Pillole allo iodio e radiazioni nucleari: quando servono e come ci si protegge
Articolo del 17 Marzo 2022
Tutto dipende dalla vicinanza: la malattia acuta da radiazione può essere letale in poche ore o giorni e accresce il rischio di diversi tipi di tumori. Perché le pastiglie allo iodio anti radiazioni servono a poco.
Quando si parla di radiazioni nucleari ed effetti sulla salute bisogna innanzitutto tener presente che tutto dipende dalla quantità di radiazioni assorbite, dalla vicinanza alla fonte radioattiva e da quanto tempo si è rimasti nelle sue vicinanze. I rischi peggiori? Un decesso entro poche ore, come hanno dimostrato gli incidenti in chi ha per sbaglio toccato sorgenti radioattive; una sindrome acuta da radiazioni, che può avere anche un esito fatale in pochi giorni o settimane; oppure, nel breve-medio periodo (cioè nell’arco di qualche settimana o mese) il pericolo maggiore è quello di sviluppare tumori del sangue , come linfomi e leucemie, perché il midollo osseo è particolarmente predisposto ad assorbire le radiazioni e può essere gravemente danneggiato o distrutto. Infine, anche a distanza di 20-25 anni, si può andare incontro a un carcinoma della tiroide , altro organo molto sensibile, e a diversi altri tipi di cancro.
Le prove, purtroppo, non mancano. L’aumento del numero di tumori fra i sopravvissuti alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, così come fra quanti sono stati esposti alle radiazioni seguite agli incidenti nucleari di Chernobyl nel 1986 e Fukushima nel 2011, confermano che le radiazioni ionizzanti sono cancerogene per gli esseri umani. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione (IARC) le ha infatti già incluse da anni fra le sostanze che provocano il cancro, inserendo nel suo elenco sia le radiazioni naturali (tutti gli esseri viventi sono soggetti a una naturale radioattività terrestre di fondo, oltre che alle radiazioni ultraviolette), sia le procedure mediche (come quelle di radiologia, radioterapia e medicina nucleare, i cui benefici però superano i pericoli).
Le conseguenze per la salute di una bomba nucleare sono tanto più drammatiche quanto più si è vicini all’ esplosione. Oltre agli inevitabili decessi immediati causati dalla deflagrazione, seguirebbero gli effetti nocivi sulla salute delle persone per decenni. Come è stato dimostrato dalle bombe in Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, però, già a 50 o 100 chilometri di distanza dalla detonazione le dosi di radiazioni perdono di «intensità» e i danni diminuiscono. Va poi tenuto presente che, paradossalmente, l’esplosione di un ordigno nucleare comporterebbe effetti minori rispetto a quella di una centrale elettrica nucleare perché le dosi di radiazioni che si disperderebbero nell’ambiente circostante sarebbero minori.
Sono molte le variabili da prendere in considerazione per stimare le conseguenze di un incidente a una centrale di energia nucleare. Innanzitutto, ancora una volta, la vicinanza: il prezzo più alto lo pagano (come si è visto a Chernobyl e Fukushima) i lavoratori e tutti quelli che si trovano sul luogo o negli immediati paraggi. Per chi vive a molti chilometri di distanza (100 e oltre) gli effetti sono molto differenti. Bisogna poi valutare piogge e venti, per calcolare quanto la nube tossica può «viaggiare» ed espandersi e quanto infiltrare il terreno. E poi, ancora, dipende dal tipo di danno (un’esplosione ha conseguenze peggiori di fughe o perdite di radiazioni) e di materiali utilizzati nei reattori: uranio, plutonio, cesio eccetera, comportano esiti diversi.
Le dosi di radiazioni più rilevanti raggiungono le persone che inalano le radiazioni; seguono le ricadute sul terreno, quando la nube si posa e il suolo le assorbe; infine il pericolo arriva dall’ingestione di acqua o cibi provenienti dai terreni contaminati (l’inquinamento di falde acquifere e terreni dura per decenni). L’esposizione a grandi quantità di radiazioni (anche per un breve periodo di tempo) può causare la malattia acuta da radiazione, che si manifesta inizialmente con nausea e vomito, mal di testa e diarrea. I sintomi compaiono da pochi minuti ad alcuni giorni dopo e possono durare poche ore o diversi mesi. Spesso sembrano migliorare, per poi riacutizzarsi, e possono in seguito aggiungersi anche perdita di appetito, affaticamento, febbre, infezioni (provocate dalla riduzione dei globuli bianchi perché il midollo osseo viene danneggiato) o emorragie interne e, in casi gravi, convulsioni e coma. La severità della situazione (che può portare al decesso) dipende sempre da quanto si è vicini all’esplosione e dalla quantità di radiazioni assorbita. Da questi stessi fattori dipendono le possibili conseguenze a lungo termine, ovvero il rischio aumentato di sviluppare tumori nei mesi o anni a seguire. Più bassa è la dose di radiazioni più è probabile che la persona si riprenda dalla malattia acuta da radiazione, ma possono servire anche anni. A essere più vulnerabili sono soprattutto bambini, adolescenti e donne in gravidanza.
Quanto a come difendersi, innanzitutto esiste un piano di emergenza nazionale, con un protocollo ben definito, che prevede anche il monitoraggio delle nubi tossiche e un coordinamento fra i vari Paesi europei. In base alla distanza dal luogo dell’esplosione nucleare e alle linee guida contenute nel protocollo le autorità competenti decidono cosa fare. Le misure prevedono il restare in casa, per evitare d’inalare le sostanze tossiche, ed eventualmente l’eliminazione di alcuni alimenti. L’utilizzo delle mascherine può essere utile in caso di alcune sostanze tossiche: tutto dipende dai materiali usati nei reattori o nella bomba.
Le pastiglie di ioduro di potassio possono essere utili solamente per proteggere la tiroide dallo sviluppo futuro di un tumore. Bisogna però innanzitutto ricordare che i carcinomi tiroidei sono nella grande maggioranza dei casi tumori «buoni» e poco aggressivi: infatti in Italia, a cinque anni dalla diagnosi, è vivo quasi il 98% dei malati. L’assunzione di pastiglie di ioduro di potassio serve a «riempire» la ghiandola tiroidea, dove altrimenti tende a concentrarsi lo iodio radioattivo rilasciato nell’aria da un’esplosione nucleare: in pratica, se la tiroide è satura non assorbe la sostanza nociva. Le pastiglie sono indicate s olo in caso di esplosioni in impianti molto vicini (in un’area di 50 o 100 chilometri), vanno assunte prima o subito dopo l’arrivo della nube e quotidianamente per un tempo limitato, finché dura la nube tossica. Una terapia che ha senso solo per persone vicine e periodi molto limitati, tenendo ben presente che (come tutti i farmaci) anche queste pillole possono avere effetti collaterali: disfunzioni della tiroide (come ipertiroidismo e ipotiroidismo iodio-indotto), effetti gastroenterici (nausea, vomito, diarrea, gastralgie), reazioni allergiche (angioedema cutaneo, artralgie, linfoadenopatia, orticaria).
Fonte: Corriere della Sera