Invecchiamento e non autosufficienza, come affrontare la vera sfida del prossimo futuro?

Articolo del 22 Gennaio 2019

È possibile definire come non autosufficienti tutte quelle persone che, a causa di malattie croniche, dell’età o di altre limitazioni psico-fisiche, necessitano di assistenza in modo continuato. In ogni caso, punto centrale della questione è l’incapacità di svolgere autonomamente alcune delle più elementari azioni quotidiane (ad esempio, camminare, vestirsi) indipendentemente dalla causa scatenante, che può essere tanto un evento infortunante o una malattia quanto una condizione strettamente legata all’anzianità del singolo soggetto.

Non necessariamente quindi, la condizione di non autosufficienza è legata all’età, ma è comunque indubbio che il progressivo invecchiamento della popolazione rende il tema di estrema attualità, ancor di più nel caso dell’Italia, che con una speranza di vita a 65 anni (nel 2016) a 19,1 anni per gli uomini e le 22,4 per le donne ci colloca tra i Paesi più longevi al mondo. Vivere di più non significa però necessariamente vivere meglio: circa un anziano su due soffre almeno di una malattia grave o è multi-cronico. Numeri che lasciano facilmente intuire anche i possibili impatti socio-economici della non autosufficienza: nell’arco dei prossimi trent’anni la spesa pubblica per non autosufficienza potrebbe pesare almeno il 3%, mentre già grava sui bilanci familiari per almeno 9,2 miliardi di euro.

Il fine di tutti gli interventi sanitari e socio-assistenziali non è normalmente la guarigione, spesso impossibile, bensì il mantenimento della migliore condizione possibile di salute e di benessere psico-fisico del paziente, considerandone dunque bisogni globali e contesto di riferimento. In quest’ottica, al momento, lo Stato italiano interviene a sostegno delle persone non autosufficienti con diverse tipologie e livelli di sostegno che, di fatto, coinvolgono tanto le amministrazioni centrali quanto gli Enti locali. In particolare, si ricordano:

  • l’indennità di accompagnamento, prestazione economica erogata dall’INPS ai soggetti invalidi o mutilati, cui sia stata riconosciuta una condizione di non autosufficienza e, in particolare, di cui sia stata accertata l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore e/o l’incapacità di compiere i principali atti di vita quotidiana autonomamente, in assenza di assistenza continua;
  • l’assistenza socio-sanitaria, delegata alle Regioni, che prevede l’assistenza residenziale agli anziani e ai disabili, l’assistenza non-residenziale (strutture semi-residenziali e assistenza domiciliare) e l’assistenza rivolta ai soggetti affetti da dipendenze (alcolisti e tossicodipendenti) o patologie psichiatriche. In questo caso, dunque, la prestazione consiste nell’erogazione di servizi per il tramite del SSN, indipendente dall’età e dal reddito. I criteri di valutazione dello stato di non autosufficienza per accedere alle diverse prestazioni possono tuttavia differire a livello regionale;
  • le prestazioni socio-assistenziali erogate dagli enti locali territoriali, in prevalenza Comuni, e soggette alla prova dei mezzi.

Una menzione particolare spetta invece alla legge 104/92 che, nell’ottica di favorire l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, istituisce una particolare tipologia di permessi retribuiti che il dipendente che si trovi nella condizione di caregiver può richiedere al proprio datore di lavoro. Più precisamente, la persona che richiede o per la quale si richiede questo tipo di permesse deve trovarsi in una condizione di disabilità particolarmente grave; possono pertanto farne richiesta:

  • disabili in situazione di gravità;
  • genitori, anche adottivi o affidatari, di figli disabili in situazione di gravità;
  • coniuge, parte dell’unione civile, convivente di fatto, parenti o affini entro il secondo grado di familiari disabili in situazione di gravità.

Possono farne poi in ogni caso richiesta solo i lavoratori dipendenti, mentre non ne hanno diritto lavoratori domestici o a domicilio, lavoratori agricoli a tempo determinato autonomi e parasubordinati. In tutti i casi, la condizione invalidante o di non autosufficienza deve essere riconosciuta a mezzo di appositi accertamenti sanitari. Tali permessi si traducono, per il lavoratore disabile, in tre giorni riposo al mese, anche frazionabili in ore o, in alternativa, in riposi orari giornalieri di una o due ore. Nel caso dei caregiver, occorre invece distinguere sulla base dell’età dell’assistito; a ogni modo, nel caso di genitori, coniuge, parte dell’unione civile, convivente di fatto, parenti e affini della persona in situazione di gravità, spettano tre giorni di permesso mensile, anche frazionabili in ore.

Tra gli interventi dello Stato a favore della non autosufficienza, occorre poi necessariamente citare anche il Fondo nazionale per la non autosufficienza istituito con la legge 296/2006, con l’obiettivo di fornire sostegno ad anziani non autosufficienti e persone affette da condizioni invalidanti particolarmente gravi. A tal fine, il Fondo eroga dunque risorse aggiuntive rispetto a quelle già destinati alla copertura dei costi delle prestazioni economiche, sanitarie e socio-assistenziali erogate per il tramite di INPS, SSN, Regioni ed enti locali, risorse indirizzate per garantire su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali e, nello specifico, per favorire – dove possibile – una dignitosa permanenza del soggetto non autosufficiente presso il proprio domicilio o, comunque, interventi innovativi in materia di vita indipendente, così da evitare l’istituzionalizzazione.

Se, da un lato lo Stato ha evidenti difficoltà nell’incrementare la propria spesa dedicata al welfare, dall’altro anche il welfare familiare si rivela sempre più debole nell’affrontare la sfida della non autosufficienza per varie ragioni: atomizzazione delle famiglie, difficoltà nel conciliare vita privata e lavoro, riduzione delle realtà abitative nei maggiori centri urbani.

Di qui, l’importanza innanzitutto di un nuovo approccio culturale, che metta al centro del sistema non solo la “malattia”, quanto piuttosto la persona e il suo progetto di cura e di vita nel complesso, tenendo cioè conto tanto dell’aspetto clinico quanto del contesto economico, ambientale e familiare in cui si colloca il paziente non autosufficiente.  E, in seconda battuta, anche di un approccio multidimensionale e integrato, che metta cioè a fattor comune l’attività e l’esperienza di tutti i soggetti coinvolti (servizi sanitari e sociali, professionisti coinvolti nella pianificazione e dell’erogazione dell’assistenza, etc) affinché sia appunto possibile pervenire alla costruzione di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali personalizzati e dinamici, in una logica di accompagnamento e non solo di cura.

D’altra parte, per ridurre costi e impatti della non autosufficienza per i nuclei familiari (ma anche per il primo pilastro) ancor più fondamentali si rivelano in quest’ambito le possibili sinergie tra pubblico e privato. In quest’ottica, in particolare, mutualità e assicurazioni possono senza dubbio contribuire a ripartire rischi e bisogni correlati alla non autosufficienza, a vantaggio del singolo ma anche della collettività. Quali gli strumenti percorribili?

Non ancora particolarmente diffuse, pur a fronte di un aumento del rischio di non autosufficienza, sono le cosiddette polizze assicurative Long Term Care (LTC), che proteggono dal rischio temporaneo o definitivo di perdita di autosufficienza, intesa per l’appunto come perdita della capacità di svolgere le più semplici attività di vita quotidiana, non necessariamente dovuta a malattia o infortunio, ma imputabile anche a senescenza.

In particolare, le azioni elementari utili anche ai fini della stipula del contratto sono normalmente individuate secondo il metodo Activities of Day Living (ADL) sono:

  • lavarsi
  • vestirsi e spogliarsi
  • utilizzare i servizi
  • muoversi, spostarsi dal letto alla poltrona e viceversa
  • alimentarsi
  • capacità di controllo della continenza

La misura minima delle ADL mancanti per la definizione di non autosufficienza può in ogni caso variare da contratto a contratto, anche nel caso di assicurazioni collettive.

Semplificando, le coperture più diffuse possono essere di due diverse tipi. Nel primo caso, probabilmente quello più noto, si segue il cosiddetto modello “ad accumulo”, che consente appunto di accumulare risparmi in un fondo speciale: al presentarsi della condizione di non autosufficienza, all’assicurato viene quindi garantita l’erogazione del capitale o una tantum o nella forma di rendita vitalizia, resa per tutto il tempo in cui l’assicurato resta nella condizione di non autosufficienza e di entità commisurata a quanto accumulato fino a quel momento. Proprio per questo, la rendita viene attivata solo dopo che la compagnia di assicurazione ha avuto modo di accertare lo stato di non autosufficienza dell’assicurato e perdura a suo beneficio al permanere della condizione di non autonomia, anche vita natural durante quando necessario. Nel secondo caso, che segue invece il cosiddetto modello “a ripartizione”, la sottoscrizione della polizza implica che, una volta accertata la non autosufficienza, sia la compagnia a farsi carico delle eventuali spese socio-assistenziali – fino al massimale prestabilito – per tutto il perdurare della condizione. In un certo senso, si può dunque affermare che in questo caso la polizza non eroga rendite ma servizi, i cui fornitori sono tendenzialmente individuati dalla parte assicuratrice stessa. Meno frequente è il rimborso diretto (totale o parziale) delle spese sanitarie e assistenziali o del costo per l’assistenza, sempre e comunque nei limiti del massimale assicurato.

La sottoscrizione di polizze LTC è comunque fiscalmente agevolata. In particolare il Decreto del Ministero delle Finanze del 22 dicembre 2000 estende anche alla Long Term Care la detrazione d’imposta del 19% sui premi versati, fino a un massimo di 1.291 euro l’anno (somma che fa comunque vita con quella delle altre assicurazioni detraibili). Non necessariamente, la copertura LTC viene però fornita in via autonoma: può essere ad esempio associata ad altre coperture assicurative o a forme di previdenza complementare e di assistenza sanitaria integrativa. In questo caso, la normativa prevede tuttavia che la normativa specifica di riferimento sia quella di ciascuna forma previdenziale o assicurativa: in questo caso cioè i contributi versati a un fondo pensione o a un fondo sanitario a fronte di una copertura assicurativa LTC beneficeranno del più favorevole regime di deducibilità dal reddito complessivo o di esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente secondo gli ordinari plafond annuali della previdenza complementare e dell’assistenza sanitaria integrativa, pari rispettivamente a 5.164,27 euro e 3.615,20 euro.

Nel dibattito su cronicità e non autosufficienza, assume infine in questo periodo un ruolo di primo piano anche la cosiddetta tecnoassistenza, intesa come l’insieme degli interventi sanitari e assistenziali resi possibili dall’impiego delle nuove tecnologie.  Nelle sue diverse componenti (domotica, telemedicina, etc) l’evoluzione tecnologica si presenta infatti come un elemento strategico per migliorare l’adeguatezza delle risposte alle necessità dell’assistito, incrementando le possibilità di permanenza a domicilio, migliorando l’equità nell’accesso delle cure sia in termine di tempo che di tipologie di intervento e, infine, favorendo sul medio-lungo periodo il contenimento della spesa (elevati, viceversa, i necessari investimenti iniziali). Non solo, favorendo la preservazione (e, quando possibile, persino l’incremento) dei livelli di autonomia dell’assistito, l’impiego della tecnoassistenza si traduce generalmente in un maggiore soddisfazione sia dell’assistito sia dei caregiver.

Fonte: pensionielavoro.it

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