I problemi di gestione del territorio nell’Italia in fiamme
Articolo del 14 Agosto 2021
L’espansione naturale delle foreste italiane è una delle più elevate al mondo, però solo un quinto di esse è dotato di piani gestionali adeguati, così ogni anno ne bruciano oltre 100.000 ettari. Ma le strategie di prevenzione esistono, e non riguardano solo la caccia agli incendiari.
Calabria, agosto 2021: brucia anche il parco dell’Aspromonte
Le foreste italiane bruciano e intervenire sui grandi incendi boschivi è diventato sempre più difficile. Il fenomeno è complesso e in evoluzione, con radici profonde nel nostro modo di vivere il territorio. Non ci sono dubbi che la crisi climatica sia uno dei fattori alla base della propagazione dei grandi incendi che colpiscono l’Europa meridionale. I paesi più colpiti – Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia – si scontrano con strategie di adattamento e prevenzione inadeguate, quando non del tutto assenti. In Italia, dove più di un terzo del territorio nazionale è coperto da foreste, negli ultimi quattro decenni sono bruciati in media circa 105.000 ettari di aree boscate all’anno. All’inizio di agosto 2021 erano già 100.000 gli ettari percorsi dal fuoco.
Non è un fenomeno costante nel tempo. Gli incendi cambiano, i grandi eventi si fanno più frequenti e aumenta il rischio per la popolazione. Nonostante i fondi stanziati, ogni anno, per la lotta contro le fiamme, si è fatto ben poco per intervenire in maniera radicale sulla gestione di eventi del genere. I “nuovi” incendi obbligano ad adottare un approccio sistemico e a considerare le dinamiche della foresta alla stregua di un “iperoggetto”, vaste nello spazio e nel tempo, a tratti sfuggenti. Oggi, parlare di un rinnovato approccio agli incendi boschivi ci pone anche davanti a ragionamenti controintuitivi.
I boschi italiani si espandono
È difficile comprendere l’estensione delle foreste nello spazio, così come è complicato coglierne la dimensione temporale. Gli effetti di qualsiasi intervento si possono apprezzare dopo 20, 50 e a volte cent’anni. L’unico strumento per affrontare tutti questi aspetti è rappresentato da un’accurata pianificazione, data dalla buona conoscenza dei territori e da una gestione sinergica. Tuttavia, solo un quinto delle foreste italiane rientra in un piano gestionale che abbraccia una simile complessità. Nella gran parte dei casi, gli interventi si fanno senza una prospettiva di lungo periodo, spesso per risolvere le necessità del momento.
“Finora non si è fatto molto per la gestione di questi eventi. Ci sono due fenomeni che concorrono nel determinare incendi estremi come quelli che osserviamo oggi. Sono il cambiamento climatico e il cambiamento di uso del suolo. Ciò è dovuto soprattutto all’abbandono delle terre marginali, delle aree rurali, interne, come nelle nostre montagne. In Sardegna e in Sicilia questo è particolarmente evidente”, spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore in pianificazione e gestione forestale all’Università Statale di Milano. “L’estinzione e il controllo del fuoco sul territorio hanno limiti operativi legati alla sicurezza delle persone che intervengono. Oltre certe intensità di fuoco o velocità di avanzamento delle fiamme non è possibile fare nulla finché le fiamme non si placano. Di recente, in Sardegna gli operatori sono riusciti a intervenire efficacemente non appena è calato il vento. L’unica soluzione è agire d’anticipo, investendo nel dare al territorio e alla vegetazione una forma, una struttura adatta a un contenimento. È il modo in cui si propagano le fiamme che fa la differenza.”
Il futuro delle foreste italiane
In Italia, come ovunque, la stragrande maggioranza degli incendi che vengono registrati sono piccoli incendi. Le cause sono variabili, in gran parte ricondotte all’azione umana. “Comprendere le motivazioni, colpose o dolose che siano, è solo uno dei temi su cui lavorare, ma non è l’unico. Paradossalmente, a livello di spesa pubblica, è molto più efficace investire in gestione del territorio piuttosto che in enormi apparati di polizia”, specifica Vacchiano.
“Prendiamo il caso dell’incendio alla pineta dannunziana di Pescara. Si tratta di una pineta urbana che era già stata classificata come zona ad alto rischio. L’incendio che si è scatenato a partire da un canneto in prossimità della pineta è una delle dimostrazioni che non è possibile fare prevenzione solo con la sorveglianza. La gestione deve riguardare come minimo quelle aree chiamate ‘zone d’interfaccia’, ovvero i confini tra aree boschive e aree abitate o frequentate. L’Italia è tra i primi dieci paesi al mondo per velocità di espansione naturale delle foreste secondo il rapporto Forest Resource Assessment della FAO, pubblicato nel 2020.”
“In generale – prosegue il ricercatore – per l’ambiente è un dato positivo. Ma una abdicazione alla cura e alla responsabilità ha anche conseguenze negative. Questo incremento, non gestito, ha creato delle autostrade per il fuoco. In Italia abbiamo anche foreste vetuste, con grandi quantità di alberi antichi. Si tratta però di foreste naturalmente resistenti agli incendi. È molto difficile che si crei una siccità tale da rendere infiammabile questa particolare vegetazione. Uno dei provvedimenti della nuova strategia forestale europea è sottoporre a qualche forma di tutela il 30 per cento di ogni ecosistema, di cui un terzo (il dieci per cento del totale) dovrebbe adottare misure ancora più stringenti di salvaguardia, fino a costituire delle vere e proprie riserve. Tuttavia, ciò riguarda foreste che sono completamente diverse da quelle che bruciano.”
In questo momento la gestione delle foreste è in capo al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Il Ministero della transizione ecologica ha competenze relative alla conservazione della natura e alla mitigazione dei cambiamenti climatici. I due ministeri concorrono nella definizione delle politiche forestali. Una delle proposte che la Commissione europea ha pubblicato di recente riguarda l’introduzione, dal 2026, di target fissi per ogni paese per l’assorbimento di carbonio da parte delle foreste.
Andamento del contributo dei boschi italiani al ciclo globale del carbonio (Fonte: ISPRA, Annuario dei dati ambientali 2020)
I boschi italiani assorbono tra i 20 e i 30 milioni di tonnellate di CO2 all’anno (il cinque-dieci per cento di quanta ne viene emessa nel paese). Se la proposta dovesse passare, il Ministero della transizione ecologica dovrà fare in modo che l’Italia rientri in questi parametri prefissati. In una eventualità del genere, la necessità di pianificazione sarebbe ancora più urgente. Una soluzione potrebbe arrivare dalla riattivazione della filiera economica che riguarda le foreste nazionali. L’aspetto produttivo potrebbe essere inteso in sinergia con le questioni di utilità pubblica, anche per quanto riguarda la prevenzione degli incendi. “L’80 per cento del legno che si lavora in Italia proviene dall’estero e l’80 per cento di quello tagliato in Italia viene bruciato per produrre energia o calore. Riattivare una filiera potrebbe stimolare un insieme di politiche di investimento e di pianificazione”, commenta Vacchiano.
“Al momento, la produzione di energia elettrica a partire dal legno rappresenta una parte del tutto minoritaria del totale nazionale. Tuttavia ci sono alcune situazioni in cui queste grandi centrali producono energia in totale contrasto con il concetto di sostenibilità. La necessità di legna da bruciare non viene soddisfatta dalle foreste limitrofe e, in una condizione di anarchia gestionale, possiamo assistere anche all’inflitrazione della criminalità, che si occupa del rifornimento tramite tagli illegali.”
Uso del suolo e prevenzione
Spesso l’informazione, anche nel caso degli incendi, si basa su opinioni ricorrenti. Una di queste riguarda l’abbandono di agricoltura e pastorizia e conseguente espansione delle foreste come una delle cause principali dei grandi incendi. Uno studio italiano – appena pubblicato sugli “Annals of Silvicultural Research” – ha voluto verificare l’effettiva esistenza di questa dinamica, raccontata da centinaia di testimonianze aneddotiche. I ricercatori si sono serviti dell’Inventario dell’uso delle terre d’Italia: un milione e 200.000 punti che vengono periodicamente fotointerpretati.
Lo studio dimostra che le aree bruciate da grandi incendi (e ancor di più quelle dove il fuoco si è presentato più volte) sono effettivamente quelle che hanno fatto registrare una maggiore espansione delle foreste. Inoltre, i ricercatori hanno analizzato il perimetro degli incendi superiori ai 500 ettari e hanno visto che le aree dove il fuoco si era fermato erano zone dove si era mantenuto un uso agricolo, e che quindi hanno fatto da barriera naturale all’espansione delle fiamme.
Le barriere tagliafuoco sono strisce di terreno appositamente spogliate di vegetazione che frazionano le superfici boscate per facilitare lo spegnimento di incendi
“Questa correlazione ci porta a dare supporto a tutte quelle opinioni che sostengono che le trasformazioni del nostro territorio degli ultimi quaranta-cinquant’anni siano parte dei fattori che determinano i grandi incendi a cui assistiamo oggi”, spiega Davide Ascoli, ricercatore in pianificazione forestale all’Università di Torino e uno degli autori dello studio. “Abbiamo anche analizzato cos’era successo negli ultimi trent’anni nelle zone dove i grandi incendi si erano fermati e abbiamo visto che effettivamente non solo c’era stato un minore abbandono – agricoltura e pastorizia erano ancora presenti – ma erano addirittura aumentati vigneti e frutteti. Le politiche agricole lungimiranti possono fare la differenza nel governo degli incendi. L’agricoltura può anche essere uno strumento di prevenzione, per ‘tagliare’ le traiettorie del fuoco. Quando pianifichiamo il territorio non lo dobbiamo guardare solo dalla prospettiva della gestione forestale. Deve esserci una pianificazione integrata. Il programma di sviluppo rurale europeo ci permette di sviluppare piani coordinati. Quello che noi proponiamo con i risultati di questo studio è che si possono fare politiche integrate anche per la prevenzione incendi.”
In futuro, si spera, le informazioni necessarie alla previsione del rischio d’incendio verranno acquisite dai piani urbanistici e paesaggistici. “Spesso le informazioni vengono ignorate. Se si considerasse sempre il fatto che è pericoloso espandere aree urbane in zone a rischio d’incendio, avremmo già fatto un grande passo avanti”, conclude Ascoli.
Da qualche anno assistiamo a un fenomeno ricorrente. A maggio divampano i primi incendi, nel bel mezzo dell’estate se ne parla in maniera diffusa e con toni apocalittici, alla fine di settembre ce ne dimentichiamo. Negli ultimi due decenni, in Europa, centinaia di persone hanno perso la vita tra le fiamme divampate nei boschi. In un regime di crisi climatica non possiamo più permetterci un simile fatalismo; i grandi incendi sono diventati una certezza.