Telemedicina per la reumatologia. L’esperienza della “working visit” all’Ospedale Maggiore di Bologna

Articolo del 02 Luglio 2021

Ormai oltre 6 mesi fa, precisamente il 17 dicembre 2020, la Conferenza Stato-Regioni ha recepito il documento del Ministero della Salute “Indicazioni nazionali per l’erogazione delle prestazioni in telemedicina”, consentendo così alla medicina digitale di entrare a tutti gli effetti tra le prestazioni erogate ed erogabili dal SSN. Tale risultato solo pochi anni fa sarebbe parso visionario, sebbene ci fossero già alcune isolate esperienze di telemedicina in tutta Italia.

La pandemia da SARS-COV2 ha senz’altro costituito l’elemento determinante per raggiungere questo risultato. Durante la fase di lockdown “duro”, infatti, tutti i sanitari non direttamente impiegati nei reparti COVID non hanno potuto far altro che attaccarsi al telefono e cercare di mantenere i contatti con un numero enorme di pazienti, le cui visite di controllo, da un giorno all’altro, si erano volatilizzate, e che non sapevano quando avrebbero potuto eseguirne un’altra. Questa forma di medicina a distanza, inevitabilmente rudimentale perché imposta dall’emergenza, pur dimostrando numerosi limiti, ha permesso ai medici ed ai pazienti di scoprire un’idea nuova, ossia che forse alcune visite avrebbero potuto essere “dematerializzate”, mantenendo però pari efficacia. In piena fase emergenziale è apparso quindi chiaro che, dovendosi ridurre i contatti tra le persone, alcuni atti medici quali la ricetta, il certificato e l’anamnesi recente, se eseguite a distanza allontanavano il rischio di contagio permettendo comunque di proseguire i necessari follow-up.

Sulla base di questi presupposti, passata la fase più acuta dell’emergenza sanitaria, abbiamo cercato, in quanto medici ed operatori sanitari, di fare tesoro dell’esperienza acquisita e ci siamo chiesti se e quanto la telemedicina potesse diventare un elemento aggiuntivo e strutturale della nostra pratica clinica quotidiana.

Inoltre, in quanto Reumatologi, abbiamo considerato che i nostri pazienti sono per molti aspetti i candidati ideali ad eseguire almeno parte del follow-up a distanza, essendo frequentemente pazienti giovani in età lavorativa, ma affetti da patologie croniche, che assumono terapia immunosoppressiva e che pertanto richiedono controlli clinici e laboratoristici frequenti e ripetuti (classicamente ogni 3 mesi); da considerare inoltre che le terapie introdotte ed utilizzate negli ultimi 20 anni (anticorpi monoclonali, inibitori delle JAK), essendo dotate di notevole efficacia, hanno enormemente modificato l’evoluzione di tali patologie rispetto al passato, consentendo così alla maggior parte dei nostri pazienti uno stile di vita attivo e “normale”.

Usando la metodologia “Telemedicina Subito” (vedi anche l’articolo su Quotidiano Sanità “La televisita non è una videochiamata”), in collaborazione con l’Osservatorio sulla Telemedicina Operativa dell’ALTEMS -l’Alta Scuola di Economia e Management dell’Università Cattolica del Sacro Cuore- abbiamo quindi progettato un manuale dettagliato (disponibile sul sito www.dati-sanita.it) per l’esecuzione delle televisite, personalizzato per il nostro contesto clinico-organizzativo, utilizzando una piattaforma (Microsoft Teams) diffusa, sicura e sufficientemente facile per i pazienti, rispettando le esigenze di protezione dei dati personali e formalizzando le varie fasi secondo quanto avviene nello scenario in presenza, in maniera tale che la televisita stessa, integrata dall’invio degli esami e dal telemonitoraggio, non si riducesse ad una semplice videochiamata.

Abbiamo inizialmente avviato una prima fase sperimentale, selezionando i pazienti tendenzialmente più giovani ed avvezzi all’utilizzo dei dispositivi tecnologici necessari, tutti in terapia immunosoppressiva convenzionale o con farmaci biotecnologici e che presentassero una malattia sostanzialmente stabile.

Soprassedendo sui dettagli dell’esito, assolutamente positivo da un punto di vista clinico-gestionale, di questa prima fase di sperimentazione, è da sottolineare che abbiamo richiesto ai pazienti di esprimere una valutazione numerica in scala da 1 a 5 del loro gradimento complessivo della televisita – includendo comodità, efficacia, facilità di utilizzo – riportando una lusinghiera valutazione media di 4,6.

Ma la vera sorpresa positiva di questa esperienza, sicuramente ancora da affinare, è venuta dai pazienti stessi; sapevamo già che tra i punti di forza di tale modalità di visita vi sono la riduzione del numero di accessi in ospedale e di tempi e costi di viaggio per i pazienti provenienti da fuori Bologna. Quello che non ci aspettavamo è che alcuni pazienti decidessero di eseguire la televisita direttamente dal luogo di lavoro, inventando, ipso facto, la working-visit! Nello specifico una paziente ha eseguito la televisita dal suo smartphone mentre rientrava a casa, altri 3 dall’ufficio ed un’altra, cameriera di sala, nella pausa tra il turno del pranzo e quello della cena (oltre alla paziente che l’ha eseguita dal terrazzo di casa dove era in corso un aperitivo familiare…). Questi pazienti sono anche stati tra i più entusiasti e hanno sottolineato l’ulteriore vantaggio di non dover perdere ore di lavoro, richiedere permessi ed effettuare spostamenti, potendosi così allontanare dall’attività lavorativa solo per il tempo necessario (in media 17-18 minuti) ad eseguire la videochiamata.


Questa dimostra ancora di più quanto la telemedicina sia destinata a diventare un elemento imprescindibile della pratica clinica futura; è chiaro che una televisita non può essere considerata del tutto sostitutiva di una visita in presenza, per l’ovvia ragione che non consente un esame obiettivo completo, ma può diventare parte integrante del follow-up soprattutto di pazienti giovani, attivi, lavoratori, genitori, contribuendo così a minimizzare l’impatto complessivo della malattia sulla loro vita.

Un’ulteriore considerazione in merito ci sembra doverosa: la possibilità di estendere la medicina a distanza ai pazienti con mobilità ridotta e non avvezzi all’uso degli strumenti tecnologici avvalendosi dell’aiuto dei care-giver, che sostanzialmente permetterebbe di ottenere i medesimi vantaggi: riduzione degli spostamenti, dei costi e dei tempi di viaggio (non per una ma per due persone) e delle ore di lavoro perse (del care-giver), fattori che presi globalmente conducono ad un miglioramento della compliance dei pazienti e ad un “normalizzazione” del loro stile di vita.

Questo può far pensare anche ad altri scenari di indubbia validità sociale, ad esempio la possibilità da parte del datore di lavoro di predisporre un locale apposito in cui il paziente possa effettuare una televisita invece di dover richiedere un permesso retribuito di almeno mezza giornata, la possibilità per un genitore che lavora di accompagnare “virtualmente” il figlio minore, la possibilità per ambedue i genitori (anche separati in situazioni problematiche) di essere presenti.

La telemedicina è ormai avviata, anche “istituzionalmente”, a guadagnare sempre più spazio nella medicina, e particolarmente nella medicina della cronicità. Pertanto, quanto più rapidamente noi operatori sanitari impareremo a gestirla e a riconoscerne pregi e difetti, tanto migliore sarà il servizio che riusciremo a rendere ai nostri pazienti ed alla nostra società nel suo complesso.

 

Fonte: QuotidianoSanità.it
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