Pianeta in pericolo e salute a rischio: tutti i dilemmi del nutrirsi di carne
Articolo del 01 Febbraio 2023
Questa non è né una recensione tradizionale né (tantomeno) una stroncatura: è un controcanto su un aspetto particolare dell’argomento trattato dal libro “Capitalismo carnivoro” di Francesca Grazioli, studiosa presso il Centro di Ricerca Biodiversity International. I campi di studio di Grazioli sono il cambiamento climatico e la sicurezza alimentare. Non sembri esagerato il sottotitolo del volume edito da Il Saggiatore: “Allevamenti intensivi, carni sintetiche e il futuro del mondo”, perché – come si legge nella quarta di copertina – “Mangiare carne non è più una scelta innocente né tantomeno innocua. Smascherare i processi economici che si nascondono dietro al gesto più abituale e quotidiano dei nostri pasti significa ridefinire chi siamo e in quale società scegliamo di abitare”.
Ribadiamo il concetto: affermare questo non è affatto esagerato, perché il sistema globale di produzione della carne è un’attività ad altissimo impatto ambientale, consuma molta energia ed è fra i maggiori responsabili del rilascio in atmosfera di gas a effetto serra (anidride carbonica e metano, che è 25 volte più nocivo della CO2), oltre che di quantità industriali di veleni chimici e di sostanze medicinali che entrano nella catena alimentare umana; infine, usare i prodotti agricoli non per la nutrizione diretta degli esseri umani, ma per sfamare animali da allevamento, che vanno ingrassati per mesi o anni prima di essere macellati, moltiplica il consumo di risorse naturali e riduce la disponibilità alimentare dei poveri del mondo.
Grazioli ci mette in allarme pure sull’aspetto non sempre igienico che sta dietro l’industria della carne; del resto, Bismarck diceva che “chi fa la salsiccia non svela mai come la prepara” (e non solo per ragioni di proprietà intellettuale).
Tutte le magagne della carne e dei suoi derivati sono documentate da Francesca Grazioli in un libro che unisce il rigore del lavoro accademico con la varietà di contributi del réportage, un réportage di respiro globale. L’autrice evita di forzare l’esposizione sul piano emotivo e dà spazio in modo obiettivo, asettico, anche alla mole di sofferenze che il sistema mondiale della produzione di carne provoca agli animali, e non solo nella fase della macellazione; il tutto avvolto da un’immensa cortina di rimozione. Infine, il libro evoca distopie, prossime a realizzarsi o già pronte all’uso, che contemplano l’ulteriore ingegnerizzazione della carne, magari promettendo di far soffrire meno gli animali, ma in realtà provocando altri guasti a catena.
L’unico punto su cui le argomentazioni di Grazioli ci sono sembrate opinabili (non ci permettiamo di dire sbagliate, ma opinabili) è dove l’autrice sostiene che la carne, oltre a portarsi dietro tutti questi problemi, non è neppure necessaria, neanche in dosi limitate, all’alimentazione umana, nemmeno nell’infanzia e nell’età dello sviluppo. Troviamo citata nel libro la psicologa Melanie Joy, secondo cui “siamo condizionati, fin dall’età infantile, a credere che la carne sia una necessità biologica, che senza la sua presenza nei nostri pasti quotidiani la nostra salute ne risulterebbe compromessa, come dimostra l’accanimento che subiscono i genitori che optano per diete vegetariane anche per i propri figli”.
Senza provare a smentire queste affermazioni, vorremmo metterne altre sul secondo piatto della bilancia: il phylum evolutivo degli esseri umani si nutre di carne da quando l’Homo Sapiens esiste, anzi da centinaia di migliaia di anni prima. Le prime prove di consumo di carne risalgono all’Herectus (o Erectus, sono diffuse entrambe le trascrizioni), la cui evoluzione, circa 1,8 milioni di anni fa, dal predecessore Habilis si lega proprio alla capacità di controllare il fuoco e cuocere i cibi, carne inclusa. Un tempo così lungo è in grado di avere effetti evolutivi e di modificare la morfologia e la fisiologia di una specie e, infatti, dicono (ad esempio) i paleoantropologi Leslie Aiello e Peter Wheeler, nel passaggio dall’Habilis all’Herectus “l’intestino è diventato più breve, perché i cibi cotti sono più digeribili”. Sono caratteristiche che i Sapiens hanno ereditato e mantenuto per 300 mila anni. Caso mai, è la recente rivoluzione agricola (appena 12 mila anni fa e non ovunque nel mondo) a non aver concesso alla specie umana un tempo evolutivo sufficiente ad adattarsi a una dieta puramente vegetale. C’è chi sostiene che non siamo nati per mangiare carne perché, se lo fossimo, avremmo le zanne; e invece nel passaggio da Habilis a Herectus e a Sapiens, a forza di mangiare carne cotta per quasi due milioni di anni, la nostra dentatura si è progressivamente alleggerita.
Proponiamo un ulteriore argomento: per quanto si tratti di indizi e non di prove, visto che gli scimpanzé attuali non sono nostri antenati, ma discendenti da un antenato in comune con la specie umana, possiamo ricavare dagli scimpanzé l’indicazione che la dieta parzialmente carnivora del nostro phylum evolutivo sia ancora più antica di quella di Herectus: gli scimpanzé di oggi vanno a caccia e mangiano carne cruda e la carne fornisce un contributo non prevalente ma regolare alla dieta del gruppo, apprezzato da tutti i suoi componenti, inclusi i cuccioli. Se fosse dimostrato che il nostro antenato comune cacciava e mangiava carne come gli scimpanzé di oggi, il regime carnivoro arretrerebbe da 1,8 milioni di anni (Herectus) a 6 milioni di anni. Comunque, noi umani attuali condividiamo con gli scimpanzé (e con l’antenato comune) il 96% dei geni. Fra i libri che trattano questi argomenti citiamo “Scimmie cacciatrici. Il regime carnivoro all’origine del comportamento umano”, di Craig B. Stanford. Ma al di là dei singoli autori che se ne sono occupati, si tratta di conoscenze scientifiche acquisite.
Tutto questo non smentisce le controindicazioni economiche e ecologiche del consumo globale di carne dettagliate con una mole di argomenti scientifici da Francesca Grazioli in “Capitalismo carnivoro”; tuttavia, l’affermazione di Melanie Joy, secondo cui “siamo condizionati, fin dall’età infantile, a credere che la carne sia una necessità biologica” fa sorgere una domanda: anche lasciando perdere gli scimpanzé, chi ha condizionato a credere che la carne sia una necessità biologica i nostri antenati Herectus e Sapiens durante un’evoluzione di 1,8 milioni di anni?
Fonte: La Stampa