Si può prevedere chi si ammalerà gravemente di Covid? Perché oggi è cruciale scoprirlo
Articolo del 03 Febbraio 2021
Perché la maggior parte delle persone accusa solo sintomi leggeri o addirittura nessun sintomo di Covid-19 mentre altre si ammalano gravemente è ancora uno dei grandi misteri irrisolti di questa malattia che sta sconvolgendo il mondo. È noto che essere obesi o soffrire di altre patologie croniche come diabete o pressione alta aumentano il rischio di un decorso grave di Covid-19. Ma non è sempre così. Si è visto che alcune persone sane, anche giovani, vanno incontro a malattia grave. Perché?
Risposta immunitaria fuori controllo
All’inizio del 2020 gli scienziati hanno scoperto che persone gravemente malate avevano livelli insoliti delle cellule T (componenti essenziali del sistema immunitario) nel sangue. Studiando i valori di un paziente deceduto per Covid-19 hanno visto un importante cambiamento nel livello di citochine, le proteine che organizzano la risposta immunitaria. L’abnorme risposta immunitaria può danneggiare non solo i polmoni ma anche altri organi come cuore, fegato e cervello come si era intuito già ad aprile 2020 e poi confermato nei mesi successivi. Si è visto infatti che il danno agli organi di chi si ammala gravemente di Covid-19 non è causato direttamente dal virus, ma dalla forte risposta immunitaria al virus: la cosiddetta «tempesta di citochine» che attacca anche gli organi sani aggravando improvvisamente i sintomi fino a quel momento gestibili. È dunque cruciale scoprire chi è a rischio di attivare questa risposta immunitaria fuori controllo prima che i sintomi si manifestino.
I valori da tenere d’occhio
Un nuovo studio dell’Università di Cambridge, non ancora sottoposto a revisione paritaria, sta cercando di far luce sul perché alcuni pazienti andranno incontro a un decorso complesso della malattia mentre altri no, osservando come alcuni cambiamenti nella risposta immunitaria al virus potrebbero essere utilizzati per prevedere chi svilupperà una malattia grave. I ricercatori hanno prelevato 207 campioni di sangue a pazienti infettati da Sars-Cov-2 misurando le loro risposte immunitarie per 90 giorni. Alla fine dello studio hanno confrontato le risposte immunitarie delle persone che hanno manifestato Covid grave con quelle di coloro che invece avevano solo sintomi lievi o erano asintomatici. Che cosa hanno scoperto? Si è visto che i pazienti che sono andati incontro a decorso grave hanno prodotto livelli più elevati di citochine infiammatorie rispetto agli asintomatici o poco sintomatici. Inoltre i pazienti gravi avevano anche meno cellule immunitarie note per colpire in modo specifico il virus come linfociti T e B. In altre parole, all’inizio dell’infezione i pazienti che si sarebbero aggravati avevano un numero inferiore di cellule immunitarie pronte a colpire il virus (che si attivano molto lentamente) e livelli più elevati di infiammazione. Tutto questo accadeva precocemente, alla comparsa dei sintomi, ben prima del ricovero. Allo stesso modo chi ha sviluppato sintomi leggeri aveva una risposta immunitaria che si è adattata all’infezione molto velocemente, producendo una difesa robusta già nella prima settimana di infezione.
Gli altri studi (anche di genetica)
I ricercatori di tutto il mondo sono impegnati nel tentativo di risolvere l’enigma del motivo per cui alcuni individui si ammalano gravemente di Covid-19 e si sono susseguiti vari studi, alcuni dei quali hanno indagato la genetica. Tra gli ultimi un’indagine pubblicata su Nature dall’Università di Edimburgo che ha identificato alcune regioni del genoma che potrebbero contenere parte della risposta (diventando bersaglio molecolare di nuovi trattamenti). Una ricerca coordinata dal Radboud University Medical Center, nei Paesi Bassi e pubblicata nel novembre scorso sulla rivista eLife ha invece puntato sul semplice emocromo, un facile esame del sangue che misura la quantità di globuli, i livelli dell’ematocrito e dell’emoglobina e altri parametri sanguigni che, secondo i ricercatori, possono prevedere il decorso della malattia rilevando l’attività delle cellule immunitarie. Altri studi hanno cercato di mettere in correlazione il gruppo sanguigno con la gravità dei sintomi, ma i risultati non sono stati univoci. La ricerca su questi temi è in fermento ma purtroppo non esistono dati certi. Eppure sarebbe importante scoprire in anticipo chi svilupperà una malattia grave.
L’utilizzo dei farmaci monoclonali
Se fosse possibile esaminare i pazienti ad alto rischio prima della comparsa dei sintomi o all’esordio dei sintomi potrebbero essere somministrati farmaci per prevenire i cambiamenti del sistema immunitario che contribuiscono allo sviluppo di malattia grave. Gli occhi sono puntati sugli anticorpi monoclonali (non ancora autorizzati dall’Ema e finora non utilizzati in Italia neppure in via sperimentale) che funzionano se somministrati agli esordi dell’infezione (entro 48-72 ore dall’esordio dei sintomi), prima che il virus cominci a moltiplicarsi nelle cellule e a fare danni. Solo qualche giorno fa Eli Lilly ha annunciato che il loro cocktail di anticorpi monoclonali riduce mortalità e ricoveri del 70%. E in un’altra ricerca è emerso che uno dei due anticorpi, bamlanivimab può essere utilizzato anche per prevenire il Covid come se fosse un vaccino, ma con un’immunità più breve. Il grande problema degli anticorpi monoclonali è che sono molto costosi (al momento sono da somministrare in via endovenosa in regime di ricovero ospedaliero) ed è quindi difficile decidere a chi destinarli, non sapendo in anticipo chi ne avrà davvero bisogno perché svilupperà una malattia grave. Per questo i test che predicono il decorso grave del Covid sono oggi guardati con molto interesse: potrebbero rappresentare una svolta nell’utilizzo ad hoc dei monoclonali.
Fonte: Corriere della Sera