Un nuovo sensore per misurare il livello di anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2

Articolo del 19 Febbraio 2022

Messo a punto da un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna, il dispositivo è rapido, efficace, affidabile ed economico: potrebbe essere utile sia in campo clinico che per lo sviluppo di nuovi vaccini anti COVID-19.

Una nuova tecnologia – rapida, efficace, affidabile ed economica – per misurare il livello di anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2 presenti nel sangue, ma anche per testare l’efficacia di nuovi vaccini anti COVID-19. Presentato su Communications Materials, rivista del gruppo Nature, il dispositivo è stato messo a punto da un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna.

Si tratta di un “transistor elettrochimico organico” (OECT – Organic Electrochemical Transistor), basato su un particolare polimero conduttivo (Pedot:Pss), che permette di monitorare a distanza e in tempo reale l’integrità del tessuto cellulare riuscendo così a capire se una coltura in vitro infetta dal coronavirus è protetta o meno dagli anticorpi neutralizzanti presenti nel siero sanguigno. È la prima volta che un sensore di questo tipo viene utilizzato su SARS-CoV-2, e lo stesso strumento potrebbe in futuro essere adattato anche per altre tipologie di virus.

“Oggi abbiamo una forte necessità di strumenti in grado di valutare in modo rapido ed efficace la presenza di anticorpi neutralizzanti nei pazienti infetti da SARS-CoV-2, perché si tratta di informazioni rilevanti nella pratica clinica”, spiega Francesco Decataldo, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e primo autore dello studio. “Inoltre, per pianificare i prossimi passi verso lo sviluppo di nuovi vaccini anti COVID-19 è fondamentale comprendere a fondo la relazione tra il livello misurabile di immunità e l’effettiva protezione clinica contro il coronavirus”.

I test di siero neutralizzazione sono oggi il metodo migliore per misurare la presenza e il livello di anticorpi neutralizzanti presenti nel siero sanguigno. Uno degli strumenti più diffusi a questo scopo è il test di neutralizzazione a placche (PRNT), che richiede però tempi lunghi di risposta, costi significativi, la presenza di personale specializzato e l’utilizzo di materiali tossici.

Come alternativa a questo modello, gli studiosi dell’Alma Mater hanno quindi progettato e realizzato una nuova tecnologia – un sistema integrato automatizzato chiamato TECH-OECT (Tissue Engineering Cell Holder for Organic Electrochemical Transistors) – che attraverso misure elettriche permette di ottenere un’accurata analisi quantitativa in tempo reale del siero neutralizzante. Il prototipo permette di analizzare in parallelo fino a sei culture cellulari, restituendo risultati affidabili in meno di 48 ore. Non solo: il dispositivo è riutilizzabile fino a tre volte, riducendo così la produzione di rifiuti, e non richiede l’utilizzo di sostanze tossiche, garantendo così la sicurezza degli operatori.

“Si tratta di un dispositivo non solo a basso costo, ma anche scalabile, che potrebbe permettere di realizzare rapidamente screening su larga scala dei livelli di anticorpi neutralizzanti presenti nella popolazione”, aggiunge Beatrice Fraboni, professoressa all’Università di Bologna che ha coordinato lo studio assieme ad Alessandra Scagliarini e Vittorio Sambri. Che aggiungono: “Questa tecnologia potrebbe essere facilmente adattata per analizzare la risposta degli anticorpi neutralizzanti anche rispetto ad altre tipologie di virus”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Communications Materials con il titolo “Fast and real-time electrical transistor assay for quantifying SARS-CoV-2 neutralizing antibodies”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Francesco Decataldo, Marta Tessarolo, Maria Calienni e Beatrice Fraboni del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”, con Catia Giovannini, Carla Cacciotto, Vittorio Sambri e Alessandra Scagliarini del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale.

Hanno partecipato inoltre studiosi dell’Unità Operativa di Microbiologia del Laboratorio Unico dell’AUSL Romagna (Vittorio Sambri, Laura Grumiro, Maria Michela Marino, Martina Brandolini, Giorgio Dirani, Francesca Taddei) e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna “Bruno Ubertini” (Francesca Faccin, Davide Lelli, Antonio Lavazza).

 

Fonte: Le Scienze

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