La tutela del lavoratore in caso di malattia: diritti e doveri.
Articolo del 17 Novembre 2020
Cosa succede al dipendente malato in caso di assenza dal lavoro? Dall’obbligo di reperibilità alla modalità di trasmissione del certificato medico, ecco tutto quello che è bene sapere sull’indennità di malattia (e non solo).
Ai sensi dell’art. 2110 del codice civile “in caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge (o le norme corporative) non stabilisce forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, (dalle norme corporative) dagli usi o secondo equità.”
Pertanto, secondo quanto disposto dalla normativa vigente, al lavoratore assente per malattia spetta il diritto di percepire comunque una retribuzione, nella misura e per il tempo determinati dalla legge o dalla contrattazione collettiva. A seconda dei casi, tale retribuzione graverà interamente a carico del datore di lavoro o sarà a carico dell’INPS; in questa seconda ipotesi, in particolare, l’Istituto previdenziale eroga un’indennità che può essere eventualmente integrata dal datore di lavoro.
Viene inoltre garantita per legge al dipendente assente per malattia la conservazione del posto di lavoro per un determinato periodo di tempo, nel corso del quale non potrà quindi essere licenziato dal proprio datore di lavoro. La durata del cosiddetto periodo di comporto viene definita dalla contrattazione collettiva applicata ed è generalmente quantificata in 180 giorni per anno civile. In ogni caso, il periodo di assenza dal lavoro per malattia è inoltre computato nell’anzianità di servizio del lavoratore.
A chi spetta l’indennità di malattia per lavoratori dipendenti?
L’INPS, contestualmente al verificarsi di un evento morboso che determini l’incapacità temporanea al lavoro, eroga un’indennità di malattia alle seguenti tipologie di lavoratori subordinati:
- operai del settore industria
- operai e impiegati del settore terziario e servizi
- lavoratori dell’agricoltura
- apprendisti
- disoccupati
- lavoratori sospesi dal lavoro
- lavoratori dello spettacolo
- lavoratori marittimi
Tale indennità invece non spetta (a titolo esemplificativo, ma non esaustivo) a:
- collaboratori familiari (colf e badanti)
- impiegati dell’industria
- quadri (industria e artigianato)
- dirigenti
- portieri
- lavoratori autonomi
Per poterne fruire, il lavoratore ha l’obbligo di farsi rilasciare il certificato di malattia dal proprio medico curante, che provvede a trasmetterlo telematicamente all’INPS, immediatamente o il giorno successivo alla visita che ha attestato la malattia. A differenza di quanto non accadesse in passato, salvo specifiche eccezioni, al dipendente non spetta dunque più l’obbligo di trasmissione del certificato, ma gli compete comunque l’onere di accertarsi della correttezza dei dati inseriti dal medico, compresi quelli anagrafici e quelli relativi al domicilio per la reperibilità (la cui variazione andrà sempre tempestivamente segnalata alla struttura territoriale di competenza e, di riflesso, al datore di lavoro). Qualora fosse espressamente richiesto dal proprio datore di lavoro, il lavoratore deve inoltre fornire il numero di protocollo identificativo del certificato rilasciatogli dal medico.
A ogni modo, in seguito alla trasmissione telematica del certificato medico, il lavoratore è esonerato dall’obbligo di invio dell’attestato al proprio datore di lavoro che potrà usufruire dei servizi messi a disposizione dall’Istituto previdenziale. Nel caso in cui, però, la trasmissione telematica non fosse possibile, il lavoratore deve farsi rilasciare il certificato medico in modalità cartacea: in questo caso, subentra quindi l’onere, entro due giorni dalla data del rilascio, di presentare o inviare il certificato di malattia all’INPS e al proprio datore di lavoro. Lo stesso vale in caso di ricovero in una struttura ospedaliera o ricovero/accesso al Pronte Soccorso: nel caso in cui non sia possibile il rilascio del certificato di malattia attestante il periodo di degenza e l’eventuale prognosi della malattia, è comunque possibile ottenere un certificato cartaceo da trasmettere poi all’INPS e al datore di lavoro.
Assenza per malattia e obbligo di reperibilità
Per il lavoratore sussiste inoltre un obbligo di reperibilità presso il proprio domicilio per sottoporsi all’eventuale visita del medico fiscale, visita che può essere disposta sia d’ufficio sia su richiesta del datore di lavoro e la cui violazione è sanzionata disciplinarmente. Per i lavoratori dipendenti le fasce di reperibilità sono, per tutti i giorni riportati nella certificazione di malattia (compresi i sabati, domenica e festivi), dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.
Durante il periodo di prognosi del certificato, se effettivamente necessario, il lavoratore può cambiare l’indirizzo di reperibilità comunicandolo tempestivamente e con congruo anticipo al datore di lavoro, con le modalità contrattualmente previste, e all’INPS utilizzando il servizio “Sportello al cittadino per le visite mediche di controllo”.
L’assenza alla visita medica è giustificata solo in caso di necessità a sottoporsi ad accertamenti medici che non possono essere effettuati in diverso orario, per provati gravi motivi familiari o personali oppure per cause di forza maggiore; in tutte le altre eventualità viene considerata non giustificata e comporta quindi per il lavoratore il mancato indennizzo per un massimo di dieci giorni di calendario dall’inizio dell’evento. Un’ulteriore assenza ingiustificata alla seconda visita di controllo comporta, oltre alla sanzione precedente, anche la riduzione del 50% dell’indennità economica nel restante periodo di malattia. Infine, nel caso in cui il lavoratore risultasse ingiustificatamente assente anche a una terza visita di controllo, verrà meno la totale corresponsione dell’indennità a carico dell’INPS.
Da quale giorno ha inizio la malattia?
Sulla base della normativa vigente, l’INPS riconosce la prestazione di malattia ai lavoratori assicurati soltanto dal giorno di rilascio del certificato, il che implica che il medico – per legge – non può giustificare giorni di assenza antecedenti la visita e quindi il rilascio del certificato stesso. Solo nel caso di certificato redatto a seguito di visita domiciliare (feriale), è possibile il riconoscimento della giornata antecedente alla redazione, purché espressamente indicato dal medico curante.
Attenzione! Per poter rientrare al lavoro prima della prognosi indicata dal certificato, è necessario chiedere al medico che ha redatto la rettifica della prognosi, da inoltrare all’INPS sempre attraverso l’apposito servizio di trasmissione telematica.
Quanto spetta al dipendente in caso di malattia?
Il diritto all’indennità di malattia a carico dell’INPS decorre, per la generalità dei lavoratori dipendenti, dal quarto giorno (i primi tre giorni sono considerati di “carenza” e, se previsto dal contratto collettivo, devono essere indennizzati dal datore di lavoro) e termina con la scadenza della prognosi (fine malattia).
Generalmente, l’indennità a carico dell’Istituto è corrisposta ai lavoratori dipendenti nella misura del 50% della retribuzione media giornaliera (comprensiva dell’incidenza dei ratei delle mensilità aggiuntive) dal 4° al 20° giorno e del 66,66% dal 21° al 180° giorno. Tuttavia, la maggior parte dei contratti collettivi stabilisce che il datore di lavoro debba integrare l’indennità erogata dall’INPS, durante il periodo di conservazione del posto, fino a un determinato ammontare che può arrivare al 100% della retribuzione.
COVID-19, quarantena e malattia: quali tutele per i lavoratori?
Il cosiddetto decreto Cura Italia (decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27) ha disposto l’equiparazione della quarantena alla malattia. Il che implica che non solo ai lavoratori che effettivamente sviluppano la malattia ma anche a quelli disposti a quarantena o isolamento fiduciario vengono riconosciute – laddove rientrino per legge tra le categorie aventi diritto alla tutela previdenziale della malattia a carico dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale – l’indennità economica, con correlata contribuzione contributiva, e l’eventuale integrazione retributiva dovuta dal datore di lavoro.
Affinché la tutela sia riconosciuta anche in caso di quarantena, il lavoratore deve quindi produrre il certificato di malattia attestante il periodo di quarantena, nel quale il medico dovrà indicare gli estremi del provvedimento emesso dall’operatore di sanità pubblica e, nelle note di diagnosi, l’indicazione dettagliata della situazione clinica del suo paziente. In caso di malattia da COVID-19, il procedimento è analogo con un’unica differenza: il dipendente è tenuto a farsi rilasciare il certificato di malattia dal proprio medico senza necessità di alcun provvedimento da parte dell’operatore di sanità pubblica.
Attenzione! In caso di malattia conclamata, il lavoratore è a tutti gli effetti considerato temporaneamente inabile al lavoro, con diritto ad accedere alla corrispondente prestazione previdenziale, compensativa della perdita di guadagno.
Cosa succede in caso di quarantena non dovuta a sviluppo della malattia? Nell’attuale contesto emergenziale, si sono in effetti attivate modalità alternative di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, una su tutte lo smart working: a riguardo, l’INPS precisa che non è invece possibile ricorrere alla tutela previdenziale della malattia nei casi in cui il lavoratore in quarantena (o in sorveglianza precauzionale perché soggetto fragile ) continui a svolgere – sulla base degli accordi con il proprio datore di lavoro – la propria attività lavorativa. In questa circostanza, il dipendente continua ad aver diritto alla propria retribuzione così come se svolgesse la propria prestazione dal proprio consueto luogo di lavoro.
Fonte: Pensioni & Lavoro