La copertura sanitaria universale alla prova di Covid-19.
Articolo del 21 Novembre 2020
L’Unità di Crisi regionale comunica di avere inviato ieri via pec “a tutte le farmacie” le credenziali per l’accesso al sistema regionale che raccoglie i dati sull’esecuzione dei test antigenici rapidi e i test sierologici. “Entro oggi tutte riceveranno il link per la registrazione dei flussi e un breve manuale operativo”. Ed “entro domani le farmacie saranno tutte operative”.
“Sono state inviate nella giornata di ieri via pec le credenziali a tutte le Farmacie per l’esecuzione dei test antigenici rapidi e i test sierologici. Entro oggi tutte riceveranno il link per la registrazione dei flussi e un breve manuale operativo”. Lo comunica l’Unità di Crisi COVID-19 della Regione Lazio. “La registrazione dei flussi è un elemento indispensabile per le notifiche e il monitoraggio alle ASL”, evidenzia l’Unità di crisi che assicura che “entro domani le farmacie saranno tutte operative”.
Test rapidi in farmacia. Ecco come funzionerà il servizio
A quali test potranno sottoporsi i cittadini in farmacia? Come potranno richiederlo? E quanto costerà? Chi eseguirà il test? E come? Le risposte a queste domande sono contenute nell’accordo siglato tra la Regione Lazio e i rappresentanti delle farmacie il 6 novembre scorso.
I test a cui si far riferimento sono il test sierologico mirato a rilevare la presenza di anticorpi IgG e IgM (che consente di valutare se l’individuo è entrato in contatto o meno col virus, ndr) e il tampone antigenico rapido per la rilevazione di antigene SARS –CoV-19 (che valuta direttamente la presenza del virus nel campione clinico. A differenza dei test molecolari, però, i test antigenici rilevano la presenza del virus non tramite il suo acido nucleico ma tramite le sue proteine, antigeni, ndr). L’approvvigionamento dei test sierologici /antigenici rapidi avverrà da parte delle Farmacie convenzionate tramite una o più aziende produttrici. I test dovranno ovviamente rispondere alle norme e alle caratteristiche tecniche previste dalle istituzioni sanitarie nazionali.
L’esecuzione dei test, che i cittadini pagheranno di tasca loro, non potrà superare i prezzi di riferimento individuati nell’accordo. In particolare il test sierologico non potrà costare al cittadino più di 20 euro, cifra comprensiva di tutto il materiale di consumo idoneo per l’esecuzione del test. Per il test antigenico il prezzo massimo stabilito è di 22 euro.
Come si accede al test
L’esecuzione del test sierologico in farmacia avverrà su appuntamento richiesto alle farmacie da parte dei cittadini. Dovranno essere rispettate tutte le norme previste per prevenire la diffusione del virus.
I requisiti per le farmacie
Nel detttaglio, l’esecuzione dovrà essere svolta all’interno della farmacia se è presente la possibilità di avere uno spazio dedicato separato da quelli destinati all’accoglienza dell’utenza e alla vendita, possibilmente munito di percorsi dedicati in via esclusiva all’ingresso e all’uscita dei pazienti che intendono effettuare il test, opportunamente arieggiato in modo tale da garantire un costante ricircolo dell’aria, eventualmente anche mediante l’uso di apposito impianto di areazione.
Se la farmacia è sprovvista di un ambiente dedicato potrà effettuare il tampone durante l’orario di chiusura della stessa.
In alternativa, in ambiente esterno e adiacente alla farmacia, anche su suolo pubblico, (esempio gazebo, camper ecc.), con modalità di esecuzione che garantiscano gli indispensabili parametri di sicurezza per l’utenza, per il personale sanitario dedicato all’esecuzione del test e per il personale della farmacia, anche valutando l’opportunità di installare barriere in plexiglass opportunamente adattate (anche con fori/feritoie) che garantiscano la separazione fisica tra il personale incaricato dell’esecuzione del test e l’utente che intende sottoporsi al test.
La farmacia potrà anche organizzare il servizio domiciliare per l’effettuazione del test sierologico e del tampone antigenico rapido.
Le misure individuali di sicurezza
Il cliente che si reca infarmacia per sottoporsi allo screening rapido per il covid deve indossare una mascherina chirurgica o FFP2/KN95.
Viene effettuata la misurazione della temperatura corporea. Nel caso la temperatura risultasse superiore 37,5°, non sarà possibile consentire all’utente l’accesso ai locali della farmacia raccomandandogli di tornare al proprio domicilio e di chiamare subito il proprio MMG o PLS.
In tutti gli altri casi il farmacista invita l’utente a sanificare le mani fornisce allo stesso il modulo relativo al trattamento dei dati personali, accertandosi che sia compilato in ogni suo campo e debitamente firmato. Inoltre, chiede il codice fiscale e documento d ́identità dell’utente, al fine di procedere all’inserimento dei dati personali nella apposita piattaforma informatica.
Il farmacista o altro operatore sanitario che presenzia all’esecuzione del test sierologico da parte del cittadino, onde verificarne la correttezza, indossa preferibilmente una mascherina chirurgica o FFP2/KN95, guanti, camice chiuso o camice usa e getta e una protezione per gli occhi.
Chi esegue i test
E ora passiamo alla parte pratica. Per l’esecuzione dei test l’accordo prevede che il cittadino esegua il test sierologico da solo, seguendo le istruzioni indicate dal farmacista o altro operatore sanitario (il test sierologico per il covid funziona in maniera simile al glucometro per il diabete, cioè attraverso la fuoriuscita di una goccia di sangue da un buchino effettuato su un dito con un pungidito. Il sangue, fatto cadere in un apposito punto del dispositivo, interagisce con il contenuto interno al dispositivo e restituisce il risultato, ndr).
Per l’esecuzione del tampone antigenico rapido, invece, le farmacie potranno avvalersi del supporto di personale sanitario. L’operatore sanitario individuato dalla farmacia indosserà DPI adeguati (mascherina FFP2/KN95, guanti, camice chiuso o camice usa e getta e una protezione per gli occhi).
Risultati e dati
Una volta completato il test, il referto verrà consegnato al cliente fuori dai locali della farmacia ovvero, su sua richiesta, trasmessogli sulla casella personale di posta elettronica specificamente indicata. In caso di esito positivo, con il risultato del test saranno fornite le indicazioni da seguire.
Nel frattempo il farmacista inserirà i dati dell’utente e il risultato nel modulo predisposto dalla regione a cui le farmacie accederanno tramite credenziali fornite dalla regione Lazio.
Il risultato all’utente è comunicato nel rispetto della normativa sulla privacy.
In caso di POSITIVITÀ al test sierologico l’utente deve essere sottoposto a tampone molecolare di conferma, e, pertanto inviato al drive- in con ricetta DEMA del MMG/PLS.
In caso di POSITIVITÀ al test antigenico rapido l’utente deve essere sottoposto a tampone molecolare di conferma, e, pertanto inviato al drive-in con ricetta DEMA del MMG/PLS
Il farmacista dovrà comunicare tempestivamente al Servizio Igiene e Sanità Pubblica (SISP) della ASL competente, gli esiti positivi per quanto di competenza.
La farmacia produrrà su modulistica predefinita dalla Regione stampa dell’esito del test rapido, anche se negativo, da consegnare o trasmettere all’assistito.
Il farmacista è tenuto a conferire all’utente le stesse informazioni definite dalla Regione Lazio e non è autorizzato a dare ulteriori istruzioni.
L’analisi condotta con lo studio Global Burden of Disease 2019 (GBD) sulla copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage, UHT) offre un’utile risorsa per comprendere l’eterogeneità delle sfide sanitarie che deve affrontare la popolazione globale in questo 21° secolo, soprattutto nella attuale situazione di crisi sanitaria rappresentata da Covid-19, un implacabile stress test anche per i paesi più avanzati.
Storicamente, le stime della copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage, UHT) si basavano sui contatti con i singoli servizi sanitari ed erano, nei fatti, ristrette all’analisi di disponibilità e utilizzazione dei servizi, piuttosto incapaci di misurare l’output, ossia la salute prodotta dai vari sistemi. Questo lavoro combina e integra il concetto della copertura efficace (effective coverage), che tiene conto del bisogno, dell’utilizzo e, soprattutto, della qualità dell’intervento sanitario, con il potenziale guadagno di salute che può essere attribuito all’intervento quando questo è effettivamente somministrato.
Lo studio si divide in tre momenti. Sulla scorta delle misure di UHC, utilizzate in diverso modo da Organizzazione mondiale della sanità, Banca mondiale e GBD, sono stati individuati 23 indicatori di copertura sanitaria a cui è stato assegnato un punteggio in base ai dati forniti dai singoli paesi. Gli indicatori così definiti sono poi andati a formare la base per le stime. Per ognuno di loro, è stato quantificato il potenziale guadagno di salute, calcolato come riduzione dell’aspettativa di vita aggiustata per disabilità, una misura di gravità globale delle malattie, espressa in termini di anni di salute persi (sia per disabilità sia per morte) a causa della malattia. La combinazione tra gli indicatori e le rispettive stime di salute guadagnata ha, infine, fornito l’Effective Coverage Index per singolo paese, espresso su una scala da 1 a 100.
Lo stato della copertura sanitaria universale
A livello globale, la performance sull’indice di copertura sanitaria è migliorata da 45,8 (95% UI 44,2-47,5) nel 1990 a 60,3 (58,7-61,9) nel 2019. Il discorso cambia scendendo nel dettaglio delle situazioni nazionali: la copertura effettiva nel 2019 andava dai livelli altissimi (con un indice di 95 o più) del Giappone e dell’Islanda a meno di 25 in Somalia e Repubblica Centrafricana.
Pietro Ferrara, epidemiologo del Centro di studio e di ricerca sulla sanità pubblica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca (CESP), collaboratore del GBD 2019, commenta: «Non deve meravigliare il fatto che il ritorno in termini di salute per ogni unità di spesa sanitaria sia maggiore nelle regioni del mondo a più basso indice di sviluppo, dove c’è una primaria necessità di interventi sanitari per il controllo delle malattie trasmissibili. Diverso è il discorso per le regioni ad alto reddito, dove innanzitutto cambiano le caratteristiche della spesa sanitaria. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sottolinea che c’è maggiore dispersione di spesa nei paesi con una popolazione più anziana (e quindi con malattie croniche, non trasmissibili). Una seconda ragione per la quale una spesa più elevata non si riflette in maggiori outcome di salute è data dal controllo politico fatto senza riforme strutturali che flette la curva della spesa sanitaria. Infine, dobbiamo tener conto che la quota di spesa inefficace è maggiore dove la spesa è di base più alta».
Le stime sulla spesa sanitaria pro capite
Dal punto di vista dell’analisi finanziaria, secondo lo studio, i paesi dovrebbero raggiungere la cifra di 1.398 dollari di spesa sanitaria aggregata pro capite per arrivare a 80 sull’indice di copertura sanitaria effettiva. Ma le proiezioni attuali stimano, per il 2023, ben 3,1 miliardi di individui ancora privi di una copertura sanitaria efficace, con quasi un terzo residente nelle regioni asiatiche meridionali.
«Ci sono diversi ostacoli al raggiungimento dell’obiettivo, la cui tassonomia varia secondo il contesto», continua Ferrara. «Questi vanno ricercati per definire i diversi livelli d’intervento: di comunità, attraverso il coinvolgimento diretto dei destinatari degli interventi proposti dai servizi, questo include programmi di educazione alla salute, screening delle porzioni più vulnerabili della popolazione, focus sull’accettabilità degli interventi, empowerment materno. Salendo a un livello superiore, dove si gioca la vera partita della pianificazione e della programmazione, le iniziative possibili sono tante: ridefinizione dei finanziamenti ai fondi sanitari e riallocazione delle risorse, re-designazione dei setting assistenziali, stime del fabbisogno del personale e provvedimenti di task-shifting, solo per menzionarne alcune».
Su scala nazionale e di programmazione sanitaria, diventa necessario allineare la sanità alla salute e non viceversa; significa fornire assistenza di qualità sulla base dell’effettiva domanda di salute della popolazione, anche andando a rintracciare i bisogni inespressi o quelli che il cittadino non avverte come tali (come una particolare vaccinazione) con azioni di educazione e promozione della salute. E stimare il bisogno di salute è compito dell’epidemiologia, attraverso analisi e studi come quelli condotti dal GBD.
Il sistema sanitario italiano vanta un alto indice di sviluppo
Per commentare la posizione dell’Italia sono stati raccolti i punti di vista di alcuni membri del GBD italiano, rete coordinata da Lorenzo Monasta, dirigente statistico presso l’IRCCS Materno Infantile “Burlo Garofolo” di Trieste. Il punteggio associato all’Italia nello studio di The Lancet è stato di 89 su 100.
«Un giudizio in linea con tutti i paesi europei e quelli extra-europei a più alto indice di sviluppo. Nel dettaglio, raggiungiamo la sufficienza su quasi tutti gli indicatori, ma pesano i valori più bassi su contraccezione femminile, trattamento di stroke e malattia renale cronica. I valori più alti su vaccinazioni e oncologia», spiega Ferrara. «Il nostro Servizio sanitario nazionale è una delle più grandi conquiste sociali italiane. Ha garantito e garantisce da quattro decadi livelli di assistenza e modalità di erogazione che altri paesi ci hanno invidiato. Tanto che spesso il SSN italiano è stato in cima alle classifiche di valutazione dei sistemi sanitari. Anche quei primi posti in classifica vanno però contestualizzati. Per esempio, la classifica Bloomberg Health Care Efficiency, che ci ha sempre posizionati tra i primi, tiene conto del finanziamento, ma trascura tutto quello che riguarda la qualità dell’assistenza. Se andassimo a misurare il finanziamento in funzione dell’aspettativa di vita aggiustata per disabilità (Disability-Adjusted Life Years, DALY) non saremmo più così alti in classifica. Gli effetti sono quelli di cui si accorgono utenti e pazienti: liste di attesa lunghe, disparità e frammentazione dei servizi sanitari e della qualità dell’assistenza tra regioni (e spesso all’interno della stessa regione), carenze strutturali di personale, mancanza di gestione integrata delle patologie croniche, pochi investimenti in innovazione e sviluppo. E l’effetto della pandemia da SARS-CoV-2 rischia di essere devastane, se non corriamo ai ripari già da ora».
Ettore Beghi, capo laboratorio malattie neurologiche all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano, denuncia il fatto che «in Italia la ricerca è agli ultimi posti tra le priorità del paese. Devono essere erogati più investimenti per i ricercatori italiani per far sì che le nuove generazioni non abbandonino la nazione. Covid-19 può essere un’opportunità per il paese per l’incremento di fondi da assegnare alla scienza».
Di parere analogo Matilde Leonardi, dirigente medico neurologo presso la Direzione Scientifica della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, ove dirige anche il Coma Research Centre-CRC. «Sono molto ammirata della capacità scientifica che abbiamo in questo paese. Noi italiani siamo bravi, e anche attenti. I dati parlano e sono essenziali nella definizione di una strategia di salute pubblica efficace».
Carlo La Vecchia, professore di statistica medica ed epidemiologia, dipartimento di Scienze Cliniche e Salute di Comunità presso l’Università degli Studi di Milano, sottolinea come l’Italia, oltre ad avere una copertura sanitaria molto buona, vanti anche un’attesa di vita tra le più lunghe al mondo, non solo per l’assistenza sanitaria ma anche per abitudini di vita. «L’Italia è un paese che merita di essere giudicato positivamente in termini di assistenza sanitaria. Se vogliamo guardare a Covid-19, la reazione dell’Italia non è stata all’altezza della valutazione che ha avuto nello studio GBD (89), mentre la Germania, per esempio, che ha avuto un valore inferiore, di 86, è il paese che ha reagito molto meglio rispetto all’Italia, ma anche nei confronti di altri paesi europei. Pertanto, questi punteggi danno un’idea generale di come può funzionare l’assistenza sanitaria in una situazione non di allarme, poi, quali siano i sistemi che reagiscono meglio a situazioni emergenziali è effettivamente difficile da stimare».
Gli effetti della pandemia sull’assistenza sanitaria
Secondo il rapporto Goalkeepers della Fondazione Gates, la pandemia sta portando indietro di molti anni la salute globale. Secondo l’IHME, nel 2020, la copertura sanitaria sta regredendo alla situazione che avevamo negli anni Novanta. I governi spostano le risorse per cercare di gestire l’emergenza e le persone riducono drasticamente il ricorso all’assistenza sanitaria per contenere il rischio d’infezione: elementi costitutivi di una catastrofe sanitaria globale.
«Abbiamo visto gli effetti di Covid-19 sin dalla prima settimana», commenta Ferrara. «Da subito ci siano resi conto dell’impatto che l’epidemia ha avuto sull’assistenza sanitaria, in termini di ritardo assistenziale o mancata assistenza, soprattutto per le malattie croniche e le multimorbilità. Pagano lo scotto maggiore le fasce di popolazione sopra i 65 anni, dove si ritrovano condizione cliniche complesse e che assorbono normalmente i due terzi delle risorse. Se prima alcuni cambi di paradigma erano necessari, adesso l’implementazione di modelli diversi di gestione sanitaria è indispensabile e non più rimandabile. Dobbiamo curare il paziente, che si trova a convivere con più patologie e non una singola condizione clinica. La sfida del prossimo futuro del sistema sanitario viene dalla possibilità di ristrutturare la rete di cura, con setting intermedi e domiciliari che prendano in carico il paziente nel tempo, riducendo il carico assistenziale ospedaliero. La cosiddetta transitional care, che ha mostrato di produrre benefici al paziente e risparmi per il servizio sanitario stesso. Ma per fare tutto questo c’è bisogno di risorse, investimenti e pianificazione. E di volontà politica».
Matilde Leonardi guarda alla pandemia in termini di disruption of services e commenta: «Non credo che siamo tornati indietro, questo sarebbe anche ingeneroso nei confronti di quei paesi che invece hanno messo al servizio, anche in questa pandemia, tutte le conoscenze acquisite. Ci siamo trovati non preparati rispetto a un fenomeno completamente nuovo, che stiamo imparando ad affrontare avvalendoci di strumenti e conoscenze che vent’anni fa non avevamo, pensiamo per esempio alla telemedicina».
Parafrasando Richard Horton, direttore di The Lancet, Covid-19 è un’emergenza sanitaria acuta che va a impiantarsi su una situazione di cronicità, largamaente ignorata. Le malattie non trasmissibili hanno svolto un ruolo fondamentale nel decretare oltre un milione di decessi causati da Covid-19 e continueranno a plasmare la salute in ogni paese dopo che la pandemia si sarà placata. Mentre ci occupiamo di come rigenerare i nostri sistemi sanitari sulla scia del Covid-19, questo studio sul GBD offre un mezzo per puntare dove il bisogno è maggiore e per chiarire come differisce da paese a paese.
«Per anni si è creduto che le politiche per la salute riguardassero esclusivamente il finanziamento e l’erogazione degli interventi di salute», commenta Ferrara. «Ma la salute di un individuo e di una popolazione è influenzata da diversi fattori, di cui i determinanti sociali sono i primi interpreti. La vulnerabilità è proprio il minimo comune denominatore delle disuguaglianze sociali. Sono vulnerabili gli anziani più isolati, i poveri, i migranti, chi vive ai margini della società; tutti a proprio modo più esposti alla malattia e, soprattutto, a un minore accesso ai servizi sanitari. Dobbiamo intercettare i vulnerabili e ridurre il gradiente sociale attraverso un impegno non solo sanitario, ma politico in senso lato, assicurando l’istruzione, l’implementazione di politiche del lavoro e della sicurezza sul lavoro, di risolvere l’esclusione sociale delle zone periferiche, evitare le dipendenze e favorire la sicurezza alimentare e nutrizionale. Parallelamente, va garantito che tutti possano curarsi allo stesso modo. Ricordo sempre, come hanno scritto Sakolsatayadorn e Chan, che la copertura sanitaria universale è uno dei maggiori equalizzatori sociali che la politica può fornire».
Il momento particolare che stiamo vivendo offre una riflessione sul concetto stesso di copertura sanitaria universale. Nessuno dei suoi metodi di stima, né passati né quello proposto dal GBD, include una misura della capacità di risposta alle epidemie. Eppure Covid-19 ha dimostrato che i servizi sanitari sono chiamati sia a evitare i casi di malattia e morte dovuti all’infezione sia a sostenere una normale assistenza sanitaria di qualità per le altre condizioni cliniche, durante e dopo l’emergenza. La resilienza dei sistemi sanitari è riconosciuta come una proprietà intrinseca dei sistemi stessi e, siccome un indice di copertura sanitaria è anche una misura di resilienza, è auspicabile che alla sua quantificazione concorrano anche indicatori di capacità di risposta alle epidemie, come la presenza di strutture di individuazione e segnalazione di focolai epidemici o la capacità di riconversione delle strutture per far fronte alle epidemie.
Fonte: Scienza in Rete