Perché la variante «Delta plus» può mettere in crisi i risultati delle vaccinazioni
Articolo del 27 Giugno 2021
I tre sottotipi della variante delta, oltre a essere molto più contagiosi delle precedenti, potrebbero causare una malattia più grave e portare a più ricoveri.
E’ una corsa contro il tempo. La variante delta o, per meglio dire, i tre sottotipi della variante, e soprattutto quella denominata 2, cui si è aggiunta, negli ultimi giorni, la Plus, potrebbero rimettere in discussione i risultati raggiunti in molti paesi grazie alle campagne di vaccinazione, perché oltre a essere molto più contagiose delle precedenti, potrebbero causare una malattia più grave, e portare a più ricoveri e decessi.
Le delta nel mondo
Per questo la Gran Bretagna, dove le delta rappresentano già il 90% dei virus circolanti, e che sta facendo i conti con un numero di contagi simile a quello dello scorso febbraio, ha rinviato l’apertura totale. Per questo il paese-modello, Israele, ha deciso di rinviare almeno di un mese il via libera ai turisti, e per questo il Portogallo ha vietato gli spostamenti da e per Lisbona e il resto del paese per tre giorni.
Aumenti preoccupanti di incidenza sono poi segnalati in Russia, Indonesia, Australia (dove i casi sono raddoppiati in pochi giorni), Stati Uniti, Brasile e in decine di altri paesi, mentre in Africa, dove molti governi hanno vaccinato meno del 5% della popolazione, dove gli ospedali del Congo sono già pieni e dove la delta è stata isolata in Malawi, Sud Africa e Uganda, si teme la catastrofe finora evitata.
Ciò spiega perché lo European Center for Diseases Control abbia emesso un allarme specifico, invitando tutti i paesi a sequenziare, tracciare, e soprattutto vaccinare. In base all’andamento attuale, ha spiegato l’ECDC, entro agosto la delta 2 sarà ampiamente dominante e rappresenterà il 90% dei nuovi contagi in Europa. E poiché è in parte resistente ai vaccini, è quantomai cruciale che i paesi vaccinino il maggior numero di persone nel minor tempo possibile, tornando alle schedule originarie, e cioè evitando di allungare i tempi tra la prima dose e il vaccino, per assicurare la massima efficacia possibile, e cercare di contenere la circolazione di queste varianti nei mesi estivi.
La forte contagiosità
Come ricorda Nature la contagiosità di questi ceppi sembra essere superiore del 60% (secondo alcune stime del 100%) rispetto a quella della variante inglese, l’alfa, che già aveva incrementato, e non di poco, la sua capacità di infettare l’uomo rispetto al ceppo originale: le delta hanno una contagiosità che è doppia rispetto al ceppo originario di Wuhan.
A ciò si deve aggiungere una caratteristica anch’essa peggiorativa rispetto alle varianti precedenti: la capacità di sfuggire almeno in parte ai vaccini. Infatti, anche se i numeri dimostrano che gli attuali vaccini proteggono anche contro le delta, mostrano anche che è indispensabile che siano somministrate le due dosi, perché una sola può non essere sufficiente. Lo confermano i dati di Public Health England secondo i quali se, in media, sia Astrazeneca che Pfizer dopo la prima dose proteggono dalle forme gravi al 50%, con la delta la percentuale è inchiodata al 33%. Dopo la seconda dose, Astrazeneca sale al 60% (contro il 66% che si ha contro la variante alfa), mentre Pfizer arriva all’88% (rispetto al 93% contro la delta).
L’impatto sulle ospedalizzazioni
La preoccupazione nasce poi anche dai dati, per il momento preliminari, che arrivano anch’essi dall’Inghilterra e dalla Scozia: per la prima volta le delta sarebbero anche più aggressive, e porterebbero in ospedale un numero di pazienti doppio rispetto a quanto non faccia la variante alfa.
E’ chiaro quindi che un virus più contagioso, capace di resistere in parte ai vaccini, e oltretutto più patogenico, potrebbe riportare indietro il calendario, e far precipitare il mondo in una nuova, drammatica crisi autunnale.
Come ha spiegato Science, si inizia anche a capire perché questa variante, in particolare, sia così insidiosa. Tra le mutazioni ve ne sono nove che riguardano altrettante basi del gene che codifica per la spike. Una di esse, in particolare, chiamata P681R, cambia un aminoacido proprio nel punto dove la spike viene tagliata dalla furina, un enzima umano, e inizia così la sua penetrazione nelle cellule. Già la variante alfa rendeva questo taglio, indispensabile per l’infezione, più efficiente, ma la delta sembra riuscire a fare molto di più, rendendo il contagio ancora più facile.
La capacità di mutare
Mutazioni analoghe si sono viste in altre varianti, isolate per esempio in India, e tutte portano allo stesso risultato: maggiore facilità per la furina di tagliare la spike, e avvio più spedito dell’ingresso nella cellula ospite, a riprova del fatto che si tratta di un cambiamento che, dal punto di vista evoluzionistico, conviene al virus.
Lo stesso si può dire per un’altra mutazione della delta, alla fine del gene della spike, in un punto già ribattezzato supersito, perché cambiamenti in questa posizione vanificano l’efficacia degli anticorpi rendendo la spike irriconoscibile per questi ultimi: ciò spiegherebbe l’effetto sui vaccini. Come se non bastasse, le delta presentano anche mutazioni diverse da quelle della spike, nell’involucro (nucleocapside), che le altre varianti non recavano in modo così evidente, e la cui importanza resta ancora da capire.
Anche se in Italia nei giorni scorsi ci sono stati inviti a non preoccuparsi della variante delta, la comunità scientifica internazionale sembra pensarla diversamente: tra le raccomandazioni dell’ECDC c’è anche quella di mantenere attive le misure preventive come i distanziamenti e le mascherine, almeno fino a quando non saranno stati vaccinati con ciclo completo tutti i soggetti fragili e le categorie a rischio.