che possono trasmettere virus e parassiti alla nostra specie. Secondo, non è detto che ridurre la popolazione di femmine riduca necessariamente l’incidenza di nuove infezioni: anche una popolazione contenuta di esemplari femminili potrebbe infatti rivelarsi sufficiente per mantenere livelli di infezioni consistenti. Per dimostrare l’impatto sanitario di interventi simili la Oxitec dovrebbe mettere in piedi un vero e proprio studio clinico, e in aree del mondo dove la trasmissione di malattie che hanno come vettore le zanzare è abbastanza sostenuta da permettere di vedere risultati concreti. Un’impresa ritenuta al di là delle attuali possibilità dell’azienda.
La guerra batteriologica
Un approccio diverso, e forse complementare, è quello tentato negli scorsi anni negli Stati Uniti da biotech come MosquitoMate, che invece di modificare geneticamente le zanzare punta a sfruttare l’aiuto di un parassita già presente in natura: il batterio Wolbachia pipientis. Un microorganismo che infetta quasi il 60% delle specie di insetti oggi note, ma che di norma non è in grado di colpire le zanzare della specie aegypti. Introducendolo artificialmente nelle uova di questi insetti, in effetti, avviene qualcosa di estremamente peculiare: se ne nasce un maschio, quando si riprodurrà con una femmina non infetta le uova che questa deporrà non riusciranno mai a schiudersi; se invece due esemplari infetti si riproducono tra loro, le uova saranno immuni all’infezione di virus come quello della dengue. Il perché non è chiaro, ma il risultato è certo, e piuttosto allettante. E infatti il batterio Wolbachia è stato sperimentato negli scorsi anni in diverse occasioni, e con due strategie differenti.
La prima, portata avanti da aziende come MosquitoMate, prevede l’utilizzo di esemplari maschi infettati con Wolbachia. Una volta liberati in natura, questi si riprodurranno con le femmine selvatiche, non infette, e produrranno uova destinate a non schiudersi mai. Diminuendo così la popolazione di zanzare presente nell’area. La seconda, sperimentata in alcune città del Vietnam, dell’Indonesia, della Malesia, del Brasiule e dell’Australia, consiste nel liberare esemplari infetti di ambo i sessi, così che questi trasmettano il batterio ai propri discendenti, finendo un po’ alla volta per soppiantare le zanzare selvatiche, incapaci di riprodursi con successo con quelle infette, producendo una popolazione di zanzare incapaci infettare l’uomo con virus e parassiti.
Nel primo caso, i problemi al momento riguardano la scalabilità della strategia: selezionare unicamente gli esemplari infetti di sesso maschile è un processo lungo e complesso, che limita la quantità di zanzare che si riescono a produrre e liberare in natura. Nel secondo, nascono invece dai tempi, più lenti, con cui la strategia riesce a dare i propri frutti, e dal fatto che liberando anche esemplari femminili il numero di punture per chi risiede nell’area invece di diminuire, aumenta, almeno per un certo periodo. Sul piano dell’efficacia, però, entrambe le strategie sembrano promettenti. A Singapore, i risultati del Project Wolbachia parlano di una riduzione del 98% della popolazione di zanzare e dell’88% dell’incidenza di dengue nelle aree in cui sono stati liberati esemplari maschi infettati dal batterio. In Brasile, l’introduzione di esemplari infetti di ambo i sessi ha ridotto del 69% l’incidenza della dengue, del 56% quella del virus chikungunya e del 37% di zika.
Gene drive
Nonostante i risultati incoraggianti, anche nel caso del batterio Wolbachia è presto per dire se si tratti di una strategia in grado di cambiare concretamente le sorti della guerra contro le malattie trasmesse dalle zanzare. Al momento, infatti, l’efficacia è dimostrata unicamente nei confronti della dengue. E anche se studi come quello realizzato in Brasile lasciano immaginare che il batterio sia efficace anche nel prevenire altre pericolose infezioni virali, organizzare sperimentazioni per dimostrarlo sarà complicato e costoso, visto che si tratta di malattie con picchi epidemici più sporadici rispetto alla dengue. Non è tutto, perché non tutte le zanzare sono suscettibili al Wolbachia come la A. aegypti. Le zanzare Anopheles, ad esempio, presentano già in natura la loro versione del batterio. E trovare un ceppo di Wolbachia che si riveli sia capace di infettare le Anopheles vincendo la competizione con il ceppo naturale, sia di impedire l’infezione delle zanzare da parte di altri microorganismi o patogeni, è un obiettivo estremamente complesso. Allo stesso tempo, sono proprio Anopheles il principale pericolo dal punto di vista sanitario, perché sono il vettore della malaria, una malattia che oggi rappresenta il principale killer veicolato dalle zanzare, con oltre 400mila decessi ogni anno.
Una possibilità in fase di studio è quella di utilizzare una nuova strategia resa possibile (o quanto meno molto più efficace) dall’arrivo di Crispr-Cas 9 (il rivoluzionario sistema di editing genetico premiato con il Nobel lo scorso anno). Si chiama gene drive, e permette di velocizzare la diffusione di un carattere genetico all’interno di una popolazione, aumentando le probabilità che il gene in questione venga ereditato da ciascuna generazione. Con una tecnica del genere, sarebbe possibile far crollare il numero di femmine di zanzara presenti in natura in tempi rapidissimi, o renderle inadatte a trasmettere virus e parassiti alla nostra specie. Teoricamente, sarebbe possibile spazzare via dal pianeta intere specie di zanzare, ed eliminare così il problema alla radice. Ma è proprio questa potenza distruttiva a rappresentare il principale problema: in molti, anche all’interno della comunità scientifica, temono le possibili conseguenze inattese del gene drive.
Con una simile tecnologia, qualunque errore o effetto indesiderato verrebbe alla luce quando sarebbe probabilmente troppo tardi per porvi rimedio. Per questo motivo, è stata chiesta a più riprese una moratoria per l’utilizzo in natura del gene drive, sposata anche dal parlamento Europeo con una risoluzione del 16 gennaio 2020. Ed è probabile che ci vorranno anni (se non decenni) prima che queste tecnologia dimostrino incontrovertibilmente la loro sicurezza, e scendano quindi in campo realmente nella lotta contro le zanzare.
Fonte: Galileo