Triage, gli strumenti per migliorarlo
Articolo del 01 Dicembre 2020
La ricerca sta andando avanti per mettere a disposizione nuovi strumenti in grado di favorire una più rapida identificazione di chi potrebbe avere una prognosi peggiore dopo l’infezione e per facilitare la corretta gestione, con l’ottimale qualità delle cure, grazie a test il più possibile specifici.
La speranza è che la curva di crescita dei contagi, grazie al distanziamento, l’uso delle mascherine e l’igiene delle mani cali prima possibile. E con essa scenda anche il ricorso alle cure ospedaliere, necessarie per i casi più seri, con l’occupazione da parte dei pazienti Covid-19 di posti letto nei reparti di degenza, terapia sub-intensiva e intensiva. Questa seconda ondata, in ogni caso, ha messo in luce anche un’altra necessità, sempre più pressante.
Grazie alla conoscenza maggiore del virus Sars-CoV-2, del tutto nuovo nella primavera del 2020, e soprattutto dei quadri clinici e delle possibili complicanze ad esso correlati, appare di grande importanza disporre di strumenti di “Triage” dei pazienti per indirizzarli verso le cure e il monitoraggio più opportuni, caso per caso.
Questa necessità appare impellente, sia sotto l’aspetto etico per non essere costretti a determinare un percorso di trattamento solamente in base all’età della persona che ha sviluppato Covid-19, sia anche sotto il profilo prettamente sanitario e scientifico, per ottimizzare le strategie terapeutiche.
Il triage come momento chiave dell’assistenza
Insomma: occorre puntare sempre di più sul triage, che diventa il primo passaggio chiave della presa in carico del paziente. Su questo tema si sono espresse, con un documento che mira a aiutare gli operatori sanitari nelle decisioni relative soprattutto al ricovero in terapie intensiva, la Simla – Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni, SiaartI – Società Italiana Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva, su indicazione dell’Iss (Istituto Superiore di Sanità) e il Cnec (Centro Nazionale per l’Eccellenza Clinica, la qualità e la sicurezza delle cure).
Il testo punta forte sull’importanza del triage come strumento per valutare secondo scale oggettive e scientifiche i criteri che fondano le priorità di trattamento. Il fine è quello di determinare l’impatto delle cure intensive, dando priorità ai pazienti che hanno una maggiore probabilità di trarre vantaggio nell’affrontare la condizione critica.
In questo contesto, unitamente a diversi e ben definiti criteri, l’età è un parametro che deve essere considerato, ma non è un criterio sufficiente per stabilire quali pazienti possano maggiormente beneficiare delle cure intensive. Solo a parità di altre condizioni, il dato anagrafico, non semplicemente inteso come fattore numerico, diventa un elemento che può avere un ruolo nella valutazione della persona malata.
«L’età non può essere un elemento sufficiente per stabilire la priorità di cura in casi di emergenza. Questo documento si ispira ai più elevati principi etici il cui studio è patrimonio ineludibile della medicina legale e siamo lieti di aver potuto fornire un contributo ad un tema tanto delicato quanto importante, che è stato al centro di un grande dibattito, in particolare durante la prima ondata di questa pandemia e che ha indotto molte realtà sanitarie nazionali ad esprimersi – è il commento di Riccardo Zoja, presidente di Simla -. Il Sistema sanitario è stato sottoposto in questi mesi a una pressione straordinaria per riuscire a garantire uguaglianza di cure a tutti i pazienti in una situazione in cui le risorse, in condizioni di grave emergenza, possono non essere sufficienti. Questo ha generato un problema etico e giuridico per gli operatori sanitari che non possono certo affidarsi a proprie personali decisioni anche per la necessità, da un lato di avere a disposizione strumenti terapeutici efficaci per tutti, dall’altro di tutelarsi dal punto di vista di attribuzioni di responsabilità sia in ambito penale sia civile. Questo documento, ad oggi anche migliorabile con il contributo di tutte le istituzioni che abbiano interesse nel campo, che si basa, comunque, su criteri di valutazione scientifici e oggettivi, può aiutare chi è protagonista e responsabile dei pazienti vittime di questa pandemia».
La ricerca di test specifici per identificare chi può sviluppare forme gravi
Sul fronte scientifico, la ricerca sta andando avanti per mettere a disposizione nuovi strumenti in grado di favorire una più rapida identificazione di chi potrebbe avere una prognosi peggiore dopo infezione, ovviamente tra quanti fanno riferimento all’ospedale, e per facilitare la corretta gestione, con l’ottimale qualità delle cure, grazie a test il più possibile specifici in questo senso.
In quest’ottica va sottolineata la ricerca italiana apparsa su Nature Immunology, condotta da una task force dell’Irccs Humanitas guidata da Alberto Mantovani e da medici e ricercatori dell’Asst Papa Giovanni XXIII, guidati da Alessandro Rambaldi, che ha identificato un indicatore di gravità di malattia nei pazienti affetti da Covid 19: la molecola PTX3. Lo studio ha preso in esame 96 pazienti in Humanitas e 54 al Papa Giovanni XXIII, ma grazie all’analisi bioinformatica supportata da Intelligenza artificiale, ha esaminato i dati di pazienti residenti in Israele e Usa, concentrando l’attenzione sui meccanismi dell’immunità innata a livello del sangue circolante e del polmone.
«L’analisi ha portato alla luce il ruolo di un gene scoperto dal mio gruppo anni fa, la PTX3: una molecola coinvolta nell’immunità e nell’infiammazione – spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University -. Nei pazienti malati di Covid-19, questa molecola è presente a livelli alti nel sangue circolante, nei polmoni, nelle cellule della prima linea di difesa (i macrofagi) e nelle cellule che rivestono la superficie interna dei vasi sanguigni (l’endotelio vascolare). Informazioni importanti dal momento che i pazienti malati di Covid-19 presentano una fortissima infiammazione (la sindrome di attivazione macrofagica) che porta a trombosi del microcircolo polmonare a livello delle cellule endoteliali. A seguire, abbiamo verificato che la PTX3 potesse essere un marcatore di gravità, grazie a reagenti e a un test messo a punto dai ricercatori di Humanitas».
Stando ai dati, la misura della PTX3 costituisce, ad oggi, il più importante fattore prognostico associato all’aggravamento delle condizioni dei pazienti. Lo studio ovviamente necessita di ulteriori verifiche, ma la speranza è che un test semplice e a basso costo –basta infatti un esame del sangue per valutare il livello della PTX3 – possa diventare routine.
Va infine ricordata l’esperienza di un’azienda “medtech” elvetica, Abionic, che punta invece su un altro biomarcatore: si chiama Psp (Pancreatic Stone Protein) e potrebbe risultare di grande utilità per la sua accuratezza diagnostica nel prevedere la sepsi e/o la disfunzione di più organi in vari tipi di pazienti critici, quindi non solo in caso di Covid-19. Al classico score Sofa, che si basa sostanzialmente su diversi elementi, alcuni dei quali sono legati ad esami di laboratorio mentre altri sono prettamente clinici, come ad esempio lo stato mentale alterato, la frequenza respiratoria e il livello della pressione arteriosa sistolica, si potrebbe in futuro aggiungere questo ulteriore parametro, potenzialmente disponibile con una sola goccia di sangue al momento del triage, integrandolo nel punteggio Sofa.
Fonte: 24 Salute de IlSole24Ore