Trauma da pandemia, a rischio una persona su tre (più le donne)
Articolo del 15 Febbraio 2021
Sintomi cronici o persistenti, che vanno da insonnia a incubi ed ansia: è il quadro che emerge da una revisione della Società italiana di psichiatria sugli studi pubblicati. La pandemia lascia segni profondi sulla psiche, rischiando di compromettere anche a lungo termine benessere e salute mentale non solo dei pazienti guariti dal virus, degli operatori sanitari e delle famiglie delle vittime, ma di tutte le persone. La conseguenza più pesante che si può manifestare è disturbo post-traumatico da stress (Ptsd), con sintomi cronici o persistenti come insonnia, incubi e ansia: nei prossimi mesi potrebbe soffrirne fino a un individuo su tre. Sono le donne la categoria più a rischio, probabilmente perché il lockdown ha pesato pesantemente su di loro, sia come madri, sia come lavoratrici. È il quadro che emerge da una revisione sistematica della Società italiana di psichiatria (Sip) sugli studi dedicati a Covid e salute mentale, a un anno dalla scoppio della pandemia.
Effetti a lungo termine
Diversi lavori condotti in Italia, Spagna, Cina, India, Irlanda e Israele hanno valutato la presenza di sintomi della sindrome post traumatica nella popolazione generale, e nel complesso è stata riscontrata un’incidenza del 30%. «Si tratta di un disturbo che può svilupparsi in seguito all’esposizione ad eventi traumatici così eccessivi da determinare uno sconvolgimento psichico. Non è un evento che si realizza immediatamente dal punto di vista clinico, ma ha bisogno di tempo per costruirsi — spiegano Massimo di Giannantonio ed Enrico Zanalda, co-presidenti della Società italiana di psichiatria —. Gli effetti sulle persone sono a lungo termine e talvolta cronici, ma dipendono anche dalla capacità del soggetto di adattarsi e affrontare le avversità». «Se nella prima fase della pandemia abbiamo osservato un preoccupante aumento dei livelli di ansia, depressione e insonnia, lo stress persistente di una situazione di emergenza che dura da quasi un anno, senza alcuna certezza di uscirne a breve, rappresenta un evento traumatico cronico che è ancora in divenire ma di cui vediamo già gli effetti nel tempo, allargati alla popolazione generale» precisa di Giannantonio. L’analisi mostra che a infierire sull’equilibrio psichico delle persone sono state soprattutto le condizioni di isolamento, la perdita di libertà, le preoccupazioni per l’impatto del virus sulla gravidanza.
I guariti
La maggior parte degli studi epidemiologici presi in esame indica che i sopravvissuti al contagio hanno una maggiore probabilità di disturbi a lungo termine, seguiti dalle famiglie delle vittime e dagli operatori sanitari. Sulla base delle evidenze ad oggi disponibili (in base a studi condotti in Italia, Cina e Corea), possiamo stimare che il 96% dei sopravvissuti al virus sperimenta i sintomi della sindrome post traumatica da stress. A rischiare di più sono coloro che hanno avuto necessità di ventilazione meccanica nelle unità di terapia intensiva: fino a uno su due (dal 15% e il 51%) di questi pazienti è a rischio di sviluppare disturbi psichiatrici come allucinazioni, ricordi che suscitano panico e ansia. La popolazione anziana sottoposta a ventilazione meccanica nell’80% dei casi mostra episodi di confusione mentale.
Operatori sanitari
La situazione risulta particolarmente critica anche tra gli operatori sanitari. Grazie a una metanalisi sulla letteratura scientifica condotta da dicembre 2019 a giugno 2020, che includeva 44 studi su un totale di 69.499 lavoratori, è emersa un’incidenza della sindrome post traumatica da stress che varia dal 7,4% al 37,4%. In primo luogo, i lavoratori in prima linea sono più a rischio perché, avendo visto gli effetti di Sars-CoV-2 sui pazienti, sperimentano la paura di essere infettati e di trasmettere l’infezione a colleghi, amici e famigliari, oltre che ad altri pazienti. In secondo luogo, l’utilizzo per molte ore di dispositivi di protezione individuali è associato a sudorazione eccessiva, disidratazione, disagio. Infine, data la natura dell’infezione, i sanitari sperimentano un forte senso di impotenza. Lo studio mette in luce gli infermieri come categoria più fragile. Altri fattori presumibilmente associati a malessere psichico sembrano essere lavorare in reparti di isolamento per più di 12 ore al giorno, la messa in quarantena, l’avere familiari o amici che hanno contratto il Sars-CoV-2 e la scarsa qualità del sonno. In generale gli operatori sanitari sono risultati suscettibili ad elevati livelli di burnout durante la pandemia. Elevati livelli di ansia o depressione, turni di lavoro superiori alle otto ore al giorno e l’essere assegnati a nuove postazioni lavorative sono risultati i fattori maggiormente correlati a punteggi più alti nella scala di valutazione dello stress.
Caregiver
Un altro studio pubblicato sull’International Journal of Migration, Health and Social Care riferisce come particolarmente esposti allo stress da pandemia coloro che rivestono un ruolo di cura (caregiver), in particolare delle persone anziane. Numerosi i problemi legati al lockdown: dalle difficoltà nel garantire il livello usuale di assistenza alle preoccupazioni legate al rischio di contagiare il proprio assistito. «Il malessere psichico legato alla pandemia, le incertezze socioeconomiche ad essa riconducibili e la consapevolezza di dover convivere a lungo con il virus — sottolinea Zanalda — vanno prese in carico subito, con tutti i mezzi a nostra disposizione, compresa la telemedicina, pena il rischio di trovarci a breve di fronte a un boom di nuove diagnosi di disturbo post-traumatico, che a sua volta può compromettere la salute fisica delle persone». «Se ansia, insonnia, frustrazione e irascibilità si protraggono per più di tre settimane è necessario rivolgersi allo specialista. La telemedicina in particolare, permette oggi di fornire un’alternativa, valida ed efficace di supporto psicoterapico — conclude di Giannantonio —, con la possibilità di intervenire tempestivamente».
Fonte: Corriere della Sera