La mente e i ricordi mentono
Articolo del 22 Febbraio 2022
Non sempre quello che ci passa per la testa è vero. Ciò che la mente ci racconta è condizionato dai nostri bisogni più profondi e così spesso modifica i nostri ricordi. Perché dimenticare è più difficile che ricordare, allora aggiustiamo i ricordi. Chissà quante volte avremmo voluto cancellare in blocco e a nostro piacimento un’esperienza traumatica, un amore finito male, o anche una parte della nostra vita. Ma il nostro cervello non ce lo permette ed è come se ci dicesse ricorda che siamo fatti di vittorie e sconfitte, di gioie e dolori, di luci e di ombre. Questo complesso meccanismo spetta al nostro cervello ed è attraverso i ricordi/memoria che acquisiamo esperienza e costruiamo il nostro sé. I ricordi sono i mattoni che costruiscono la nostra vita, l’essenza dell’esperienza ed è con la memoria che costruiamo ciò che siamo. La memoria si basa su tre processi fondamentali quali: acquisizione delle informazioni, conservazione delle stesse e ricordo.
Ma questa macchina straordinaria che è il nostro cervello ogni tanto ci trae in inganno facendoci percepire solo quello che ci rassicura, quello che ci mantiene nella nostra zona comfort, oppure quello che è frutto della nostra immaginazione. I ricordi però sono i nostri preziosi alleati per muoverci nel mondo, sono immagini del passato che si archiviano nei cassetti della memoria. Ci costituiscono, ci determinano, ci delineano e sono le fondamenta di ciò che siamo.
Quando nasciamo siamo un foglio bianco da riempire e quel foglio ogni giorno cresce e si riempie di informazioni, fatti, dati, volti, luoghi, punti di riferimento per indicarci come muoverci nello spazio e nel tempo. Un insieme di fogli che diventa ricordi, e costruisce tutto ciò che noi impariamo nella vita e le esperienze vissute. Per questo i ricordi sono utili. Talvolta belli, talvolta dolorosi e quando sono troppo dolorosi da tenere con noi, la mente tende a rimuoverli. A lasciarli in un deposito, l’inconscio, e a noi sembra che non ci siano più. Ma l’inconscio, lo sanno bene gli psicanalisti, spesso lavora su di noi molto più della nostra volontà. E per fortuna. Perché quei ricordi ci sono e hanno la loro importanza, anche se spesso non ne abbiamo consapevolezza.
La memoria è una preziosa alleata e anche meccanismo di difesa perché è in grado di immagazzinare informazioni che tira fuori al bisogno proprio attraverso il ricordo. Se ci troviamo di fronte a una situazione di pericolo o avvertiamo che una cosa potrebbe per noi rappresentare un pericolo tendiamo istintivamente a starne alla larga. E perché lo facciamo? Perché il cervello è andato a riaprire quei cassetti della memoria dove aveva registrato che quella situazione e quella determinata cosa rappresentavano una minaccia.
Gli studi sulla memoria sono tuttora incerti e in continua evoluzione, questo sicuramente è dovuto al fatto che essa è influenzata dagli aspetti affettivi ed emotivi, fattori che rendono più difficile l’analisi scientifica. Le ricerche neuroscientifiche non hanno ancora portato del tutto alla luce dove abbia sede la memoria, anzi le memorie. Ma ad oggi l’ipotesi più convincente è che queste si trovino dislocate nella corteccia cerebrale, secondo uno schema sensoriale, ovvero: le memorie visive potrebbero risiedere nella corteccia visiva, quelle uditive in quelle uditive e così via. Mentre quelle miste sarebbero dislocate in più parti.
Ma come si creano i ricordi? Il cervello lavora su due tracce ben distinte: una serve per rievocare un avvenimento nell’immediato e l’altra lavora per ricordarlo sul lungo periodo. La prima viene definita ricordo a breve termine e svanisce entro pochi giorni, mentre l’altra traccia, che il cervello crea, rimane silente per diverso tempo formando però il ricordo a lungo termine. I ricordi delle nostre esperienze vengono quindi gestiti da due aree cerebrali distinte: l’ippocampo – una parte del cervello situata nei lobi temporali mediali – e la corteccia.
l primo gestisce la memoria a breve termine che utilizziamo per ricordarci un nome di una persona appena conosciuta, un indirizzo prima di annotarlo o un numero di telefono. La corteccia invece memorizza la traccia del ricordo a lungo termine ed è lì che vengono immagazzinati i ricordi. Fra i due distretti, c’è uno scambio continuo di informazioni. Se uno dei due viene leso, anche l’altro ne risente. Gli scienziati hanno evidenziato che l’ippocampo, seppure ha un certo un ruolo fondamentale nel recuperare una memoria e nella formazione di nuovi ricordi, non è qui che li custodisce. Inoltre, uno studio interdisciplinare pubblicato su Neuron, e che ha riunito un team di ricercatori di Francia, Germania, Italia, Spagna, ha rilevato che nella formazione della memoria siano coinvolte anche strutture antiche e altamente conservate nell’evoluzione del cervello, come l’ipotalamo e l’amigdala. Due strutture cerebrali che svolgono un lavoro fondamentale nel controllo delle emozioni e di svariate funzioni fisiologiche. Sono proprio queste due strutture che intervengono nelle rappresentazioni di memoria emotiva o engrammi, cioè nelle tracce di memoria immagazzinate nel cervello. Come la paura o quelle legate a un’esperienza traumatica. Questo tipo di ricordi sembra diventino per noi tracce incancellabili.
Uno studio condotto dal professore di psicologia Jarrod Lewis-Peacock dell’Università del Texas ad Austin ha invece scoperto perché per il nostro cervello dimenticare è più difficile che ricordare. Sebbene sappiamo che ciò accade piuttosto di frequente, non erano ancora del tutto chiari i meccanismi neuronali che organizzano tale realtà psicologica. La responsabilità è proprio del cervello che decide di scartare fatti poco rilevanti o poco interessanti. Il suo obiettivo è migliorare la sua efficienza. Ci sono ricordi neutri e ricordi altamente emotivi e questo comporta che dimenticare è più difficile che ricordare per via del carico emotivo e delle associazioni quali odori, immagini, suoni, impressioni di eventi passati. Non ricordiamo tutto, ma selezioniamo gli eventi in base alla loro rilevanza, anche perché senza tale filtro il nostro cervello sarebbe continuamente bombardato da informazioni e impossibilitato al ragionamento.
Lo studio ha dimostrato che dimentichiamo quasi all’istante l’80% del materiale visivo: i volti delle persone che incrociano il nostro cammino, i colori degli abiti che indossano, le targhe delle auto. Sono invece le situazioni legate a un’emozione che perdurano, così come quelle di felicità, paura, vergogna perché il nostro cervello le considera significative. Sono destinati all’oblio solo i ricordi che generano un livello di attività cerebrale moderata. Questo significa che se non diamo eccessiva importanza a un fatto diventa più facile lasciarlo scivolare nel dimenticatoio. Se riduciamo l’impatto emotivo su quel dato fatto senza concedergli troppa attenzione, è più facile che quell’esperienza si disperda nella memoria. Al contrario, se la componente emotiva è intensa, se concentriamo i nostri pensieri su ciò che vogliamo dimenticare, non ci riusciremo. Sembra un paradosso, ma il meccanismo cerebrale soddisfa tale regola.
Ogni esperienza, sensazione, pensiero, abitudine ed emozione provoca un cambiamento a livello cerebrale. Si crea una connessione, il cervello si riorganizza e si modifica. Dimenticare è più difficile che ricordare quindi perché cancellare un frammento del passato significherebbe cancellare anche quella connessione, quella sinapsi cerebrale. In qualche modo, ogni esperienza, sia piacevole che spiacevole, prepara il cervello alle esperienze future: tutte le sinapsi e i cambiamenti cognitivi creati da ogni fatto sentito e vissuto creano quell’anatomia cerebrale che ci definisce individualmente. Un ricordo non è un semplice recupero di informazioni dal passato: è un cambiamento del cervello. La ricerca neuroscientifica ci dice che un ricordo o memoria corrisponde all’attività sostenuta da alcuni neuroni e ad alcune loro modifiche strutturali, così da mantenere quello che noi ricordiamo.
I nostri ricordi plasmano anche la nostra identità e ricordare è un processo altamente ricostruttivo Ma per farlo abbiamo bisogno di conoscenza, dell’immagine di sé, dei bisogni, dei piaceri, degli obiettivi, di motivazione. Ricordare vuol dire rivivere nel presente eventi passati, siano essi belli, brutti o anche solo sensazioni che pensavamo dimenticate. Purtroppo, però i meccanismi di acquisizione, conservazione e ricordo possono anche difettare fino a diventare inefficaci e questo avviene soprattutto con patologie quali l’Alzheimer o la demenza senile. Tuttavia, anche quando raccontiamo una storia o cerchiamo di ricordare un avvenimento passato pensiamo di raccontare le cose esattamente come sono avvenute. La verità, però, è che di solito la nostra mente modifica i ricordi. E li modifica in base al presente, perché cerca di far sì che tutti i pezzi siano coerenti con il momento attuale. La zona del cervello che si incarica di editare queste informazioni è l’ippocampo, ma è la nostra personalità che gioca un ruolo importante quando si tratta di ricostruire i ricordi. A volte si rischia di confondere la realtà di allora con il volere di oggi e di accomodare il ricordo secondo dei desiderata. Di abbellire o gettare il bambino con l’acqua sporca. In entrambi i casi avremo creato un falso ricordo dove non sempre c’è una consapevolezza, perché un falso ricordo può crearsi anche per aggregazione: da varie memorie distinte da cui possono essere estrapolati frammenti che la mente umana ricombina insieme.
I ricordi mentono, ma può capitare anche che ci aiutino a conservare la vita. Ci inganniamo per non vivere nel disagio.Ma se è vero che non abbiamo il dovere di avere per forza dei buoni ricordi o di amare ciò che ricordiamo, abbiamo però il dovere di non falsificare la nostra storia. Una storia che è comunque unica per ognuno di noi.