Il segreto epigenetico di dipendenze e depressione

Articolo del 01 Dicembre 2020

I neurotrasmettitori dopamina e serotonina non si limitano a trasmettere segnali tra i neuroni, ma esercitano un controllo sull’espressione di alcuni geni che influenzano i comportamenti legati alle dipendenze e al tono dell’umore. La scoperta modifica radicalmente le attuali concezioni su questi problemi e sul modo in cui possono essere affrontati.

Una sera, a casa mia, mentre aprivo una copia di “Science”, il mio sguardo è stato attirato da una parola che non conoscevo nel titolo di un nuovo studio: dopaminilazione. Il termine si riferisce alla capacità di un neurotrasmettitore, la dopamina, di entrare nel nucleo delle cellule per controllare l’espressione di specifici geni, capacità che si affianca alla sua normale funzione di trasmettere segnali tra le sinapsi.

Leggendo quell’articolo mi sono reso conto che ribaltava completamente la nostra comprensione della genetica e della tossicodipendenza. L’intenso desiderio delle sostanze che provocano dipendenza, come l’alcool e la cocaina, potrebbe dipendere dal controllo della dopamina sull’espressione di geni che alterano i circuiti cerebrali alla base della dipendenza. Curiosamente, i risultati suggeriscono anche una risposta al perché i farmaci per la cura delle forme gravi di depressione di solito vanno assunti per settimane prima di avere effetto.

Questa notevole scoperta mi ha colpito, ma per capirla davvero dovevo prima disimparare un po’ di cose. “Metà di quello che avete imparato a scuola è sbagliato”, diceva il mio professore di biologia, David Lange. “Il problema è che non sappiamo quale metà”. Quanto aveva ragione!

L’ereditarietà di tratti acquisiti
Mi avevano insegnato a schernire Jean-Baptiste Lamarck e la sua teoria secondo cui era possibile trasmettere alla generazione successiva i tratti acquisiti nel corso della vita. Il ridicolo esempio tradizionale è quello di mamma giraffa che allunga il collo per nutrirsi delle foglie degli alberi più alti e che avrebbe dato origine a piccole giraffe con colli particolarmente lunghi. Poi i biologi hanno scoperto che possiamo davvero ereditare alcuni tratti che i nostri genitori hanno acquisito nel corso della vita, senza alcun cambiamento nella sequenza di DNA dei nostri geni.

Succede grazie a un processo chiamato epigenetica, una forma di espressione genica che si può ereditare, anche se in realtà non fa parte del patrimonio genetico. Ed è proprio qui, come si è scoperto, che entrano in gioco le sostanze chimiche usate dal cervello, come la dopamina.

Tutte le informazioni genetiche sono codificate nella sequenza di DNA dei nostri geni, e i tratti si trasmettono alle generazioni successive nello scambio casuale di geni tra ovulo e spermatozoo che dà origine a una nuova vita. Istruzioni e informazioni genetiche sono codificate in una sequenza di quattro diverse molecole (i nucleotidi, abbreviati A, T, G e C) sul lungo filamento di DNA a doppia elica. Il codice lineare è piuttosto lungo (circa due metri per ogni cellula umana), perciò è arrotolato in modo ordinato su rocchetti proteici, un po’ come nelle audiocassette il nastro magnetico è avvolto sulle bobine.

I geni ereditati sono attivati o inattivati per costruire un individuo unico a partire da un ovulo fertilizzato, ma nel corso della vita le cellule accendono e spengono in continuazione specifici geni per sintetizzare le proteine di cui hanno bisogno per funzionare. Quando un gene è attivato, speciali proteine si attaccano al DNA, ne leggono la sequenza di lettere e ne creano una copia temporanea con l’RNA messaggero. Quest’ultimo trasporta le istruzioni genetiche ai ribosomi, che decifrano il codice e sintetizzano la proteina specificata.

Però niente di tutto questo può succedere senza accesso al DNA. Per analogia, se il nastro magnetico resta avvolto strettamente sulle bobine, non si possono leggere le informazioni che ci sono nell’audiocassetta. L’epigenetica consiste nello svolgere o meno il filamento di DNA e in questo modo determinare quali istruzioni vengono eseguite. Nell’ereditarietà epigenetica non si modifica il codice del DNA bensì la possibilità di accedere a esso.

È per questo che le cellule del nostro corpo possono essere così diverse anche se tutte hanno lo stesso identico DNA. Se il DNA non viene svolto dai vari rocchetti (composti da proteine chiamate istoni), i macchinari della cellula non sono in grado di leggere il codice nascosto. Così, per esempio, nelle cellule che diventano neuroni restano spenti i geni che servirebbero a formare i globuli rossi.

Come fanno le cellule a sapere quali geni leggere? L’istone su cui è avvolto il DNA di un determinato gene è marcato con una determinata etichetta chimica, una sorta di Post-it molecolare. Questo marcatore indica ad altre proteine di “srotolare il nastro” e di svolgere da quell’istone il DNA in questione (o di non srotolarlo, a seconda dell’etichetta usata).

|Per esprimere i geni il cromosoma viene srotolato per esporre gli istoni (sfere blu) intorno ai quali è avvolto il DNA, che viene poi ulteriormente dipanato per rivelare la doppia elica e dare inizio al processo di produzione delle proteine grazie all’RNA messaggero (© Science Photo Library/AGF)

Il ruolo inaspettato della dopamina
È un processo affascinante sul quale stiamo ancora scoprendo tante cose, ma non ci saremmo mai aspettati che al suo interno potesse avere un ruolo una sostanza chimica usata nel cervello, a prima vista del tutto estranea.

I neurotrasmettitori sono molecole specializzate che trasmettono segnali da un neurone all’altro. Questi segnali chimici tra neuroni sono ciò che ci permette di pensare, di imparare, di avere umori diversi e, quando ci sono problemi nella segnalazione, di soffrire di problemi cognitivi o di malattie mentali.

La serotonina e la dopamina sono due esempi famosi. Appartengono entrambe alla classe delle monoammine, neurotrasmettitori coinvolti in malattie psichiche come la depressione, i disturbi d’ansia e le dipendenze. La serotonina contribuisce a regolare l’umore; alcuni medicinali chiamati inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina sono ampiamente prescritti ed efficaci nella cura della depressione cronica. Si pensa che funzionino facendo aumentare nel cervello il livello di serotonina, che favorisce la comunicazione tra i neuroni dei circuiti che controllano l’umore, la motivazione, l’ansia e la ricompensa. Tutto ciò ha certamente senso, però è strano che di solito ci voglia un mese o più prima che il medicinale abbia effetto nell’alleviare la depressione.

|Micrografia a contrasto di interferenza differenziale (DIC) di un sottile film cristallino di dopamina (© Karl Gaff/AGF)

La dopamina, invece, è il neurotrasmettitore che fa funzionare i circuiti del cervello legati alla ricompensa; produce quello sprazzo di euforia che ci prende quando vinciamo a tombola. Quasi tutte le droghe che danno dipendenza, come la cocaina e l’alcool, aumentano i livelli di dopamina, ed è questa ricompensa di dopamina chimicamente indotta che porta a desiderarle sempre di più. Un indebolimento del circuito della ricompensa potrebbe anche essere una delle cause della depressione, il che aiuterebbe a spiegare perché gli individui affetti da depressione possano cercare di curarsi da soli con droghe illegali che aumentano la dopamina.

… e della serotonina
Però (come ho scoperto dopo aver letto quell’articolo sulla dopaminilazione), una ricerca condotta lo scorso anno da Ian Maze, esperto di neuroscienze della Icahn School of Medicine at Mount Sinai, ha dimostrato che la serotonina ha anche un’altra funzione: si può usare come una sorta di Post-it molecolare. In particolare può legarsi a un tipo di istone chiamato H3, che controlla i geni che trasformano le cellule staminali umane (i precursori di tutti i tipi di cellule) in neuroni serotoninergici.

Quando la serotonina si lega all’istone, svolge il DNA accendendo i geni che dettano lo sviluppo di una cellula staminale in un neurone serotoninergico, e allo stesso tempo spegne gli altri geni tenendo ben avvolto il resto del DNA. (In questo modo, le cellule staminali che non incontrano la serotonina diventano altri tipi di cellule, dato che non si attiva il programma genetico che le trasformerebbe in neuroni.)

Questa scoperta ha spinto il gruppo di ricerca di Maze a chiedersi se la dopamina potesse agire in modo simile, regolando i geni coinvolti nella tossicodipendenza e nelle crisi di astinenza. Nell’articolo pubblicato su “Science” di aprile che mi ha tanto sorpreso, i ricercatori hanno dimostrato che lo stesso enzima che permette alla serotonina di legarsi all’istone H3 può anche catalizzare il legame tra l’istone H3 e la dopamina; e questo processo, come ho scoperto, si chiama dopaminilazione.

Presi insieme, questi risultati rappresentano un cambiamento enorme nella nostra conoscenza di queste sostanze chimiche. Legandosi all’istone H3, la serotonina e la dopamina possono regolare la trascrizione del DNA in RNA e, di conseguenza, la sintesi di specifiche proteine. Così questi “soggetti” ben noti della neuroscienza diventano agenti che fanno il doppio gioco: apertamente sono neurotrasmettitori, ma clandestinamente dirigono anche l’attività epigenetica.

Ovviamente i ricercatori guidati da Maze hanno iniziato ad approfondire questo rapporto. Per prima cosa hanno esaminato, dopo il decesso, il tessuto cerebrale di soggetti che facevano uso di cocaina, riscontrandovi una diminuzione nei livelli di dopaminilazione dell’istone H3 nei neuroni dopaminergici situati in un’area cerebrale nota per la sua importanza nelle dipendenze: l’area tegmentale ventrale, o VTA (dall’inglese ventral tegmental area).

Ma quella era solo una correlazione curiosa. Per capire se l’uso di cocaina avesse davvero un effetto sulla dopaminilazione dell’istone H3 in quei neuroni, i ricercatori hanno studiato alcuni ratti prima e dopo l’autosomministrazione di cocaina per 10 giorni. Come nei cervelli dei soggetti umani che avevano fatto uso di cocaina, anche nei neuroni della VTA dei ratti il livello di dopaminilazione dell’istone H3 è crollato.

Nei ratti i ricercatori hanno anche riscontrato un recupero un mese dopo aver sospeso la somministrazione di cocaina, con livelli di dopaminilazione degli istoni H3 molto più alti rispetto agli animali del gruppo di controllo. Questo aumento può essere importante nel controllare quali geni vengano accesi o spenti, rimodellando i circuiti della ricompensa nel cervello e causando un desiderio intenso della droga nei periodi di astinenza.

Riflessi sulla cura di dipendenza e depressione
In fin dei conti sembra che possa essere la dopaminilazione (e non solo il funzionamento normale della dopamina nel cervello) a controllare il comportamento di ricerca della droga. L’uso di cocaina a lungo termine modifica i circuiti neurali del cervello legati alla ricompensa e rende necessaria un’assunzione regolare della sostanza per mantenere la normale operatività di quei circuiti. A questo scopo è necessario accendere e spegnere specifici geni per sintetizzare le proteine necessarie, e questo è un meccanismo epigenetico attivato dall’azione della dopamina sugli istoni H3, non un cambiamento nella sequenza del DNA.

Per mettere alla prova questa ipotesi, i ricercatori hanno usato ratti in cui gli istoni H3 erano stati geneticamente modificati in modo che l’amminoacido a cui si lega la dopamina fosse sostituito da un altro amminoacido con cui la dopamina non reagisce. In questo modo si impedisce la dopaminilazione.

L’astinenza da cocaina è associata a cambiamenti nella lettura di centinaia di geni coinvolti nella riprogrammazione dei circuiti neurali e nell’alterazione delle connessioni sinaptiche, ma nei ratti in cui era stata impedita la dopaminilazione questi cambiamenti erano assenti. Inoltre era ridotta la trasmissione degli impulsi elettrici nei neuroni della VTA, come pure il rilascio di dopamina da parte dei neuroni, il che dimostra che i cambiamenti genetici avevano davvero un effetto sul funzionamento dei circuiti della ricompensa nel cervello. Questo potrebbe spiegare perché, nella fase di astinenza, le persone con disturbi da uso di sostanze bramano droghe che aumentano i livelli di dopamina nel cervello. Infine, nei test successivi, i ratti geneticamente modificati cercavano molto meno la cocaina.

Per dirlo senza giri di parole, la scoperta che le monoammine controllano la regolazione epigenetica dei geni è una cosa rivoluzionaria per la scienza e la medicina di base. Questi esperimenti mostrano che la presenza della dopamina come etichetta sugli istoni H3 è effettivamente alla base del comportamento di ricerca della droga, poiché essa regola i circuiti neurali che si attivano nella dipendenza.

Inoltre è altrettanto interessante notare che probabilmente le implicazioni di questa scoperta vanno ben al di là delle dipendenze, dato il ruolo cruciale dei segnali della dopamina e della serotonina in altro disturbi neurologici e psicologici. In effetti Maze mi ha raccontato che gli ultimi studi del suo gruppo di ricerca (non ancora pubblicati) hanno trovato questo tipo di marcatore epigenetico anche nel tessuto cerebrale di persone affette da gravi forme di depressione.

Forse questo collegamento spiega anche perché gli antidepressivi ci mettano così tanto tempo prima di avere effetto: se il funzionamento del farmaco si basa sull’attivazione di questo processo epigenetico, invece che sull’apporto della serotonina mancante nel cervello, ci possono volere giorni o anche settimane prima che questi cambiamenti genetici diventino evidenti.

Guardando al futuro, Maze si chiede se questo tipo di alterazioni epigenetiche si verifichi anche in risposta ad altre sostanze che danno dipendenza, come l’eroina, l’alcool e la nicotina. Se così fosse, medicinali basati su questi processi epigenetici appena scoperti potrebbero portare in futuro a cure migliori per molti tipi di dipendenze e di malattie mentali.

In un commento pubblicato a corredo della ricerca, Jean-Antoine Girault dell’Università della Sorbona a Parigi ha fatto un’ultima considerazione interessante. Sappiamo che di solito la generazione di impulsi nervosi si basa su cambiamenti dinamici nella concentrazione di calcio all’interno dei neuroni, cambiamenti che si propagano a catena fino a raggiungere il nucleo.

Girault nota però che anche l’enzima che catalizza il legame tra la dopamina e l’istone H3 è regolato dai livelli di calcio all’interno della cellula. In questo modo la “conversazione” elettrica tra i neuroni è trasmessa al nucleo, e ciò suggerisce che l’attività neurale (dovuta a un comportamento) potrebbe apporre il marcatore epigenetico della dopamina sui geni responsabili del comportamento di ricerca della droga. È così che le esperienze che facciamo nel corso della vita possono selezionare quali geni vengano letti e quali no. Lamarck ne sarebbe orgoglioso.

 

Fonte: MIND Mente e cervello

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