Saremo pronti quando (se) arriverà il vaccino?
Articolo del 28 Dicembre 2020
È importante farsi alcune domande sul vaccino anti Covid-19 atteso con tanta fiducia: per esempio, quale potrà essere la sua efficacia? Quale impatto la disponibilità di un vaccino avrà sui servizi di sanità pubblica? E sono pronti, questi servizi, oppure l’arrivo del vaccino rischia di aggiungere altro carico alle attività già in corso?
La domanda più ricorrente in merito all’attuale pandemia è se ci sarà una seconda ondata di infezioni, come sarà e se siamo sufficientemente organizzati per affrontarla. L’Italia si trova circondata da aree che registrano un gran numero di nuovi casi e le prospettive non sono proprio rassicuranti. Attualmente circa il 60% dei nuovi casi identificati in Italia sono asintomatici, frutto di attività di screening e di contact tracing effettuata dai nostri servizi di prevenzione che continuano ad essere sotto pressione nello sforzo di arginare e interrompere le catene di contagi. Un’indagine condotta da AIE (Associazione Italiana Epidemiologia) relativa allo scorso aprile ha evidenziato che l’emergenza per la risposta alla pandemia sul territorio si è avvalsa di operatori di diversi servizi di sanità pubblica, resi disponibili dal blocco completo di molte altre attività. L’attività è stata organizzata localmente e le strutture di sanità pubblica hanno utilizzato strumenti diversi per le stesse funzioni da svolgere. In particolare, molti dati sono stati raccolti localmente e non sono disponibili in formato elettronico per ulteriori analisi. Ora che si cerca di tornare alla normalità le forze in campo per le stesse attività, ad esempio di rintraccio dei contatti, sono molto più ridotte e se durante il periodo di isolamento generalizzato i servizi hanno identificato e seguito una media di circa quattro contatti per ogni caso, è verosimile che ora i numeri siano maggiori, e i risultati si vedono. Riuscire ad affrontare e contenere i danni di un’ulteriore diffusione è l’obiettivo prioritario, ma finora non sembra esserci stato un potenziamento capillare della rete di prevenzione, né degli strumenti tecnologici da utilizzare e da più parti si sollevano segnalazioni di un sistema che sta dando il massimo da troppo tempo.
Tutti aspettano con grande fiducia l’avvento di un vaccino specifico, come la soluzione radicale alla pandemia, ma è il momento di chiedersi quale impatto la disponibilità di un vaccino avrà sui servizi di sanità pubblica e se ancora una volta i servizi siano pronti.
L’aspettativa del vaccino come soluzione finale è legittimamente basata sull’esperienza dei vaccini per l’infanzia, che abbiamo a disposizione da decadi, e che sono stati in grado di debellare il vaiolo, la poliomielite, la difterite, e ridurre drasticamente il tetano e altre malattie molto pericolose. Pochi si soffermano sul fatto che quei vaccini hanno dimostrato una capacità di prevenzione (efficacia) elevatissima, oltre il 90%. Ossia il 90% (e più) di chi si vaccina non si ammala e non contagia. Non è assolutamente detto che un vaccino contro Covid-19 si avvicini ai valori stellari dei vaccini a cui siamo abituati. Tuttavia, anche un’efficacia molto minore è meglio di niente e infatti i protocolli pubblicati per i vaccini in avanzata sperimentazione clinica (studi di fase 3) riportano che le dimensioni della popolazione da studiare sono state calcolate su un’attesa efficacia del 50-60% con una precisione della stima tale che il limite inferiore dell’intervallo di confidenza non sia sotto il 20-30%. Gli studi in corso (peraltro tutti condotti negli USA e nessuno in Europa!) sono tarati sull’obiettivo primario di prevenzione dei casi sintomatici e non sulle infezioni senza sintomi, che oggi in Italia contribuiscono grandemente alla casistica quotidiana.
Attualmente le dimensioni delle popolazioni in studio per i vaccini sperimentali per i quali è possibile consultare i dati, variano da 30.000 a 60.000 persone arruolate. Tutti adulti sopra i 18 anni. Per un vaccino è previsto un ampliamento includendo anche ragazzi dai 16 anni. C’è grande pressione (soprattutto negli USA, dove le prossime elezioni presidenziali potrebbero essere influenzate dall’annuncio della disponibilità del vaccino) per avere risultati in tempi brevi e per quanto accurati gli studi in corso non potranno rispondere subito a tutte le domande ancora aperte in merito alla efficacia della vaccinazione (ad esempio quanto dura la protezione?, vengono prevenute anche le infezioni?, la contagiosità degli infetti vaccinati è ridotta?, ecc.) e soprattutto alla sua sicurezza di uso nella popolazione generale (ad esempio in soggetti recentemente vaccinati con altre vaccinazioni, in soggetti con co-morbilità, ecc.). Chi dovrà rispondere a queste domande? Se la sanità pubblica preme per avere prodotti disponibili sul breve periodo dovrà necessariamente essere poi il protagonista delle osservazioni durante l’uso esteso e la sorveglianza post-marketing sarà essenziale a dare risposte tempestive e attendibili.
La vaccinazione contro Covid-19 richiederà l’utilizzo di strumenti già in uso per le vaccinazioni correnti, ma con tempi e affidabilità fuori dall’ordinario; sarà necessaria la messa a regime di sistemi interoperabili tra regioni per lo scambio tempestivo di dati ed una altrettanto rapida capacità di lettura scientifica dei dati, che dovranno essere raccolti in modo rigoroso. Se la vaccinazione dovrà essere effettuata in due dosi e a gruppi di popolazione scaglionati nel tempo, la disponibilità di dati ben organizzati a livello nazionale sarà essenziale per monitorare la proporzione di vaccinati, il numero di dosi somministrate, le caratteristiche personali dei vaccinati. Se poi fossero disponibili vaccini di differente produzione, tali aspetti sarebbero ancora più importanti per distinguere gli effetti di ogni prodotto e organizzare in modo idoneo le somministrazioni.
Da tempo si auspica la creazione di una anagrafe vaccinale nazionale associata all’anagrafe degli assistiti per le stime di frequenze relative alla popolazione. Attualmente ogni area si è costruita un proprio sistema, ma i dati, quando presenti non sono interoperabili, né i risultati facilmente accessibili. Per identificare gli eventuali eventi avversi severi che richiedono un accesso al Pronto Soccorso o al ricovero sarebbe opportuno poter linkare i dati raccolti in tempo reale dai Pronto Soccorso e ospedali con le anagrafi vaccinali e poi garantire un follow-up sui soggetti identificati.
Insomma, l’avvento di un vaccino non renderà più leggere le attività di sanità pubblica, ma anzi aggiungerà altro carico a quelle già in corso, che certamente non potranno essere dismesse.
È importante costruire ora sistemi e infrastrutture con cui finalmente mettere in grado gli operatori di sanità pubblica di lavorare in modo coordinato ed efficiente. Chissà se anche questi sono sogni da Recovery Plan, oppure se l’emergenza ci costringerà a mettere finalmente a regime sistemi da tempo richiesti e anche in parte già autorizzati – ad esempio come quelli previsti dal DPCM del 2017, a cui non è mai stato dato seguito.