La tua protesi sta bene? Te lo dirà un sensore

Articolo del 18 Marzo 2022

Anca, ginocchio, spalla. E le loro protesi. Ma quanto resistono una volta impiantate nell’uomo? E quali sono i segni premonitori di un possibile cedimento, magari dopo i consolidati 10-15 anni d’uso? Sarebbe comodo, e faciliterebbe la vita di pazienti e specialisti, sapere in anticipo i punti deboli delle protesi. Oggi, più che mai utilizzate in virtù dell’aumento medio della vita e della conseguente usura delle nostre articolazioni, le protesi sono minacciate da fratture e microfratture, che però non sempre si manifestano con segni premonitori.

Non durano per sempre

E, appunto, perché niente dura per sempre, ecco che la scienza viene in aiuto. Con un sistema mirato a fornire informazioni sulla tenuta e sui possibili cedimenti da invecchiamento e traumi. Autore di un sistema innovativo capace di indagare lo stato di salute delle protesi è il gruppo di ricerca di Elettromagnetismo Pervasivo di Ingegneria dell’Università Tor Vergata di Roma, diretto dal professor Gaetano Marrocco, coordinatore del corso di laurea in Ingegneria medica. Il tutto si basa su una tecnologia wireless che, applicata a qualsiasi tipo di protesi, è in grado di individuare e localizzare la presenza di micro-fratture, non rilevabili dall’esterno e prima che queste danneggino le protesi. Il team ha scoperto il modo di “incidere” sulla protesi (proprio come si fa con un tatuaggio), realizzando un sensore di frattura in grado di trasmettere all’esterno, in modalità wireless, informazioni su eventuali anomalie.

Un’immagine di protesi alla spalla

I risultati della ricerca sono stati pubblicati su IEEE Journal of Electromagnetics, RF and Microwaves in Medicine and Biology. Il sensore ha una forma particolare – scelta in base alle proprietà di una curva matematica chiamata Space Filling Curve (Sfc) – che riesce a coprire quasi completamente l’area protesica da monitorare. Le curve, generabili con semplici formule matematiche, hanno infatti la capacità di riempire una superficie senza mai intersecarsi e assomigliano a un’opera di Escher. “La Sfc realizzata tramite un’impercettibile incisione sulla superficie della protesi (metallica, ceramica o polimerica) – spiega Marrocco – viene poi riempita con un isolante e infine con una vernice conduttiva che forma l’elettrodo. Si ottiene così un “tatuaggio elettronico” che veglierà sull’integrità della protesi”.

D’altronde, lo studio risolve un problema di fondo: quello di una superficie estesa sulla quale non si sa mai dove possa presentarsi una frattura, mentre con questa specie di tatuaggio “che ricopre tutta la superficie della protesi o una parte, l’insorgenza di una “crepa” in qualunque punto scalfirebbe il tatuaggio elettronico, trasmettendo all’esterno l’informazione”.

L’originale idea si rifà alle tecnologie dei giubbotti antiproiettile dotati di sistemi particolari. Ed è sempre Marrocco a ricordare: “Ho avuto contatti con le aziende che li producono. Ebbene, all’interno i giubbotti sono rivestiti da un pannello rigido, anche ceramico, che può lesionarsi nel tempo e perdere la sua efficacia protettiva. Il nostro progetto iniziale intendeva sviluppare un sistema per monitorare l’integrità dei giubbotti per estenderne la funzionalità nel tempo. Ed è così che ho pensato di applicare la stessa idea alle protesi ortopediche che, purtroppo, sono soggette a microfratture non rilevabili dall’esterno se non in epoca tardiva per il paziente”.

Il professor Luigi Zagra, responsabile di Chirurgia dell’Anca dell’Irccs Galeazzi di Milano, si rivela cauto nel giudizio: “Non conosco ancora il sistema innovativo, ma è sicuramente interessante. Dovrei approfondire il tema, anche perché ogni anno si effettuano centinaia di migliaia di interventi e non sarebbe agevole monitorare tante protesi. Ritengo comunque che l’innovazione potrebbe avere un campo di sviluppo per realizzare nuove protesi. Modelli e sistemi innovativi che ci consentano di sapere se un impianto di ultima generazione sia abbastanza sicuro e affidabile rispetto a quello già in uso”.

Ma il futuro corre veloce. Due le potenzialità offerte dalla tecnologia in valutazione: rivelare la presenza di infezioni di una protesi attraverso la misurazione locale della temperatura e del Ph, e monitorare le protesi al seno. “Le membrane di queste ultime – conclude Marrocco – sono frequentemente soggette a rottura con infiltrazione di filler nel tessuto. Tenerle sott’occhio rappresenterebbe un ulteriore elemento di tranquillità. Una terza applicazione potrebbe poi essere quella di vigilare sullo stato delle valvole cardiache dopo l’impianto”.

 

Fonte: La Repubblica

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