Un farmaco contro i tumori sembra stanare l’Hiv nascosto
Articolo del 05 Febbraio 2022
Un nuovo studio, pubblicato sulle pagine di Science Translational Medicine, suggerisce che l’immunoterapico pembrolizumab, un farmaco che stimola il sistema immunitario a combattere i tumori, potrebbe aiutare a stanare l’Hiv dai suoi serbatoi, rendendoli visibili al sistema immunitario e vulnerabili. L’approccio, in futuro, potrebbe portare a una strategia per eradicare del tutto l’Hiv dall’organismo e guarire i pazienti.
I serbatoi di Hiv
Sebbene gli antiretrovirali, se assunti regolarmente, consentano alle persone con Hiv di vivere una vita pressoché normale, in buona salute e senza il rischio di infettare altre persone, la terapia non debella del tutto l’infezione. Hiv rimane in forma latente, “addormentata”, dentro alcuni tipi di cellule dell’organismo – i serbatoi – che, nonostante ci siano stati diversi tentativi, per il momento non si è in grado di eliminare. Pertanto dall’infezione da Hiv oggi non si guarisce e se i farmaci vengono interrotti ci sono alte probabilità che il virus torni a farsi aggressivo.
Uno dei principali serbatoi del virus nelle persone in terapia antiretrovirale sono i linfociti T CD4+ “della memoria”, che sono caratterizzate dall’espressione di una particolare proteina che prende il nome di programmed death 1 (PD1), che ha proprio la funzione di indurre nelle cellule immunitarie uno stato di torpore. Cristallizzando lo stato dei linfociti T CD4+, PD1 da una parte impedisce al virus di propagare l’infezione ma dall’altra non permette alle difese dell’organismo di riconoscere le cellule malate e di eliminarle.
Un farmaco antitumorale per risvegliare Hiv
PD1 è una molecola molto studiata anche in altri contesti e si è resa protagonista nella ricerca sui tumori: i farmaci anti-PD1, infatti, “danno una scossa” al sistema immunitario (per questo si chiamano immunoterapici) che risulta più efficace nello scovare e distruggere le cellule tumorali. Uno di questi farmaci è pembrolizumab, che nel 2014 è stato approvato dalla Fda (poi anche da Ema) nella terapia per il melanoma e che si sta rivelando utile nel trattamento anche di altri tipi di tumori.
Sulla base del meccanismo d’azione di pembrolizumab, i ricercatori si sono chiesti quali potessero essere i suoi effetti sui serbatoi di Hiv che esprimono PD1. Testare il farmaco per verificarne il potenziale contro l’Hiv, però, non è banale: rendere più attivo il sistema immunitario, infatti, può avere effetti collaterali gravi e dare tossicità. Per questo motivo gli scienziati hanno cercato persone che assumevano la terapia antiretrovirale che potessero trarre vantaggio dalla somministrazione di pembrolizumab per combattere il proprio tumore.
Hanno così seguito nel tempo 32 pazienti, monitorando se ci fossero cambiamenti nello stato dell’infezione da Hiv durante il trattamento antitumorale (una somministrazione endovena di pembrolizumab ogni tre settimane fino a un massimo di 105 settimane).
Già dopo la prima infusione di immunoterapico, i ricercatori hanno cominciato a trovare nel sangue e nelle cellule serbatoio il materiale genetico di Hiv: un indizio che il farmaco stava risvegliando le cellule facendo uscire il virus allo scoperto. Questo, spiegano gli esperti, è un buon risultato perché significa rendere il virus di nuovo vulnerabile alle terapie e visibile al sistema immunitario che reagisce eliminando le cellule malate.
Un primo passo verso la cura?
Il trattamento non è stato sufficiente a liberare del tutto i pazienti dall’infezione di Hiv, ma lo studio ha dimostrato che mettere nel mirino PD1 può essere una strategia valida nell’ottica di trovare una cura definitiva.
La soluzione, comunque, non è vicina. Ci sono ancora molte cose da fare. Oltre a confermare i risultati appena ottenuti, bisogna impostare una road map che porti a capire se sia possibile utilizzare farmaci anti-PD1 in persone con Hiv ma non malate di cancro, modificando il protocollo di trattamento per evitare gli effetti collaterali più gravi e portare a un’eliminazione totale dei serbatoi di Hiv. In alternativa si potrebbero cercare altri modi per interferire con l’attività di PD1.
I lavori sono già iniziati, ha riferito a Stat Sharon Lewin, che ha coordinato il gruppo di ricerca. Ci sono diverse linee di ricerca avviate, compresa la programmazione di uno studio che prevede di somministrare bassi livelli di pembrolizumab a pazienti con Hiv senza un tumore. I risultati di questa sperimentazione potrebbero essere migliori di quelli della ricerca appena conclusa, nella quale “la malattia oncologica potrebbe aver influito sulla capacità dell’organismo di sfruttare appieno l’effetto del farmaco sull’Hiv”.
Fonte: Galileo