L’agricoltura biologica è davvero migliore di quella convenzionale?
Articolo del 17 Febbraio 2022
I prodotti derivanti dall’agricoltura biologica non sono semplicemente un’alternativa ma, per molti consumatori, si portano il peso di una responsabilità morale e sociale verso il pianeta. Questo perché i prodotti bio, a fronte di un prezzo maggiore di quelli convenzionali, vengono considerati più naturali, più etici, più sostenibili.
Dall’altra parte, non sono pochi i detrattori dell’organic food, se vogliamo dirla all’inglese. Spesso si fa notare che il mondo bio ha mille contraddizioni e che è un lusso da primo mondo che non è assolutamente ecocompatibile se esteso a tutti.
Il tema, tanto per cambiare, è abbastanza spinoso, supportato da tifoserie che, in un senso o nell’altro, risultano spesso poco razionali. Vediamo quindi insieme quali sono i dati reali, cosa è vero e cosa fuffa. Cosa è marketing e cosa è scienza. Non per avvalorare l’una o l’altra tifoseria, ma per creare una reale consapevolezza sul tema e su cosa si acquista quando si va a fare la spesa.
Cosa si intende per agricoltura bio?
Prima di tutto, non c’è un consenso mondiale sulla definizione di bio. Nazioni diverse hanno definizioni e leggi diverse.
Inoltre, esiste una grossa differenza fra ciò che noi riteniamo “bio” e ciò che, per legge, è bio. Comunemente, associamo al bio una maggiore purezza degli alimenti, una maggiore sanità a causa dell’assenza di pesticidi, un processo più naturale e a basso impatto ambientale. Molti di questi concetti sono infatti i pilastri del marchio e sono in parte veri. Ma si sa, the devil is in the details.
In Italia, l’agricoltura biologica è un metodo di produzione i cui standard sono individuati e disciplinati da precisi regolamenti comunitari e decreti nazionali. La nostra nazione ha riconosciuto un importante ruolo all’agricoltura biologica, infatti, dopo essere stata approvata alla Camera, è passata in discussione al Senato la prima legge quadro italiana che legifererà nel dettaglio la pratica.
Marchio europeo che attesta che il prodotto segue la filiera del biologico
I prodotti derivanti da agricoltura biologica hanno un marchio che attesta che la loro produzione è stata ottenuta seguendo alcune regole:
- l’esclusione di prodotti fitosanitari di sintesi (che poi vedremo non essere del tutto vero);
- l’assoluto divieto di utilizzo di organismi geneticamente modificati (che è valido anche per l’agricoltura convenzionale);
- un forte incentivo all’utilizzo di tecniche agronomiche per agevolare la crescita delle piante;
- l’utilizzo di terreni su cui non viene fatta agricoltura convenzionale da almeno 2 anni (per colture e foraggere annuali o perenni) o 3 anni (per colture perenni, diverse dai foraggi);
- l’iscrizione al sistema di controllo, scegliendo uno dei 18 organismi di controllo autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
I prodotti bio sono più nutrienti di quelli convenzionali?
Nel nostro immaginario si associa un prodotto rustico, selvatico o biologico a un alimento più sano e più nutriente.
La tematica è abbastanza controversa. Una meta-analisi, analizzando 343 articoli scientifici, ha effettivamente concluso che i prodotti derivanti dall’agricoltura biologica hanno, di solito, una maggior concentrazione di antiossidanti. Questo può essere spiegato con il fatto che le piante, nel biologico, sono sottoposte a più stress dovendo fare i conti con più patogeni che, nell’agricoltura convenzionale, sono tenuti a bada con l’uso di fitofarmaci. Per difendersi da questi organismi, le piante producono una serie di metaboliti secondari, come i polifenoli, associati a effetti positivi nella prevenzione di alcune malattie.
Tra l’altro, il tema degli antiossidanti è, esso stesso, controverso. Se nelle pubblicità sembrano la panacea di tutti i mali, scientificamente ci sono evidenze diverse. Molti studi rivelano effetti positivi, alcuni evidenziano però effetti deleteri in determinate situazioni, come nella presenza di tumori. Di base non se ne sa ancora molto. Questo per dire che sfondandosi di mele non si diventa immortali, ma sicuramente è meglio abbondare con i prodotti vegetali che rischiare di non includerne a sufficienza nella nostra dieta.
E le vitamine?
Anche qui, alcuni studi dicono che i prodotti bio hanno più vitamina C e omega 3, altri dicono che non ci sono differenze significative.
Quello che emerge dalle meta-analisi sulla nutrizione, dal punto di vista della salute, è quanto sia cruciale assicurarsi di consumare abbastanza vegetali, a prescindere da come essi siano prodotti. In altre parole, la famosa mela al giorno vi toglierà il medico di torno, che sia bio o no. Non saranno quel 15-20% di antiossidanti in più a fare la differenza, quanto se la mela la mangiate o no.
I prodotti bio sono più naturali?
Ogni volta che qualcuno dice che “qualcosa è più naturale di qualcos’altro”, nel mondo muoiono 20 biologi mentre altri 20 teenagers decidono di non andare all’università per andare a Uomini e Donne (dati completamente inventati). Fate smettere questa strage.
Mettiamoci in testa, come premessa di questo articolo, che l’agricoltura, in quanto tale, non è naturale.
L’agricoltura non è naturale quanto non lo è una fabbrica di scarpe. Perché in natura non sarebbero esistite né le scarpe né le varietà che coltiviamo. Tutto ciò che c’è nel reparto di ortofrutta, biologico e non, non è naturale, deriva da un’accurata selezione umana che dura da secoli o, per alcuni vegetali, da millenni.
So che è contro-intuitivo ragazzi, ma è così.
Considerate una città come qualcosa di naturale? Immagino di no. Allora quando vedete un campo di grano, immaginatelo come una città, metaforicamente parlando. Perché ettari di un’unica specie, fatta da individui quasi identici a sé stessi, selezionati per altezza, peso e numero delle cariossidi, resistenza alle malattie e all’allettamento, non può e non deve essere considerata una cosa “naturale”.
Se poi vogliamo considerare l’uomo come parte della natura e quindi tutto ciò che derivi dall’uomo come naturale per estensione, come del resto lo è un formicaio o una diga fatta da un castoro, è una questione filosofica che lascio a voi.
L’unica cosa su cui ha senso dibattere è se una pratica ha più o meno impatto ambientale di un’altra.
I prodotti bio contengono meno pesticidi?
Come abbiamo specificato, per legge, campi adibiti all’agricoltura biologica, non possono essere trattati con gran parte dei pesticidi di sintesi. Questo non significa che i campi biologici non ricevano trattamenti, ma che c’è una lista precisa di sostanze che possono essere usate.
Questo è un importante concetto che deve essere chiaro a tutti:
Biologico non significa esente da pesticidi.
Come detto nel paragrafo precedente, l’agricoltura non è una pratica che normalmente esisterebbe in natura. Abbiamo selezionato i vegetali per essere belli, uniformi, succulenti per il nostro palato. Ma indovinate un po’? In pieno campo ci sono insetti, mammiferi, uccelli, ragni, batteri, virus e funghi a cui piante e frutti fanno gola. Quindi l’utilizzo di prodotti fitosanitari è necessario anche nel biologico.
I prodotti consentiti
Le sostanze consentite sono spesso di origine vegetale, come la cera d’api per la protezione dalle operazioni di potatura, o gli oli vegetali, le piretrine estratte da crisantemo e l’azadiractina per i loro effetti insetticidi. Molto famoso è l’utilizzo del Bacillus thuringiensis (BT), per la lotta ad alcuni insetti. Abbiamo inoltre il fosfato ferrico da spargere sul suolo come molluschicida, il fosfato di diammonio, i feromoni e i piretroidi utilizzabili solo in trappole. Trovate una lista completa delle sostanze e dello scopo del loro utilizzo in questo articolo.
Alcuni prodotti sono molto comuni sia nell’agricoltura bio che nella convenzionale, come gli oli minerali, il permanganato di potassio, lo zolfo e, il re del biologico, il rame, in tutti i suoi formulati. Il rame è il fungicida per eccellenza, il suo utilizzo è spesso abusato, nonostante ci sia il limite massimo 6 kg per ettaro l’anno. Per quanto sia un prodotto considerato “naturale” [suono di biologi che muoiono in lontananza], il rame è comunque un metallo pesante che inquina il suolo e che ha una dimostrata tossicità sull’uomo.
Residui di un trattamento a base di rame su vite
Che sia di sintesi o che sia “naturale” [altri 20 biologi morti], un fitofarmaco è un fitofarmaco e non può di certo diventare l’ingrediente di uno spritz. Detto questo, il fatto che ci sia una lista con un numero limitato di sostanze che si possono usare, di fatto, è un freno all’abuso di fitofarmaci, quando però non ci sia un abuso di sostanze consentite per sopperire ai trattamenti che non si possono fare.
Diversi studi hanno riportato che effettivamente sui prodotti bio ci siano meno residui di fitofarmaci che su quelli convenzionali, ma che le dosi trovate su quelli convenzionali erano comunque molto inferiori ai limiti massimi consentiti. Dato confermato dalle migliaia di analisi che fa ogni anno la comunità europea. Attualmente, il grosso rischio per la salute non deriva dai residui di pesticidi, rischio paragonabile all’assunzione di un bicchiere di vino ogni tre mesi. Desta più preoccupazione la contaminazione degli alimenti con batteri e funghi, per cui il rischio è lo stesso che si parli di bio e di non bio. Cosa che farà arrabbiare i detrattori del biologico.
Il biologico è migliore per l’ambiente?
Arriviamo al punto cruciale. Abbiamo assodato che, dai punti di vista nutrizionale e sanitario, le differenze sono lievi e quasi trascurabili. Un’alimentazione basata solo su roba biologica non comporta radicali miglioramenti o peggioramenti rispetto a un’alimentazione basata su frutta e verdura convenzionali. Ma da un punto di vista etico-morale?
Mangiare biologico riduce il nostro impatto ambientale?
Ci sono diversi studi a riguardo, ma non si ha una chiara risposta a questa domanda. Al momento non si può dire con certezza che un metodo sia migliore dell’altro.
Lo studio che ho linkato prende in considerazione l’impatto sulle emissioni di CO2, sul consumo di energie e sul bisogno di superfici per la coltivazione. Le emissioni di CO2 sono praticamente identiche ma, mentre il biologico consuma meno energia e usa meno pesticidi, l’agricoltura convenzionale ha bisogno di minori superfici coltivate per produrre una certa quantità di prodotto.
Questo secondo aspetto, che può sembrare una cosa da niente, in realtà è cruciale al punto da far pendere la bilancia leggermente in favore dell’agricoltura convenzionale.
Confronto fra il metodo di produzione biologico e convenzionale per: latte, carne di bovino, carne di suino, carne di pollo, uova, pesce, cereali, ortaggi, frutta
Ma di che cali di produzione stiamo parlando?
Prendiamo per esempio lo stato indiano del Sikkim, il primo al mondo a essersi convertito al 100% all’agricoltura biologica. Dai dati forniti dal Dipartimento dell’Agricoltura del Sikkim stesso, la produzione di riso, frumento e leguminose da granella del 2015-16 è calata del 56% rispetto a quella del 1995-96. Ancora più drastico è il divario nelle rese per ettaro del Sikkim rispetto al Punjab nel 2016 (fonte, approfondimento 1): 56% per il riso (1,8 t/ha contro 4,1), dell’81% per il frumento (1,1 t/ha contro 5,7), del 71% per l’orzo (1,1 t/ha contro 3,7), del 54% per il mais (1,8 t/ha contro 3,8) e dell’81% per le patate (4,9 t/ha contro 26,0).
Meno drastico è lo scenario presentato dall’analisi di questo studio in cui, da una vasta analisi bibliografica su 362 resoconti di resa riferiti a 24 colture, si evidenzia che il biologico produce mediamente il 20% in meno rispetto al convenzionale e che tale valore, a volte, sale al 24%.
Quello che emerge, è che il problema dei cali di resa nel biologico sia legato a 3 grossi limiti: i diserbi incapaci di contenere in modo efficace le malerbe, la difesa fitosanitaria inadeguata a contrastare parassiti e patogeni e la nutrizione inadeguata.
Agricoltura biologica e agricoltura biodinamica
Non avrei voluto trattare questo tema, ma me lo avete chiesto nelle stories… E quindi eccoci qui.
Nel testo di legge citato qualche paragrafo fa, c’è un piccolo problema (ce ne sono molti, in realtà), ossia che non fa una netta distinzione fra biologico e biodinamico.
Perché è un problema?
Perché se il biologico si attiene alle pratiche agronomiche, il biodinamico è qualcosa di totalmente metafisico.
L’agricoltura biodinamica, fa quasi male a chiamarla così, è una disciplina su base magica astrologica in cui ci sono cose agghiaccianti. Vi faccio un paio di esempi.
Uno dei suoi pilastri, Rudolf Steiner, affermava che le “forze vitali cosmiche” hanno un grande impatto sui processi fisiologici nelle piante e negli animali. Infatti, le vacche hanno le corna per concentrare, nei loro stomaci, le energie cosmiche. Va da sé che bisogna utilizzare corna di vacca riempite di silice (biossido di silicio) e seppellirle nel suolo per un anno e mezzo. A questo punto la silice viene “vitalizzata” e, messa in contatto con l’acqua, “in forma omeopatica [la silice] processa la transustanziazione della luce in materia fisica (Carbonio, Ossigeno, Idrogeno, Azoto e Zolfo che sono presenti nell’aria…) e collega e processa le foglie della pianta ed il frutto con le azioni dei pianeti esterni Marte, Giove e Saturno (pianeti soprasolari), veicolando le forze formative di luce e di calore”.
Devo aggiungere altro?
Forse sì. Il biodinamico, come il biologico, è un marchio e una filosofia. Ma se si vuole vendere la propria roba come prodotto biodinamico, bisogna avere la certificazione. E chi la rilascia?
Lo stato? Ma certo che no.
Il marchio è brevettato a nome di Demeter®, che è a sua volta il marchio collettivo di tutela internazionale dei prodotti biodinamici, registrato a Ginevra.
Però la Monsanto è cattiva, e gli OGM ci uccideranno tutti. Nel frattempo, la biodinamica entra ufficialmente nella costituzione italiana. Stiamo sicuramente andando nella direzione giusta.
Il boom del biologico in Italia e nel mondo
Il trend del biologico, in Italia e nel mondo, è in piena ascesa. Pensate che durante il lockdown, il consumo di alimenti biologici nei supermercati è incrementato dell’11%. In particolare, se vogliamo concentrarci sugli ortaggi, si parla di aumenti del 7,2%.
L’Italia risulta essere, nel 2019, il primo paese europeo per numero di aziende agricole impegnate nell’agricoltura biologica, che continuano ad aumentare ogni anno. Di pari passo, aumentano le superfici coltivate a biologico, che sfiorano i 2 milioni di ettari (+2% rispetto al 2018, ma va ricordato che fra 2016 e 2017 c’è stato un incremento del 20,7%). Ovviamente, sono aumentate a dismisura anche le importazioni di prodotti biologici da Paesi extracomunitari, con un incremento complessivo del 13,1%.
A spingere gli agricoltori verso la conversione all’agricoltura biologica c’è, molto spesso, una ragione di tipo economico, visto che gli ortaggi vengono pagati molto di più.
Nella nostra analisi, questo trend deve essere associato con un’altra informazione cruciale: la diminuzione costante di terreni dedicati all’agricoltura.
La superficie destinata all’agricoltura, in Italia, è attualmente 12,4 milioni di ettari. Da un ottimo articolo a riguardo, leggiamo che “Dal 1990 ad oggi si è perduto quasi il 20% di superficie agricola utilizzata (Sau) per una media di circa 185 mila ettari annui fra il 1990 e il 2000, di 33 mila ettari annui fra il 2000 e il 2010, di 126 mila ettari annui fra il 2010 e il 2016. La perdita di Sau è stata determinata soprattutto alla cessata coltivazione delle terre meno produttive, molte delle quali sono state occupate da boschi e aree dismesse oltre che dall’espansione delle aree urbanizzate.”
Riassumendo…
Da tutti i dati forniti, emergono diversi spunti di riflessione e vi prego di fare un ultimo sforzo per tirare le somme.
Dal punto di vista della cura della salute, dobbiamo mangiare più verdure. A prescindere che queste siano bio o no.
Produrre senza abusare di pesticidi è possibile. La lotta integrata e un’attenzione a sensate pratiche agronomiche possono aiutare.
La riduzione di superficie agricola utilizzata, il forte aumento di superfici destinate al bio e la sua bassa produttività, sono tre variabili che non promettono niente di buono se prese insieme.
La distinzione del mercato dell’ortofrutta in due “brand”, il bio e il convenzionale, non ha assolutamente senso. Risponde a una logica di marketing per cui si crea un prodotto di lusso, di élite, ben distinto da un prodotto di massa. In Italia, nonostante ne avremmo le possibilità, non siamo autosufficienti per buona parte dei prodotti agricoli che mangiamo. Se convertissimo tutta la nazione al bio, come in Sikkim, saremmo fortemente dipendenti dall’estero.
E nel momento in cui gran parte del bio che consumiamo, venisse da migliaia di chilometri di distanza, il suo già alto livello di carbon footprint, si alzerebbe ancora di più.
L’agricoltura biologica ha dato voce all’esigenza di molti consumatori e agricoltori di voler dare un freno all’abuso di pesticidi. Un abuso che, negli ultimi anni, grazie anche alle direttive Europee, si sta riducendo grazie al ritiro dei prodotti più pericolosi e all’incentivo di forme alternative più green. I trattamenti a calendario stanno lasciando posto a quelli preventivi, eseguiti solo quando necessario.
… e concludendo
Ha senso separare agricoltura biologica e agricoltura convenzionale?
Non avrebbe più senso incentivare, come si sta facendo, l’uso della lotta integrata, di pratiche di agronomia e di prodotti a basso impatto ambientale, creando un’unica forma di agricoltura responsabile che unisca i punti forti delle due? E magari anche alzare i prezzi degli ortaggi a un livello intermedio, che dia respiro alle aziende agricole italiane?
Volete avere un basso impatto ambientale? Dimenticatevi bio o convenzionale, esiste una formula semplice:
Scegliete roba di stagione, prodotta il più vicino possibile al luogo in cui la comprate. Punto. Il resto sono solo chiacchiere.
Fonte: Missione Scienza